28 dicembre 2007

Le città nascoste. 2.

Non è felice, la vita a Raissa. Per le strade la gente cammina torcendosi le mani, impreca ai bambini che piangono, s'appoggia ai parapetti del fiume con le tempie tra i pugni, alla mattina si sveglia da un brutto sogno e ne comincia un altro. Tra i banconi dove ci si schiaccia tutti i momenti le dita con il martello o ci si punge con l'ago, o sulle colonne di numeri tutti storti nei registri dei negozianti e dei banchieri, o davanti alle file di bicchieri vuoti sullo zinco delle bettole, meno male che le teste chine ti risparmiano dagli sguardi torvi. Dentro le case è peggio, e non occorre entrarci per saperlo: d'estate le finestre rintronano di litigi e piatti rotti.
Eppure, a Raissa, a ogni momento c'è un bambino che da una finestra ride a un cane che è saltato su una tettoia per mordere un pezzo di polenta caduto a un muratore che dall'alto dell'impalcatura ha esclamato: – Gioia mia, lasciami intingere! – a una giovane ostessa che solleva un piatto di ragù sotto la pergola, contenta di servirlo all'ombrellaio che festeggia un buon affare, un parasole di pizzo bianco comprato da una gran dama per pavoneggiarsi alle corse, innamorata d'un ufficiale che le ha sorriso nel saltare l'ultima siepe, felice lui ma più felice ancora il suo cavallo che volava sugli ostacoli vedendo volare in cielo un francolino, felice uccello liberato dalla gabbia da un pittore felice di averlo dipinto piuma per piuma picchiettato di rosso e di giallo nella miniatura di quella pagina del libro in cui il filosofo dice: «Anche a Raissa, città triste, corre un filo invisibile che allaccia un essere vivente a un altro per un attimo e si disfa, poi torna a tendersi tra punti in movimento disegnando nuove rapide figure cosicché a ogni secondo la città infelice contiene una città felice che nemmeno sa d'esistere».


da Italo Calvino, Le città invisibili, Einaudi 1972.


Buon anno, di cuore.

>La miglior scuola del Messico

Un articolo da El Mundo, sugli alunni di una scuola rurale del Chiapas che hanno ottenuto i migliori risultati del paese.

Neanche oggi sono arrivate le colazioni, così né i frijoles, né le tortillas, né le scatolette di tonno che regala il governo sono stati distribuiti e vari alunni occupano i loro banchi di legno con lo stomaco vuoto. Ma loro non mancano e decine di corpicini scuri spuntano dal verde pochi minuti prima delle otto di mattina.
Con le scarpe macchiate di fango, impeccabilmente pettinati e vestiti con pulitissimi indumenti lisi, scendono dalla sierra e occupano il loro posto, non senza aver dato prima il loro buongiorno al maestro inclinando leggermente il capo. Tutto rende difficile credere che siano i migliori alunni del Messico.
Lo ha dimostrato l'esame nazionale (ENLACE) realizzato dal Ministero dell'Educazione e al quale sono state sottoposte 85mila scuole pubbliche e private del Paese. I risultati, resi noti a settembre, hanno dimostrato che, con una media superiore al'8,5, nella parte alta della Sierra Madre del Chiapas, c'è la miglior scuola primaria del Paese. Dietro di loro, nella classifica nazionale, si situano prestigiosi e cari colleghi di Monterrey, Città del Messico e Guadalajara, con insegnamento bilingue e connessione a Internet.
Situata a tre ore da Escuintla, riferimento municipale, e a cinque dalla città di Tapachula, alla frontiera con il Guatemala, per arrivare alla scuola Francisco Villa di San Juan Panamá, bisogna pagare più del solito perché qualche conduttore avventuroso si spinga a mettere il proprio veicolo a doppia trazione su tre ore di scarpate sulle montagne.
A 1700 metri di altezza, convivendo con le nuvole, i caffé e un verde abbagliante, la rigogliosa vegetazione ha reso inservibile da tempo l'unico accesso a questa comunità di 300 persone, considerata ad "alta" marginalità dalle cifre ufficiali.
Dalla sua scuola sono però usciti i migliori risultati accademici del Paese, tra oltre otto milioni di alunni esaminati, sorprendendo tutti e dando un colpo a un modello che scommette sull'educazione informatizzata e interattiva ma paga 300 euro mensili ai propri maestri. Approfittando del premio, i 38 bambini lasciano da parte la timidezza e gridano finalmente tutto quello che vorrebbero avere, adesso che sono stati riconosciuti come i più diligenti del Paese. "Computer", "Matite nuove", "quaderni", "un parco giochi", "un gatto!" grida il più piccolo. La pace arriva quando il maestro Miguel chiede silenzio: "Adesso mi state zitti e tornate al vostro posto, per favore".
Nella classe di Miguel Rincón, artefice di questo miracolo, convivono quotidianamente tre corsi differenti di bambini di 9, 10, 11 anni, raggruppati nella stessa aula. Prima di lui, Miguel Emigdio è il professore più ricordato perché, anche se nessuno glielo aveva chiesto, decise di ampliare le lezioni al pomeriggio, elevando considerevolmente il livello dei bambini.
"Qui non ci sono macchinine, consolle o cose di questo genere... così è più facile convincerli a venire a scuola" dice Rincón. Ma anche se le avessero, a San Juan Panamá sarebbe in ogni caso molto difficile giocare alla Play Station, dato che da cinque giorni non c'è neanche l'elettricità. "Siamo molto contenti che i nostri figli stiano portando in alto tutto il Chiapas" assicura Hipólito Gómez, un orgoglioso padre che sa appena leggere, ma ne approfitta per richiedere una strada asfaltata "che non ci lasci di nuovo isolati nella stagione delle piogge".
Pensando più a suo figlio che al paesino, sua moglie insiste nel chiedere maggiori borse di studio per i bambini. E' che il caso di suo figlio Robelsi Obed è uno di quelli che più colpiscono. A 11 anni e con una media di 9,5 all'esame nazionale, Robelsi ha ottenuto il voto più alto della scuola e uno dei più alti del Paese in Lingua spagnola e Matematica. La sua famiglia vive dei sei sacchi annuali di caffé che dà la piccola milpa, terreno, che possiede vicino alla propria casa e, per compensare le carenze, riceve dal governo un aiuto mensile di 10 euro "per spingerlo a continuare i suoi studi".
Con stimolo ufficiale o senza, il destino della maggioranza di questi alunni sembra essere però nell'emigrazione negli Stati Uniti, così come succede da varie generazioni a San Juan Panamá. Estranei al proprio destino, nell'aula 38 voci ripetono all'unisono e senza errori gli strati geologici che compongono la costa terrestre. Anche se oggi non ci sono state le colazioni, il governo ha promesso che riconoscerà lo sforzo inviando uno stock di divise scolastiche.

da: http://www.elmundo.es/elmundo/2007/12/21/internacional/1198267119.html?a=7c06534aeae3239190cfd311767a6b9a&t=1198315575

grazie: a Monica e a Betti per la segnalazione

27 dicembre 2007

La festa delle luci

Io dico: la festa delle luci è pericolosa.
Gli umani fanno cose strane e cambiano odore continuamente.
Per tutta la mattina lei ha messo la carta colorata intorno alla carta bianca e nera.
Non veniva mai uguale. Per questo lo ha fatto tante volte, non e' capace. Pero' lei era contenta. Lo so perche' sorrideva e l'odore era speranza. Allora anch'io ero contento.
Poi ha parlato nella macchina della solitudine. L'odore è diventato quasi subito rabbia. Poi disperazione.
Non capisco perche' parla in quella macchina se fa cosi' male. Mi ha fatto paura.
Le ho detto: tira fuori tutte le mutande dal cassetto e buttatici sopra, cosi' non ci pensi.
Lei si è alzata, ha chiuso il cassetto e si è messa a piangere. Poi si è stesa sul divano per piangere di piu'.
Allora sono andato sulla sua pancia. Lei ha chiuso gli occhi e l'odore è diventato sonno.
La festa delle luci è molto pericolosa.

20 dicembre 2007

Sì global

CS151-2007: 19/12/2007
L’Assemblea generale dell’Onu dice sì alla moratoria globale sulla pena di morte


“Oggi è una giornata storica. Il massimo organismo della comunità internazionale, con un'ottima maggioranza, dice al mondo che della pena di morte si può fare a meno. Il percorso abolizionista acquista ora ulteriore velocità. Da domani, Amnesty International chiederà a tutti i governi di rispettare la moratoria. La risoluzione adottata questo pomeriggio è un ulteriore strumento di pressione, nelle nostre mani, per chiedere ai governi che ancora mantengono la pena di morte di avere coraggio. Come sempre, continueremo a lavorare ogni giorno per salvare vite umane in Iran, Cina, Arabia Saudita, Iraq e in quei pochi altri paesi che ancora si ostinano ad applicare la pena di morte” ha dichiarato Paolo Pobbiati, presidente della Sezione Italiana di Amnesty International.

FINE DEL COMUNICATO Roma, 19 dicembre 2007

17 dicembre 2007

Blog Compleanno!


Questo spazio ha compiuto 2 anni.
Gli auguro per il terzo che nasce
un po' di calore.

New New Jersey!

CS150-2007: 14/12/2007

Usa: il New Jersey abolisce la pena di morte.
Amnesty International: “Un segnale incoraggiante alla vigilia del voto Onu sulla moratoria”

Grazie al voto di ieri dell’Assemblea, preceduto lunedì da quello del Senato, il New Jersey ha abolito la pena di morte. La decisione dei due organi legislativi dello Stato sarà ratificata dal governatore Jon Corzine, abolizionista convinto.

Il New Jersey diventa il 14° Stato abolizionista degli Usa e il primo ad aver deciso di cancellare la pena di morte dalle leggi dopo il suo ripristino, nel 1976, ad opera della Corte suprema federale. Da quell’anno, comunque, nel New Jersey non vi erano mai state esecuzioni: l'ultima aveva avuto luogo nel 1963. Gli otto prigionieri nel braccio della morte vedranno commutata la propria pena in ergastolo. Gli ultimi Stati degli Usa ad aver abolito la pena di morte erano stati lo Iowa e il West Virginia, nel 1965.

Negli Usa è in vigore una moratoria di fatto. In attesa della decisione della Corte suprema sulla possibile incostituzionalità del metodo dell’iniezione letale, prevista la prossima primavera, da tre mesi a questa parte sono state sospese tutte le esecuzioni in programma.

“Finalmente, dopo le tre impiccagioni in Giappone e quella di un minorenne all’epoca del reato in Iran degli ultimi giorni, dal New Jersey arriva una bella notizia che infonde ottimismo in vista del voto, previsto la prossima settimana, all’Assemblea generale dell’Onu sulla moratoria” – ha dichiarato Paolo Pobbiati, presidente della Sezione Italiana di Amnesty International.

FINE DEL COMUNICATO Roma, 14 dicembre 2007

Per ulteriori informazioni, approfondimenti e interviste:
Amnesty International Italia - Ufficio stampa
Tel. 06 4490224 - cell. 348-6974361, e-mail: press@amnesty.it

11 dicembre 2007

Il gioco delle perle di vetro

Infilo nella seta pregiata le perle di vetro scadente
delle tue parole incuranti, gocce deformi e gelide
a cui il mio amore rappreso regala ogni volta un colore diverso,
e indosso come un cappio questa collana vergognosa,
che non oso guardare.

Pechino 2008

COMUNICATO STAMPA CS148-2007

OLIMPIADI E DIRITTI UMANI IN CINA:
L’APPELLO DI AMNESTY INTERNATIONAL
AL COMITATO OLIMPICO INTERNAZIONALE

In occasione della riunione del Comitato esecutivo del Comitato olimpico internazionale (Cio), in programma da oggi fino a mercoledi’ a Losanna, Amnesty International rinnova l’appello all’organismo sportivo affinche’, in vista dei Giochi olimpici di Pechino 2008, siano affrontati i problemi riguardanti i diritti umani. Analoga richiesta e’ stata inoltrata da parte della Sezione Italiana di Amnesty International al Comitato olimpico nazionale italiano (Coni).

Pur riconoscendo che la responsabilita’ di introdurre riforme nel campo dei diritti umani compete principalmente alle autorita’ cinesi, Amnesty International ritiene che il Cio possa ancora fornire un contributo significativo, usando la propria influenza per favorire un cambiamento positivo, in linea con la Carta olimpica.

Nei mesi che precederanno lo svolgimento delle Olimpiadi, Amnesty International portera’ avanti una campagna per ottenere progressi che potrebbero costituire un’eredita’ positiva delle Olimpiadi, in quattro aree specifiche:
- la pena di morte,
- la detenzione senza processo,
- la liberta’ d’informazione,
- la protezione degli attivisti per i diritti umani.

Una serie di casi recenti mettono in evidenza la necessita’ urgente di un’azione della Cina nel campo dei diritti umani:
- il 10 ottobre Wang Ling e’ stata condannata a 15 mesi di ‘rieducazione attraverso il lavoro’ per aver firmato petizioni e aver preparato striscioni, dopo che la sua abitazione era stata demolita per far posto a strutture olimpiche. E’ stata picchiata, arrestata e imprigionata in diverse occasioni. Si trova attualmente nel centro di ‘rieducazione attraverso il lavoro’ di Daxing, a Pechino.
- Yang Chunlin, arrestato il 6 luglio 2007 e da allora detenuto in isolamento per aver lanciato la petizione ‘Vogliamo i diritti umani, non le Olimpiadi’, con la quale i contadini stanno protestando per la confisca dei loro terreni. Ha dichiarato di essere stato sottoposto a una forma di tortura frequentemente utilizzata in Cina: le sue braccia e le sue gambe sono state legate ai quattro angoli del letto ed e’ stato costretto a mangiare, bere e defecare in quella posizione.
- Ye Gouzhu, attivista per il diritto alla casa, sta scontando una condanna a quattro anni di reclusione per aver chiesto il permesso di organizzare una manifestazione che intendeva richiamare l’attenzione sullo sgombero forzato di alcuni abitanti del distretto di Xuanwu, a Pechino. Anche la sua casa e il suo negozio sono stati demoliti per fare spazio a impianti olimpici. A settembre, Ye Mingjun e Ye Guoqiang, figlio e fratello di Ye Gouzhu, hanno a loro volta avviato una protesta contro le demolizioni e sono stati arrestati dalla polizia di Pechino con l’accusa di ‘incitamento alla sovversione’. Ye Mingjun e’ stato rilasciato su cauzione alla fine di ottobre, mentre Ye Guoqiang risulta ancora detenuto.

Amnesty International chiede il rilascio immediato e incondizionato di questi detenuti, un’inchiesta sulle torture che si concluda con l’incriminazione dei responsabili e l’assegnazione di un risarcimento alle vittime.

FINE DEL COMUNICATO Roma, 10 dicembre 2007
Per ulteriori informazioni sulla situazione dei diritti umani in Cina e sulla campagna ‘Pechino 2008: Olimpiadi e diritti umani in Cina’: www.amnesty.it/pechino2008
Per approfondimenti e interviste: Amnesty International Italia – Ufficio stampaTel. 06 4490224 - cell. 348-6974361, e-mail: press@amnesty.it

05 dicembre 2007

Meglio accendere una candela che maledire l'oscurità

Care amiche e cari amici,
desideriamo ricordarvi che il Gruppo di Bologna sarà presente con il tavolino di raccolta firme e le tradizionali candele di Amnesty nelle seguenti giornate di dicembre:

sabato 8 dicembre
in Piazza Ravegnana, ore 10-18.30

sabato 15 e domenica 16 dicembre (GIORNATE AMNESTY)
in Piazza Re Enzo (ex Gocce), ore 10-18.30

sabato 22 e domenica 23 dicembre
in Piazza Re Enzo (ex Gocce), ore 10-18.30


Veniteci a trovare, vi aspettiamo!

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SABATO 15 E DOMENICA 16 DICEMBRE LE “GIORNATE AMNESTY 2007”

Sabato 15 e domenica 16 dicembre 2007 si svolgeranno in tutt’Italia le “Giornate Amnesty 2007”: i volontari di Amnesty International saranno presenti in oltre un centinaio di città per distribuire materiale informativo e la tradizionale candela.

Come ogni anno, il ricavato dell’iniziativa servirà a finanziare le attività dell’organizzazione per i diritti
umani. Per poter continuare a chiedere libertà per i prigionieri di opinione, processi equi e rapidi per tutti i prigionieri politici, l’abolizione della pena di morte e la fine di torture, sparizioni ed esecuzioni extragiudiziali, Amnesty International ha bisogno del sostegno economico dei suoi iscritti e di tutti gli appartenenti alla società civile.

La campagna al centro delle “Giornate Amnesty 2007” riguarda il rispetto dei diritti umani in Cina in occasione delle Olimpiadi che si terranno nel 2008 a Pechino.

A poco meno di un anno di distanza dalle Olimpiadi, Amnesty International teme fortemente che sviluppi negativi possano compromettere o offuscare alcuni passi positivi compiuti in materia di diritti umani, come le recenti riforme del sistema di applicazione della pena di morte o l’introduzione di nuove norme sull’operato dei giornalisti stranieri in Cina. L’imprigionamento continuo di numerosi attivisti per i diritti umani e giornalisti e l’uso della sorveglianza di polizia o degli arresti domiciliari per limitarne le attività, continuano a macchiare la reputazione del governo cinese sui diritti umani, all’estero come all’interno del paese.


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Amnesty International Gruppo di Bologna
via Irma Bandiera 1/5 - 40133 Bologna
tel 051/434384 - fax 051/61453623
gr019@amnesty.it
riunioni tutti i martedì alle 21

04 dicembre 2007

Ai confini del paradiso


Incuriosita dai commenti di un amico, ieri sono andata a vedere Ai confini del paradiso, di Fatih Akin (il regista de La sposa turca). Confermo, è un piccolo capolavoro. Acuto ma delicato, toccante, con una sceneggiatura perfetta e una interpretazione da parte di Hanna Schygulla che da sola varrebbe il prezzo del biglietto. Andate a vederlo.

Binario

La roba da mangiare è arrivata presto ed era come il cibo che si trova negli aeroporti, dappertutto: nessuno è riuscito a mangiarla. Mikey ha attaccato di gran lena il piatto di patatine fritte, ma dopo un terzo ci ha rinunciato e ha cercato di darle alle fiamme; non ha funzionato, erano già bruciate.
Così abbiamo finito e siamo tornati in auto con tutti i bagagli e la macchina fotografica; abbiamo caricato tutto, siamo saliti e siamo andati in stazione, con Carl che ci ha accompagnato e noi che gli abbiamo portato via ancora un po' del suo tempo, con Waltraut tanto comprensiva e Mickey che aspettava il suo turno per mettere alla prova l'universo. Avere simili amici significa essere strappati per sempre alle fauci dello squalo e rende le piccole cose degli esseri umani ancora più miracolose delle cattedrali morte.
Così sul marciapiede dove partiva il treno avevamo marchi, franchi e dollari, abbiamo aspettato e Carl ha detto: "Telefonerò a Barbet l'ora del vostro arrivo a Parigi. E se non lo troverò cercherò di avvertire Rodin o Jardin".
"Grazie, Carl..."
Aspettando abbiamo scattato qualche foto e poi ci siamo salutati e siamo saliti, e abbiamo anche fatto i saluti dal finestrino mentre il treno partiva. Se ti importa di qualcuno, questo è uno degli avvenimenti più tristi della vita e degli esseri viventi, e il trucco migliore è fingere di essere annoiati, altrimenti può diventare imbarazzante, e poi il treno non si ferma né inverte la rotta, non là comunque, e quindi è un po' come morire lentamente, per niente bello, è meglio entrare nello scompartimento e sedersi a cercare carte geografiche e sigarette, a controllare che i bagagli non ci cadano in testa, a vedere se i braccioli si possono piegare in modo da potersi allungare, a controllare il passaporto e la stitichezza, poi pensare a come e quando riuscire a conquistarsi il primo drink.

Charles Bukowski, da Shakespeare non l'ha mai fatto, Feltrinelli 1996.

Le città continue. 2.

Se toccando terra a Trude non avessi letto il nome della città scritto a grandi lettere, avei creduto di essere arrivato nello stesso aeroporto da cui ero partito. I sobborghi che mi fecero attraversare non erano diversi da quegli altri, con le stesse case gialline e verdoline. Seguendo le stesse frecce si girava le stesse aiole delle stesse piazze. Le vie del centro mettevano in mostra mercanzie imballaggi insegne che non cambiavano in nulla. Era la prima volta che venivo a Trude, ma conoscevo già l'albergo in cui mi capitò di scendere; avevo già sentito e detto i miei dialoghi con compratori e venditori dei ferraglia; altre giornate uguali a quelle erano finite guardando attraverso gli stessi bicchieri gli stessi ombelichi che ondeggiavano.
Perché venire a Trude? mi chiedevo. E già volevo ripartire.
- Puoi riprendere il volo quando vuoi, - mi dissero, - ma arriverai a un'altra Trude, uguale punto per punto, il mondo è ricoperto da un'unica Trude che non comincia e non finisce, cambia solo il nome dell'aeroporto.


Italo Calvino, da Le città invisibili, Einaudi 1972.

03 dicembre 2007

voglio dire delle cose

sono il gatto. lei è il mio umano. lei ha detto che io posso scrivere. io scrivo.
voglio dire delle cose.
dormire è bello. dormire nella vaschetta con i fogli mentre lei lavora è più bello. lei ci ha messo il cuscino. lei è gentile quando capisce. sto vicino alla macchina del caldo che lei usa per scrivere e leggere. è molto bella. ha quadretti morbidi per sdraiarsi, massaggiano la schiena. anche a lei piace la macchina del caldo. lei la guarda tutti i giorni per tanto tempo. non si sdraia sopra, però (non sa che è bello).
delle volte lei scrive scrive scrive e non fa niente. delle volte legge e ride. delle volte legge e piange. delle volte legge e si arrabbia. questo molte volte.
io dico: gratta le unghie sul divano, dopo stai meglio. lei non capisce.
dico: anche il materasso va bene. lei non capisce.
dico: anche la poltrona va bene. lei non capisce.
lei proprio non capisce.

29 novembre 2007

Le città e la memoria. I.

Partendosi di là e andando tre giornate verso levante, l'uomo si trova a Diomira, città con sessanta cupole d'argento, statue in bronzo di tutti gli dei, vie lastricate in stagno, un teatro di cristallo, un gallo d'oro che canta ogni mattina su una torre. Tutte queste bellezze il viaggiatore già conosce per averle viste in altre città. Ma la proprietà di questa è che chi vi arriva una sera di settembre, quando le giornate s'accorciano e le lampade multicolori s'accendono tutte insieme sulle porte delle friggitorie, e da una terrazza una voce di donna grida: uh!, gli viene da invidiare quelli che ora pensano di aver già vissuto una sera uguale a questa e d'esser stati una volta felici.

Italo Calvino, da Le città invisibili, Einaudi 1972.

Extrema (ir)ratio

Vi è mai capitato di accarezzare per un istante l'idea di suicidarvi per costringere qualcuno a capire che vi sta facendo soffrire oltre il sopportabile?

28 novembre 2007

Rinascita



Lenta la superficie si incrina,
si sbriciola il guscio,
cade a terra un frammento.
Timida la vita fa capolino,
si guarda intorno,
comincia a canticchiare.
La musica riprende a scorrere...

Il diritto

Non ti strappo il coltello dalle mani,
è vero, tanto alla morte
non c'è alternativa.
Ma non per questo
hai il diritto
di uccidermi.

27 novembre 2007

Le streghe son tornate...

... e hanno pestato una grossa merda.
Hanno approfittato della prima grande trasversale manifestazione contro la violenza sulle donne per far fare, a tutte, una figura barbina in diretta nazionale e dare il destro alla stampa per parlare solo dei tafferugli e dell'intolleranza ideologica invece che dell'argomento grave e urgente che la manifestazione voleva portare all'attenzione dell'opinione pubblica e al centro dell'agenda politica.
vi ricorda qualcosa? di solito ci sono i finti black-bloc scesi dalla camionetta a recitare travestiti il personaggio del "facinoroso che non è stato isolato" per spostare l'attenzione del dibattito, invece no, questa ce la siamo fatta davvero e da sole.
compliments.
pessima idea organizzare una manifestazione per poter parlare di un problema e poi far chiudere la diretta televisiva occupando il palco e perdendo quindi la possibilità, così difficile da ottenere, di parlare a tutti e tutte. pessima idea scacciare ministre, per quanto odiose e fasciste, che potrebbero contribuire a spingere in parlamento per velocizzare l'iter della legge tanto agognata e tanto necessaria contro la violenza domestica. pessima idea inibire la partecipazione di uomini e ragazzi, perdendo la possibilità di essere il doppio in piazza a manifestare, e perdendo l'adesione ufficiale di associazioni che non possono e non vogliono discriminare gli uomini (se non altro quando fanno una cosa fatta bene). pessima idea scandire a squarciagola slogan violenti, perché... è sempre una pessima idea.
sabato sera ho pianto di rabbia davanti ai telegiornali.
le streghe hanno veramente rotto i coglioni.
propongo un servizio d'ordine alle manifestazioni per isolare le facinorose (chi l'avrebbe mai detto che sarebbe servito?). e chi scandisce slogan violenti sta a casa. STA A CASA. STA A CASA, A URLARLI NEL CESSO DI CASA SUA, PER SENTIRE L'ECO DELLA SUA VOCE E VEDERE SE RIASCOLTANDOSI CAPISCE DI AVER DETTO UNA CAZZATA.

ps: femministe, proprio voi: cercate di dire delle figate, non delle cazzate. oppure dovremo cambiare anche questo stereotipo del linguaggio - l'unico che paradossalmente ci avvantaggia - che nasce dal dominio maschile nella cultura, dove finora "figa = positivo!" "cazzo = negativo!"

26 novembre 2007

Opere di bene e fiori... di strada

"Cari amici,
come tutti gli anni il 25 novembre ricorrerà la Giornata Internazionale contro la violenza alle donne.
Come sempre accade in questi casi la Giornata sarà un occasione “istituzionale” utile a informare e sensibilizzare istituzioni e privati cittadini. In tutto il mondo si terranno numerosi incontri e convegni che speriamo servano a toccare la coscienza di quante più persone possibili.

Fiori di Strada, dal canto suo, quel giorno non parteciperà a nessun incontro. Come ormai forse sa chi ci conosce, noi frequentiamo poco la forma, quasi ne diffidiamo, in costante inseguimento, come siamo, della sostanza.

E la sostanza, sgombrando il campo da facili retoriche e ipocrisie, sono le troppe, crescenti vittime senza nome di nuova schiavitù, talmente spaventate da aver paura persino di farsi aiutare; ma sostanza sono anche le 34 ragazze e ragazzine che, con il vostro aiuto, Fiori di Strada ha sottratto alle brutalità ed efferatezze della vita in strada; sono le vittime nascoste in case protette; sono i criminali denunciati alle forze dell’ordine e all’autorità giudiziaria; sono le adolescenti ricondotte alla vecchia o ad una nuova famiglia.

Tra pochi giorni ricorrerà la Giornata Internazionale contro la violenza alle donne. E noi, come molte altre associazioni, la onoreremo in silenzio, come ogni giorno, lavorando sulle strade."

Fiori di Strada Associazione Onlus
Casella postale 2138 - 40137- Bologna
Emergenze 24 ore 392.900.800.1
Uffici 392.900.800.2
Fax 051.33.71.457
info@fioridistrada.it
www.fioridistrada.it

11 ottobre 2007

>Never is a promise

Youll never see the courage I know
Its colors richness wont appear within your view
Ill never glow - the way that you glow
Your presence dominates the judgements made on you

But as the scenery grows, I see in different lights
The shades and shadows undulate in my perception
My feelings swell and stretch; I see from greater heights
I understand what I am still too proud to mention - to you

Youll say you understand, but you dont understand
Youll say youd never give up seeing eye to eye
But never is a promise, and you cant afford to lie
Youll never touch - these things that I hold
The skin of my emotions lies beneath my own

Youll never feel the heat of this soul
My fever burns me deeper than Ive ever shown - to you
Youll say, dont fear your dreams, its easier than it seems
Youll say youd never let me fall from hopes so high
But never is a promise
and you cant afford to lie

Youll never live the life that I live
Ill never live the life that wakes me in the night
Youll never hear the message I give
Youll say it looks as though I might give up this fight

But as the scenery grows, I see in different lights
The shades and shadows undulate in my perception
My feelings swell and stretch, I see from greater heights
I realize what I am now too smart to mention - to you

Youll say you understand, youll never understand
Ill say Ill never wake up knowing how or why
I dont know what to believe in, you dont know who I am
Youll say I need appeasing when I start to cry
But never is a promise
and Ill never need a lie

Fiona Apple, Never is a promise, da Tidal, 1996

20 settembre 2007

Bestie

Abito nella zona dove vogliono fare la moschea.
Sento alla radio un breve report della riunione "di cittadini" (più qualche politico che provvedeva a buttare taniche di benzina sul fuoco) che se non ho capito male si è svolta ieri sera in una sala di quartiere. La giornalista dice che la tensione era evidente, che tra i residenti dominava l'atmosfera di preoccupazione e di paura.
Dove risiedono, mi chiedo io, questi residenti? Non lo sanno che ci vivono già tra centinaia di persone musulmane? Non accendono il cervellino per ricordarsi che "nonostante" la presenza di tutti questi musulmani, non succede mai niente di male? anzi, forse la gentilezza, la tranquillità, l'educazione delle tante persone bengalesi che abitano il quartiere alza leggermente il livello...
Non riescono a fare mente locale e a capire che la moschea non servirebbe per organizzare l'arrivo di Bin Laden (che - come sappiamo - deve far saltare in aria San Petronio, dove Maometto viene vilipeso in una affresco, ragione per cui hanno transennato i gradini della grande chiesa, misura efficacissima nel caso un aereo dirottato ci si schiantasse sopra), ma semplicemente permetterebbe di avere un luogo di culto per pregare ai ragazzi che ogni giorno gli vendono la frutta, lo scottexcasa e la sabbia del gatto?

I residenti sono spaventati, dice la giornalista. Quindi racconta che hanno preso la parola vari rappresentanti o politici, che non ho fatto in tempo a memorizzare, e poi Gianfranco Fini - considerato uomo intelligente, preparato, un "avversario" con cui ha senso confrontarsi - e pare abbia detto: "La moschea di 5000 metri quadrati non si deve fare, non faremo mai una moschea neanche di 5 metri quadrati, perché quelle BESTIE devono stare a casa loro!!!"
Ovazione dei presenti.

Poi, naturalmente, tutti hanno precisato che però non sono assolutamente razzisti. Assolutamente.

19 settembre 2007

Cosa vuoi da me?

Stasera ho visto un delizioso concerto. Samuele Bersani è un soggetto davvero particolare.
E' un piacere ascoltarlo: canta in modo sublime, e subito dopo ti disarma di nuovo con le uscite naif, tanto sagge nel contenuto quanto sconclusionate nella forma, con cui presenta le sue canzoni, con un accento romagnolo talmente mostruoso che gli vuoi bene appena apre bocca...
Vale proprio la pena andarlo a sentire, è come uscire con lui e andare a chiacchierare in pizzeria, anche se poi la musica è perfetta.
Ha fatto tutte le mie preferite, e ha chiuso il concerto con questa.


Siamo fatti come le nuvole
che nel cielo si confondono
pronti a scatenare un fulmine
ma ci divide il passaggio di un aereo.
Non so più se credere
agli amici che mi parlano di te.
Sono delle vipere
se mi dicono che adesso stai benissimo.

Cosa vuoi da me? Cosa vuoi da me?

Amore, adesso vestiti,
sto venendo lì a riprenderti
faccio quello che vuoi tu
una stanza senza la tv.
Neanche l'ombra di un telefono
parleremo a un millimetro io e te
saliremo sopra un albero
di quello che faremo, questo è il minimo.

Cosa vuoi da me? Cosa vuoi da me?

Sì lo so che sono stupido,
che bastavano due coccole
Che sei anche un'altra cosa da me
Non un nemico da combattere.
Sì, per me che sono libero
ma c'è anche il lato comico con te
io sarò davvero libero
confondendomi con te nel cielo limpido.

Cosa vuoi da me? Cosa vuoi da me?

Siamo fatti come nuvole
che nel cielo si confondono
fino a quando arriva il vento dell'est
inevitabilmente si dividono.

Cosa vuoi da me? Cosa vuoi da me?

Cosa vuoi dimmi ma che cosa
Io non so cosa cerchi da me,
pensi forse che sia stupido o no?
O addirittura che ho bisogno di te.
Ma ti prego torna subito!

Samuele Bersani, Cosa vuoi da me?, da una canzone dei Waterboys

Non c'è più religione...

ABORTO: LETTERA APERTA DI PAOLO POBBIATI, PRESIDENTE DI AMNESTY INTERNATIONAL ITALIA, AL PRESIDENTE DELLA CEI, ANGELO BAGNASCO.
"MAI DETTO CHE L´ABORTO E´ UN DIRITTO UMANO, DIFENDIAMO LE DONNE CHE HANNO SUBITO VIOLENZA SESSUALE. MAI RICEVUTI NE´ SOLLECITATI FINANZIAMENTI DALLA SANTA SEDE."

"Eminenza,
ieri, in occasione dell´apertura dei lavori del Consiglio episcopale, Ella ha voluto commentare la politica adottata da Amnesty International, lo scorso mese di agosto, su alcuni specifici aspettiriguardanti l´aborto.

A questo proposito mi permetto di fare alcune considerazioni. Nonostante le numerose precisazioni e smentite che siamo stati costretti a fare nell´ultimo mese (e che, peraltro, il quotidiano "Avvenire" ha rifiutato di pubblicare, in spregio al diritto di replica), Ella ha attribuito ad Amnesty International un´affermazione mai fatta: che l´aborto sia stato da noi considerato un diritto umano.

Ieri, Ella ha voluto indicare Amnesty International tra i responsabili di una crisi morale del nostro paese, per il semplice fatto che la nostra associazione, dopo tre anni di ricerca e di missioni in paesi in cui la violenza sulle donne è tanto diffusa ed endemica quanto impunita, ha voluto prendere le difese delle migliaia e migliaia di donne che ogni anno subiscono stupri (sulle nostre strade, durante le guerre così come nei tanti Darfur che hanno luogo tra le mura domestiche) e delle migliaia e migliaia di donne che vanno in carcere o rischiano la pena di morte per aver cercato di interrompere una gravidanza a seguito di violenza sessuale o perché essa mette a rischio la loro vita o quella del nascituro. Donne derise e umiliate, cui viene negata giustizia, che vedonoi loro stupratori girare impuniti, davanti al portone di casa o a un campo profughi.

I resoconti delle nostre missioni in Darfur sono pieni di testimonianze di donne che ci raccontano che preferiscono uscire loro dalle tende, perché se lo fanno gli uomini verranno uccisi dalle squadre della morte sudanesi, mentre loro, le donne, verranno `solo´ stuprate. Insituazioni di guerra, lo stupro è diventato una vera e propria arma di distruzione di massa. Nell´ex Jugoslavia, in Ruanda e in Darfur sono tantissime le donne che sono state violentate sistematicamente perché partorissero un `figlio del nemico´.

Alla violenza devastante dello stupro, queste donne devono aggiungere quella che poi ricevono dalla comunità di origine, che spesso le considera impure o addirittura responsabili di ciò che hanno subito.Vengono isolate, allontanate, picchiate e talora uccise.

In tali condizioni, quali argomenti si possono imporre a una donna che sceglie di non portare avanti una gravidanza frutto di violenza, magari subita da quegli stessi uomini che un attimo prima hanno massacrato, davanti ai suoi occhi, il marito e i figli?

Quella che Le ho descritto è la realtà che molte missioni di ricerca di Amnesty International hanno conosciuto, nel corso della nostra campagna `Mai più violenza sulle donne´. Una realtà che ha portato due milioni di soci a scegliere di prendere una posizione. AmnestyInternational non auspica, non chiede che una donna violentata abortisca, ma se decide di farlo, vogliamo che non sia obbligata a rischiare la propria salute. Chiediamo, inoltre, che non finisca in prigione per averpreso quella decisione.

Amnesty International ha deciso di profondere il massimo impegno per eliminare le condizioni che favoriscono la violenza sessuale nei confronti di centinaia di migliaia di donne ogni anno. Come abbiamo ribadito anche nel corso del nostro Consiglio internazionale, svoltosi ad agosto in Messico, Amnesty International lavorerà per contrastare tutti quei fattori che favoriscono gravidanze indesiderate o che contribuisconoa portare una donna a scegliere di abortire. Questo è il cuore della posizione di Amnesty International, che però non trova menzione nelle Sue parole di ieri né nelle precedenti dichiarazioni di altri autorevolissimi esponenti della Chiesa Cattolica.

Infine, Le sarà probabilmente noto che Amnesty International non ha mai ricevuto, poiché a norma del suo Statuto non potrebbe mai sollecitarli né accettarli, finanziamenti dalla Santa Sede. La `sospensione´ di tali finanziamenti è tuttavia riportata oggi da alcuni organi di stampa, nel contesto delle critiche che Ella ha rivolto alla nostra associazione.

Nel massimo rispetto per il Suo ruolo e per la Sua persona, Le chiedo la disponibilità a lavorare insieme ad Amnesty International perché si pongano in essere tutte le misure necessarie, legislative ma anche di educazione e informazione sulla salute sessuale e riproduttiva, affinché si riducano al massimo i rischi di gravidanze indesiderate e, di conseguenza, si riduca l´incidenza del ricorso all´aborto.

Mi auguro, Eminenza, di ricevere una Sua cortese risposta.

Con i miei più deferenti saluti"

Paolo Pobbiati
Presidente della Sezione Italiana di Amnesty International

FINE DEL COMUNICATO
Roma, 18 settembre 2007

17 settembre 2007

>Lettera per una ragazza coraggiosa. Martedì 18 davanti al Tribunale di Bologna.

La ricevo da un mio amico, Matteo Bortolotti.
io ci sono.

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Ciao a tutti, alle amiche e agli amici. Non vi ruberò troppo tempo e mi scuso in anticipo se di questo messaggio vi arriverà più d'una copia. E' che ci tengo che arrivi a più gente possibile. Agli amici, appunto.

Circa un anno fa una ragazza è stata picchiata, violentata. Con lei, quella sera, c'erano due uomini. Uno era il suo ex-ragazzo, l'altro era un amico di questo ex-ragazzo. Dell'amico, le carte dicono che si tratta di un pregiudicato: si parla di lesioni e spaccio. E in questo caso, sono particolari che contano.

La ragazza è stata trovata per strada, a Bologna, e i poliziotti che l'hanno raccolta da terra hanno detto al giudice Zaccariello che era coperta di sangue e che urlava disperatamente. I due uomini hanno poi abbozzato strane versioni dei fatti, dopo l'arrivo dei rispettivi avvocati, uno di loro ha addirittura dichiarato di non aver visto l'amico quella sera. Alla fine, poi, se l'è rimangiata.
Le famiglie di queste persone, per difenderli dall'accusa di violenza sessuale privata, di gruppo, e di lesioni, hanno organizzato iniziative pubbliche in loro favore. Blog, concerti, qualcuno ha messo in dubbio la consensualità della ragazza... Ma di che consenso parliamo? Per far cosa? Per prendersi delle legnate? All'ospedale Sant'Orsola hanno scritto "evidenti segni di percosse al volto, al tronco e agli arti superiori ed inferiori". Cioè dappertutto.

Insomma, qualcuno qui pensa che si tratti di una guerra mediatica. Qualcuno crede che faccia davvero la differenza come si raccontano le cose, contro la famosa "evidenza dei fatti". Massì, facciamo così... avrà pensato qualcuno: offriamo birra ai passanti e gli diciamo "ehi, questo giro è offerto da tizio n°1 e tizio n°2, che sono brave persone, e non violenterebbero mai nessuno, mai mai, a meno che non glielo chiedessero, s'intende". E la famosa "evidenza dei fatti", dove sta? Sta in un viso tumefatto di donna, è un buco nero nel quale ti gettano gli schiaffi e l'umiliazione.

Be', io mi occupo per mestiere di come si raccontano le cose. E so di per certo che i fatti, stavolta, è davvero difficile rovesciarli con le parole. Perché le parole sono bugie. E se chi li usa non è sincero, allora sono soltanto uno strumento che ti prende per le viscere e ti sbatte da una parte o dall'altra. Funziona per poco, però. Perché il mondo non è sempre stupido come gli stupidi credono che sia. Io vi sfido a trovare parole più forti del corpo di una giovane donna insanguinato.

Volevo parlarvi del coraggio di questa ragazza. Del suo coraggio - che m'ha chiamato ieri, al telefono - e del coraggio della famiglia che le è stata vicino. Dell'intelligenza di queste persone. Volevo parlarvi del pudore - forse insano, velato da qualcosa di molto simile alla timidezza - che ho avuto nei mesi scorsi, restando nell'ombra, facendo sapere a chi di dovere che io c'ero. E lei è qui, adesso. Fuori dal buco nero, e io l'aspettavo.

Mi chiede di non lasciarla sola, e questa richiesta la estende a tutti voi.

Perché all'offesa e all'umiliazione subita un anno fa, allo sfregio dei blog, dei concertini, delle agiografie poggiate sulla faccia di queste persone come maschere di una rivoltante commedia dell'arte, non s'aggiunga più dell'altro. Perché lei e i suoi familiari non vengano abbandonati. I due uomini di cui vi ho parlato sono agli arresti domiciliari, scrive il GIP, per il “sussistente quadro di gravità indiziaria” e per la possibile “reiterabilità del reato”.

Martedì 18 settembre, al tribunale di Bologna (piazza Trento Trieste, 3) ci sarà l'udienza preliminare. Alle 10:00, proprio davanti al tribunale, per far compagnia a questa ragazza tanto coraggiosa, io sarò là.
Ci saranno diverse organizzazioni per la difesa dei diritti delle donne e non solo.
Ci saranno molti amici di questa ragazza.
Smettiamola di dare per scontato che siamo un Paese civile.
Cominciamo a fare il Paese civile.
Vi aspettiamo.

Matteo Bortolotti
http://www.matteobortolotti.it/

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appuntamento confermato e ribadito dalla Rete delle Donne
su http://www.women.it/
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16 settembre 2007

Il dio delle piccole cose

Ieri notte sono andata a dormire incazzata e stanca. Confidavo in un sonno ristoratore, nella notte che porta consiglio e tutte quelle balle lì. Mi sono svegliata stamattina stanca e incazzata più di ieri, avvelenata direi. In cuor mio ho mandato segretamente affanculo tutte le scuole di pensiero positivo, dalla saggezza popolare alla New Age. Come buongiorno non c'è male.

Oggi però devo lavorare, quindi non posso ricorrere alla madre di tutti i rimedi, cioè girarmi dall'altra parte e rimettermi a dormire, così cerco di non lasciarmi andare e di dare una parvenza di efficienza alla mia giornata (ci provo ogni volta, deve essere per questo che poi mi ritrovo incazzata e stanca). Perciò ingerisco una serie di integratori bio-psico-linfo-gastro-utero-coadiuvanti, benefici e naturali - operazione che lì per lì non genera altro effetto che quello di farmi sentire una tossica stile Joan Collins subito prima di scolarsi il suo primo margarita della giornata e andare a sposare l'undicesimo marito - e, per pareggiare, scendo a buttare la spazzatura, operazione che sono certa Joan Collins non fa. Devo ricaricare il cellulare, ma mi accorgo che ho lasciato su in casa il bancomat. Inanello una serie di pensieri molto molto negativi, che non sto qui a riportare.

Mi guardo intorno alla ricerca di qualcosa che sono praticamente certa di non trovare, ma, si sa, la speranza è l'ultima corda a cui ti impicchi. Bar chiusi, edicola chiusa. Nella mia città è così. La domenica mattina Bologna sembra il set di una puntata di "Ai confini della realtà", di quelle in cui il protagonista si aggira stravolto per le strade accorgendosi con terrore che la gente è immobile col braccio in aria e gli orologi sono fermi.
Tento l'ultima carta: il "bar dei vecchi" sotto al Casalone. Lo chiamo così, con un filo di spocchia che non dovrei permettermi, per via della sua frequentazione pressoché esclusiva da parte di persone di sesso maschile, quasi tutte anziane, decise a non farsi fregare dalla solitudine. Non più tardi di ieri sono passata davanti a un mega-torneo di carte all'aperto che metteva allegria solo a guardarlo.

Il bar dei vecchi è un bar di quelli veri. Non un lounge-bar, o un wine-bar. Niente happy hours, niente aperitivi trendy. E' un bar-bar. Un bar di quelli di una volta, con i clienti fissi, con le luisone che ti guardano da dietro il vetro con gli occhietti di uva passa leggermente in apprensione, fingendo indifferenza. (Per chi non ha mai letto Benni, la luisona è una brioche che a forza di stare lì ha cominciato a vivere di vita propria e, proprio perché è viva, è dotata come tutti gli esseri viventi dell'istinto di sopravvivenza, per cui riesce giorno dopo giorno a sottrarsi alle mani che si allungano sotto la teca trasparente per afferrarla.)
Fa degli orari assurdi che non ho mai capito, il bar dei vecchi: riesce a rimanere aperto più a lungo e in giornate più improbabili perfino dei negozietti dei bengalesi. Mi avvicino attraverso il prato, una bicicletta con il giornale stretto nella molla, appoggiata all'albero di fronte, mi incoraggia. E infatti è aperto, e dentro già molto animato anche se sono solo le otto e mezza di domenica mattina.
Ringrazio tra me e me il dio delle piccole cose e chiedo un caffé alla signora che praticamente vive dietro quel bancone. Mi affianca un omarello baffuto, "Fanne uno anche a me, Ivonne!". Dice proprio così, I-V-O-N-N-E, pronunciando tutte le lettere.

Finalmente so come si chiama. La signora Yvonne ha il viso sfatto di chi da tempo immemorabile comincia a lavorare quando gli altri ancora dormono, il corpo sformato abbracciato con comprensione da un vestito di maglia nero, ma è truccata con cura e ha la messa in piega a tenere alto il morale dei suoi capelli, che si intuiscono bianchi sotto la tinta biondo-Grano Dorato ("perché io valgo"). Yvonne ha la voce profonda e roca di chi ha passato una vita a sgolarsi in una stanza rumorosa e densa di fumo, e lo sguardo di un mercenario che è andato e tornato dalla Legione Straniera. Mi sono interrogata spesso su quello sguardo e sulla vita che custodisce.
Lei si volta e mette sotto alla macchina del caffé due tazzine di vetro, una per me e una per l'omarello baffuto. Poi, ancora appoggiata alla manopola, mentre il caffé diligentemente scende, con un gesto stanco gira giusto il viso verso di me e mi allarga un sorriso, lento e sincero.

Rispondo al suo sorriso, bevo, pago. Prendo da portare via anche una brioche salata, che, come al solito, non sa di niente - deve trattarsi di una forma di mimetismo, come quegli insetti che assumono il colore di un rametto o di un sasso perché non hanno nessun altro modo di difendersi dai loro predatori. Saluto la signora Yvonne e, fendendo la piccola folla canuta e vociante che discute, ride e fuma sulle seggioline di plastica all'esterno, mi avvio verso casa per cominciare la giornata, meno incazzata e meno stanca.

15 settembre 2007

Darwin e il vino rosso

Stasera tornando a casa in bicicletta, mentre cercavo di salvare le piume nel buio nottoso tra automobili sfreccianti e offensive, mi sono ritrovata a meditare sui seguenti quesiti marzulli (aiutata molto, devo ammettere, da tre o quattro bicchieri di vino rosso siciliano contro tutte le mafie):

nella vita è più intelligente adattarsi o non adattarsi?

fino a che punto l'identità è una bussola e quando invece diventa un intralcio?

quello che sono davvero coincide necessariamente con ciò che sono sempre stato? e ciò che sono sempre stato è qualcosa che mi aiuta a non impazzire o è proprio quello che mi farà impazzire?

bisogna essere duri senza perdere la tenerezza?

dove finisce darwin e comincia emilio fede? o emilio fede è un perfetto esempio di adattamento darwiniano?


io... delle volte ho deciso di adattarmi, delle volte no. di alcune di quelle volte-no sono anche molto fiera, anche se le conseguenze sono state pesanti. ma non c'è merito, almeno nel mio caso non tanto: forse, in realtà, quando non ci si adatta è più che altro perché non si può proprio fare diversamente.

su altre volte-no e volte-sì, invece, mi tormentano grandi rimorsi e rimpianti, inutili come solo i rimorsi e i rimpianti sanno essere.

allora? è più intelligente adattarsi o non adattarsi?
come sempre dipende, ovviamente... e purtroppo. purtroppo, sì, perché - ho concluso - la cosa veramente difficile della vita è prendere definitivamente atto del fatto che non ci sono regole assolute e definitive, e non impazzire.

rimandata a domani ogni altra considerazione più articolata sull'argomento, lunga vita al vino rosso contro tutte le mafie.



Tata


mi abuela
ha trascorso
gli ultimi venticinque anni
in questo grande magazzino
chiamato america
Ha ottantacinque anni
e non conosce
una parola d'inglese

Quando si dice l'intelligenza



nonna: Pedro Pietri, da "Scarafaggi metropolitani e altre poesie"
vino: www.liberaterra.it

13 settembre 2007

Non un sorriso, ma

Poco fa,
all'improvviso,
ho visto sul mio viso
non un sorriso
ma
la sua possibilità.
Speriamo bene, chissà.

11 giugno 2007

La farfalla e i generali





















di Marina Montagna (dalla ML Burma News)



Forse in Italia non molti sanno chi è Aung San Suu Kyi, la “farfalla d’acciaio” birmana, come la chiamano quelli che la amano per la sua straordinaria forza interiore celata dietro un aspetto fragile e gentile. Certo nel 1991 Aung San Suu Kyi ha vinto il premio Nobel per la pace ma sul palcoscenico della storia i riflettori sono puntati su quanti detengono il potere – politico, economico, finanziario o militare - e possono decidere le sorti di interi popoli, non su quanti senza clamore, giorno dopo giorno, si battono per la democrazia e per la libertà, mettendo in gioco la propria vita e rischiando di perderla. Non eroi ma uomini e donne normali, spesso sconosciuti, ancora più spesso ridotti al silenzio da regimi brutali che non esitano a calpestare i più elementari diritti umani e a reprimere con la violenza ogni tentativo di ribellione e di cambiamento dello status quo. Aung San Suu Kyi è sicuramente una di questi. Nata a Rangoon nel 1945, pur essendo figlia di uno dei principali artefici dell'indipendenza birmana assassinato nel 1947, inizialmente non sembra aver ereditato una particolare vocazione politica in senso stretto. Infatti, dopo aver lavorato per alcuni anni presso la segreteria delle Nazioni unite a New York, nel 1972 sposa uno studioso inglese, Michael Aris, e si trasferisce nel Regno Unito dove per un lungo periodo conduce una esistenza tranquilla accanto al marito e ai due figli, Alexander e Kim. Nel 1988 però la svolta: per assistere la madre gravemente malata torna in Birmania dove già dal 1962, a seguito di un colpo di stato, si era insediata al potere una giunta militare che con la nazionalizzazione delle industrie, la soppressione dei partiti politici e la proibizione del libero scambio aveva portato il Paese all'isolamento dal resto del mondo.
E proprio il
1988 è un anno drammaticamente importante per la storia birmana; a seguito della rivolta studentesca e di una feroce guerra civile causa di migliaia di morti, viene proclamata la legge marziale. Nasce allora la Lega Nazionale per la Democrazia (NLD) e Aung San Suu Kyi ne diventa il leader e il Segretario generale.
Nonostante l'insuccesso dell'insurrezione popolare, spietatamente soffocata nel sangue, le proteste del
1988 aprono la strada per libere elezioni che si tengono, per la prima volta in 30 anni, nel 1990. Intellettuali, operai e masse di contadini oppressi e affamati intravedono finalmente una speranza di rinascita per quella terra - un tempo ricca, colta e tollerante - sprofondata nella miseria e nella dittatura. Il NLD, guidato da Aung San Suu Kyi, trionfa alle elezioni generali assicurandosi l'82% dei voti ma la giunta militare si rifiuta di cedere il potere ed arresta Aung San Suu Kyi, che stante ai risultati delle urne dovrebbe ricoprire la carica di legittimo Presidente della Birmania, e altri componenti dell'NLD.
Inizia così la estenuante detenzione di Aung San Suu Kyi: rimessa in libertà nel 1995, viene nuovamente arrestata nel 2000, riliberata nel 2002 e nuovamente arrestata nel 2003. Da allora Aung San Suu Kyi si trova agli arresti domiciliari, senza alcun contatto con il mondo esterno. Quando nel 1999 il prof. Michael Aris si ammala di cancro la giunta militare gli impedisce di entrare in Birmania per incontrare Aung San Suun Kyi ma concede a quest'ultima la possibilità di lasciare il Paese, costringendola a fare una scelta lacerante: accettare l’esilio pur di rivedere il marito che si andava spegnendo, divorato da un male dal quale non aveva scampo, o restare in patria per continuare tenacemente la battaglia non violenta per la libertà del suo popolo. Aung San Suu Kyi decide di rimanere. Il prof. Aris morirà così lontano dalla moglie, fedele alla promessa, fattale prima del matrimonio, di non frapporsi mai tra lei e i suoi ideali.
E' importante sottolineare che Aung San Suu Kyi non è accusata di alcun crimine, di alcun reato ma le leggi vigenti in Birmania consentono di condannare – arbitrariamente, senza preventivo giudizio - alla detenzione fino a cinque anni, ulteriormente prorogabili di anno in anno, anche chi è solo genericamente considerato pericoloso “per la sicurezza e la sovranità dello Stato”.
Oggi in Birmania, sono migliaia i prigionieri “politici” che dopo essere stati sottoposti a maltrattamenti e torture, ove quest’ultime non abbiano avuto esiti mortali, vengono lasciati in condizioni sub-umane a marcire nelle carceri, talvolta addirittura nelle celle destinate ai cani dell’esercito, perché colpevoli di aver fondato organismi studenteschi o di aver distribuito volantini o di aver partecipato a pacifiche manifestazioni di protesta o semplicemente di aver scritto un articolo o una poesia.
Basti pensare che quando nel 2000 venne pubblicato il cd degli U2 “ Is all that you can't leave behind”, contenente il brano “Walk on” dedicato a Aung San Suu Kyi, il regime non solo censurò e mise al bando il disco ma addirittura stabilì la pena della galera da tre a vent'anni per chiunque lo avesse venduto, acquistato o ascoltato.
“E se il buio dovesse dividerci / e se il tuo cuore di vetro dovesse rompersi / e se per un secondo tu dovessi voltarti indietro / oh no, sii forte. Vai avanti. Continua a camminare.”
Questi i versi di Bono che tanto in allarme misero i generali!
Oggi in Birmania, che i depliants turistici descrivono come un Paese “in cui tradizioni, arte, religione e bellezze naturali si fondono in un fascino unico al mondo”, sono illegali i telefoni cellulari e internet mentre serve una speciale autorizzazione delle autorità militari per possedere un fax, una fotocopiatrice o un'antenna satellitare.
Oggi in Birmania, nel paese dei templi da favola, della più preziosa giada e dei rubini color “sangue di piccione”, il regime, che ha concentrato nelle proprie mani tutte le ricchezze del Paese, fa sistematicamente ricorso al lavoro forzato di uomini, donne e bambini sequestrati e tenuti sotto la costante minaccia di violenze, di stupri “punitivi” e persino di morte. Come documentato dalla Commissione dell'ONU sui diritti umani e da Amnesty international nei suoi rapporti, il “lavoro forzato è stato ed tuttora utilizzato per lo sviluppo delle infrastrutture di base, come le strade, per costruire luoghi turistici come alberghi lussuosi o campi da golf. I soldati arrivano nei villaggi ed esigono che una persona per famiglia vada a lavorare. Questa non riceve né salario né cibo. Sarà uccisa se tenterà di fuggire. Bambini di nove anni sono stati costretti a lavorare in queste condizioni”.
L'area più colpita dalla violenza dei militari è quella sud-orientale; perciò ogni anno migliaia di esuli si muovono verso il confine con la
Thailandia, dove sono stati allestiti dei campi profughi. I rifugiati hanno comunque scarse possibilità di migliorare le loro condizioni di vita; la maggior parte della popolazione è estenuata da fame e malnutrizione e molti bambini per sopravvivere vengono costretti alla prostituzione. In questo stato le persone diventano facile bersaglio di malattie come malaria, epatite ed AIDS.
Nonostante tutto questo Aung San Suu Kyi non è mai caduta nella trappola dell'odio per i suoi avversari ma ha continuato la sua lotta non violenta affermando che “la vera rivoluzione è quella dello spirito” ed ha esortato il suo popolo a non arrendersi perché “non è il potere che corrompe, ma la paura. La paura di perdere il potere corrompe quelli che lo detengono. La paura della frusta, quelli che la subiscono”.
Se potessimo esprimere la nostra solidarietà ad Aung San Suu Kyi e a quanti condividono la sua stessa sorte, ci piacerebbe far nostre le parole di Bono e dire ad ognuno di loro: sii forte, vai avanti! Walk on!

19 giugno: Buon compleanno, ASSK

Campagna internazionale per celebrare
il 62esimo compleanno di Aung San Suu Kyi

Cari amici,

Vorremmo celebrare insieme a voi il 62esimo compleanno di Aung San Suu Kyi (19 giugno 2007) unendoci alla campagna internazionale lanciata per la sua liberazione.
Lo scorso venerdi, nonostante le pressioni internazionali e le manifestazioni dei suoi sostenitori, il regime militare di Myanmar contro il quale lei si è sempre battuta, ha deciso di prolungare la sua detenzione di un altro anno. Degli ultimi 17 anni, San Suu Kyi ne ha trascorsi circa 11 in isolamento.
Vogliamo far sapere al Governo birmano che ASSK ed il popolo birmano non sono soli e che c'è qualcuno che pensa a loro anche in Italia.

Abbiamo bisogno del vostro aiuto per far si che la campagna abbia l`effetto sperato. Iniziate sin da ora a spedire lettere di protesta (aggiungete un vostro commento o augurio) e spedite il tutto all'Ambasciata birmana con sede a Roma:


Ambasciata Presso Lo Stato Italiano Myanmar
00135 Roma (RM) - Via della Camilluccia, 551

Se volete, potete mandare il vostro messaggio di auguri tramite email, sempre all'Ambasciata Birmana in Italia:
meroma@tiscalinet.it

Per favore inoltrate questo messaggio a chiunque possa essere interessato ad aiutarci,

Grazie per la vostra gentile collaborazione,
Margherita Bebi
Euro Burma Office, Bruxelles

23 maggio 2007

Come dici? Non ti sento!

Stasera era una di quelle sere in cui non riuscivo a farmi capire da nessuno. E' così frustrante quando succede... mi abbacchio sempre molto ma poi mi ripiglio e penso "dipenderà anche da me", perché i rapporti si fanno in due (it takes two to dance, dicono gli inglesi). Mi riabbacchio per un istante, poi mi riripiglio e mi dico "ma allora forse posso farci qualcosa". Ma cosa? e mi triabbacchio.

Stasera però ho avuto un'illuminazione e sono andata a rispescare nella mia libreria un volumetto che ho letto anni fa quando stavo col Muto (allora ovviamente non mi servì a niente, solo una stordita come me può pensare che sia utile affinare le tecniche di ascolto con uno che non parla mai...)

Ma il libricino in sé non ne aveva colpa, e forse 'sto giro mi potrà essere di qualche aiuto, quindi lo rileggerò. Hai visto mai.

Ecco di che si tratta:
Jim Dugger, Le tecniche di ascolto, Edizioni Franco Angeli, 1999.

Il titolo originale (molto americano e più significativo) era:

Listen up! Hear what's really being said.

Dette così non servono a molto, e non c'entrano con le mie discussioni di stasera, ma lascio qui come spunto e invito alla lettura le prime righe che mi sono capitate sotto riaprendolo.

Tre principi guida per ascoltare senza giudicare:

1) Rispondete al comportamento o all'idea, non all'interlocutore.
2) Rispondete al presente, non al passato.
3) Rispondete descrivendo, non valutando.

Sembra facile...

Graffi e soffi: Sergio Dolce, Gatto rosso, da http://www.segnalidivita.com/murales

17 maggio 2007

per grazia ricevuta

Qualcosa del genere passò in testa a mia madre il giorno in cui fui assunta, in cui tornai a casa e mi buttai sul letto. Mia madre chiamò commossa zia Vanda; anche con le orecchie nel cuscino sentivo il suo sollievo: "A tempo indeterminato, i contributi".
Uscì di pomeriggio che pioveva e le scarpe ancora non le si erano asciugate dalla spesa, andò dal gioielliere e comprò un ex-voto.
Non sapevo che mia madre avesse mai chiesto una grazia per me, di tante che avrebbe potuto, non quella. Non ho mai saputo in quale chiesa l'avesse lasciato e cosa rappresentasse: non glielo ho chiesto perché ero offesa.
Ma adesso ancora ritirandomi a casa entro nelle chiese, mi affaccio alle cappelle, frugo con gli occhi tra le teche e sulle statue. Santi di legno dipinto mi mostrano le braccia come appendini, tutta la speranza e la preghiera che hanno saputo accogliere, e io mi chiedo dove sia quella di mia madre, che forma avesse quella che lei pensava per me.
Una penna, una mano, una testa, un libro con tre lettere puntate nell'argento, p.G.R.: la mia condanna e la mia rassegnazione per Grazia Ricevuta.
Accendo una candela e getto un euro per me in una cassetta a caso.


Valeria Parrella, p.G.R., da Per grazia ricevuta, Minimum fax, 2005.
Maurilio Catalano, Cuore trafitto, acquaforte, da www.pungitopo.com

15 aprile 2007

The crunchy with the smooth


...
It was just like being on a fast ride at the fun fair
The sort you want to get off because its scary
And then as soon as you're off you want get straight back on again
But all love is strange
And you have to learn to take the crunchy with the smooth I suppose
...

Billy Bragg, da Walk Away Renee, in Talking with the Taxman about poetry, 1986.
Sergio Dolce, "Il coniglietto e la chiave inglese", www.photografando.com




27 marzo 2007

> Che diritti ho su di te?



Che diritti ho su di te?

non sempre ciò che dico è giusto

pensare di avere buon gusto

che diritti ho su di te?


quando vieni in città?

più vicino per sentire la tua mano

per andare con te più lontano

quando vieni in città?


cosa ci aspetterà?

nel bidone tutti i dizionari

sul tabellone non ci sono gli orari

cosa ci aspetterà?


fuggire da te

la mia paura è una botta sul muro

che mi distoglie da un futuro sicuro

fuggire da te


la mia fortuna qual è?

sapere di essere il tuo pensiero

che ti allontana dal tuo buco nero

la mia fortuna qual è?


mi hai chiamato tu

il mio silenzio è una spada appuntita

agitata in quest'aria appesantita

mi hai chiamato tu


che diritti hai su di me?

inchiodare al muro una rosa

un quadro che mi dice qualcosa

che diritti hai su di me?


Bugo, Che diritti ho su di te, da Golia & Melchiorre (La gioia di Melchiorre), 2004.

Giulia Fonti, Collage, collage su carta 65 x 50 cm, 2006 - © 2007 galleria balmelli http://www.galleriabalmelli.com/artisti_fonti_opere.html

05 marzo 2007

Tao

Questo quadro è un'opera del mio amico Davide Pavlidis, pittore sopraffino amante del surrealismo (...domani chissà, come dice lui). Prendo a prestito l'immagine e il relativo commento perché l'ho trovato molto adatto a stare anche qui. Spero che non me ne voglia Pav (oh Pav, ti scrissi per chiedertelo ma tu dipingi dipingi e non guardi il tuo blog da settimane...)

Pav scrive:


Recentemente ho partecipato ad una mostra collettiva dedicata a Giovanni Pascoli. Mi ha particolarmente ispirato una poesia contenuta nella raccolta MYRICAE dal titolo "NEL CUORE UMANO": "Non ammirare, se in un cuor non basso, cui tu rivolga a prova, un pungiglione senti improvviso: c'è sotto ogni sasso lo scorpione. Non ammirare, se in un cuor concesso al male, senti a quando a quando un grido buono, un palpito santo: ogni cipresso porta il suo nido" Banalmente il poeta dice che nel male c'è un po' di bene e viceversa. Mi sono detto: - Ma è il TAO!- Avete presente quel simbolo circolare diviso in due settori, uno bianco e uno nero? Nel settore bianco c'è un disco più piccolo di colore nero e nel settore nero c'è un altro piccolo disco di colore bianco. Quello è il TAO. Così ho dipinto un cuore sano da un lato e malato dall'altro. Nascosto nella parte integra del muscolo cardiaco c'è uno scorpione nero mentre nella zona forata del cuore si vede un uovo portatore di vita. Quadro piuttosto trasversale (quasi tutti avevano presentato opere bucoliche con paesaggi e fanciullini) ma alla fine è stato apprezzato.

da www.davidepavlidis.splinder.com

26 febbraio 2007

Situazioni estreme




















Cos'è successo a Molly nei suoi primi otto anni? Più o meno niente. L'abbiamo protetta dal mondo come meglio potevamo. E' stata allevata in un ambiente amorevole, ha due genitori, non ha mai sofferto la fame e riceve un'istruzione che la preparerà ad affrontare la vita; eppure è triste, e questa tristezza, se ci pensate, non è fuori luogo. Le condizioni dei rapporti fra i suoi genitori la mettono in ansia, ha perduto una persona che amava (e un gatto) e si è resa conto che questi dolori saranno una parte inevitabile della sua vita futura. L'impressione che ho ora è che essere umani sia in sé già abbastanza drammatico; vale per chiunque: non c'è bisogno di essere un eroinomane o un poeta da reading per vivere situazioni estreme. Basta amare qualcuno.

Nick Hornby, Come diventare buoni, Guanda 2001.

25 febbraio 2007

Alzi la mano...


... chi non ha mai vissuto questo momento...
:-)
Pazienza non era solo tecnica, era genio nell'abilità di fissare in una immagine la più tenera come la più dolorosa e cruda umanità.

>Lascia stare

Lascia stare tutto quello che non vedi
è inutile fissarsi
andare con lo sguardo oltre le montagne
del quadro che hai davanti
Se vuoi vittoria avrai vittoria
se vuoi sconfitta avrai sconfitta
ma poi il destino in naftalina, mai
non chiuderlo in soffitta


Lascia stare tutto quello che non vedi
è inutile fissarsi
andare con lo sguardo oltre i marciapiedi
solcati dai passanti
Se vuoi ragione hai ragione
a proseguire col tuo istinto
ma non cambiare direzione, vai
avanti sempre dritto


Primo giorno di lavoro
già un reclamo e sono fuori
il tavolo svuotato dagli oggetti inutili
Torna la giacca nell’armadio e si può
far la scommessa che non riuscirò
a ricambiare tutto l’amore
che mi hai saputo dare

Lascia stare tutto quello in cui non credi
è inutile fissarsi
andare con lo sguardo oltre le pareti
dei muri che hai davanti
Se vuoi ragione hai ragione
a proseguire col tuo istinto
ma non cambiare la benzina, mai
nel mezzo di un tragitto

O ti saboterai da sola, un brivido
e poi te ne pentirai
Che masochismo è il tuo?
E' un meccanismo autodistruttivo,
dai che arrivo...


Primo giorno di lavoro
già un reclamo e sono fuori
il tavolo svuotato dagli oggetti inutili
Torna la giacca nell’armadio e si può
far la scommessa che non riuscirò
a ricambiare tutto l’amore
Che mi hai saputo dare

Lascia stare tutto quello che non vedi
e togliti quei guanti
finché non c’è una legge che te lo vieti
appoggiati ai miei palmi
Se vuoi ragione hai ragione
a proseguire col tuo istinto
ma non cambiare la benzina, mai

nel mezzo di un tragitto

Samuele Bersani, Lascia stare, da L'aldiquà (2006)