29 settembre 2006

Evidentemente, sì


















Ecco, in questo momento mi viene in mente una strana immagine, di due persone che sono una di fronte all'altra sulle due rive opposte di un fiume del quale non riescono a stimare l'ampiezza. E tutt'e due, ciascuno dal suo lato, ciascuna come può, si mettono a costruire un ponte verso l'altra riva. E' impossibile sapere se i due ponti arriveranno mai a congiungersi, perché la cosa dipende da ciò che ognuno dei due ha in mente. Ma al tempo stesso l'energia prodigata dall'uno giova all'altro e lo motiva nella sua impresa.

Ecco, questa è l'immagine che mi è venuta in mente, e adesso mi viene da ridere vedendomi andare a cercare immagini così bislacche per riuscire ad esprimere quello che sento. E' così complicato? Evidentemente sì.


lettere: Laure Delmas, Thomas Gautier, Détenu cherche plume facile pour relation légère, Bompiani 2002.
forme e colori: www.danielegneus.com

27 settembre 2006

Buon compleanno

When I was young, it seemed that life was so wonderful,
a miracle, oh it was beautiful, magical.
And all the birds in the trees, well they'd be singing so happily,
joyfully, playfully watching me.
But then they send me away to teach me how to be sensible,
logical, responsible, practical.
And they showed me a world where I could be so dependable,
clinical, intellectual, cynical.

There are times when all the world's asleep,
The questions run too deep
for such a simple man
Won't you please,
please tell me what we've learned
I know it sounds absurd
but please tell me who I am

Now watch what you say or they'll be calling you a radical,
liberal, fanatical, criminal.
Won't you sign up your name, we'd like to feel you're acceptable,
respectable, presentable, a vegetable!

At night, when all the world's asleep,
The questions run so deep
for such a simple man
Won't you please,
please tell me what we've learned
I know it sounds absurd
but please tell me who I am
who I am
who I am

The Logical Song - Supertramp, da Breakfast in America, 1979


stamattina mentre facevo colazione e accendevo il computer, per radio ho sentito questa canzone, in una strana versione jazz cantata da una voce femminile.
mi è tornata in mente l'originale, che mi ha riportato a galla un tumulto di ricordi piccoli.. fu uno dei grandissimi successi di quell'anno, io ero in seconda media, fate voi i conti..
leggo il testo, a cui non avevo mai fatto caso, e scopro che si adatta perfettamente a come mi sento adesso.

The road to Guantanamo

Andate ASSOLUTAMENTE a vedere questo film! Non solo per l'argomento e perché è una storia vera (interviste ai veri ragazzi di Birmingham a cui è successa questa vicenda allucinante inframmezzate a documenti filmati della guerra e a ricostruzioni della loro storia fatte con attori), ma anche perché è un film, un vero film fatto BENISSIMO - non per niente ha vinto un prestigioso riconoscimento alla regia.

Almeno loro si sono salvati e hanno ripreso la loro vita, ma Guantanamo non è ancora stata chiusa. E non mi pare sia servita granché, o sbaglio? Alla faccia dei diritti umani, della Convenzione di Ginevra e di tutti noi. E viva viva la difesa dei valori occidentali, la sicurezza, la democrazia e il relativo import-export!

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da www.mymovies.it

The Road To Guantanamo (2006)

Un film di Michael Winterbottom, Mat Whitecross.
Con Riz Ahmed, Farhad Harun, Waqar Siddiqui, Arfan Usman.
Genere Drammatico, colore, 95 minuti.
Produzione Gran Bretagna 2006.

Uscita nelle sale: 15/09/2006

Michael Winterbottom racconta l'odissea di tre giovani musulmani inglesi rinchiusi innocenti per due anni nella famigerata base di Guantanamo.

di Giancarlo Zappoli


Quattro amici di età che va dai 19 ai 23 anni (Ruhel, Asif, Shafiq e Monir) partono dall'Inghilterra per il matrimonio di uno di loro in Pakistan. Siamo nell'autunno del 2001. Dopo una serie di vicissitudini tre di loro vengono arrestati dalle truppe americane e portati nella base di Guantanamo. Ne usciranno due anni dopo totalmente scagionati dall'accusa di terrorismo dopo aver subito torture psicologiche e fisiche brutali. Michael Winterbottom non è nuovo a imprese di questo genere. Molti ricorderanno Welcome to Sarajevo così come Cose di questo mondo (sui profughi dall'Afghanistan e vincitore dell'Orso d´Oro). Questa volta, dopo un inizio un po' faticoso che ricorda troppo da vicino Cose di questo mondo, l´accusa non potrebbe essere più diretta e lo stile più convincente. Il regista inglese decide infatti di intervistare i tre protagonisti e di ricostruire con non attori quanto da loro narrato. L'obiezione che può subito emergere è ovvia: Winterbottom ha fatto le verifiche necessarie? È sicuro che quanto raccontato dai tre corrisponda a verità? La risposta è sin troppo facile: per certo i giovani avevano un alibi di ferro e nonostante questo si sono fatti due anni di Guantanamo come terroristi pericolosissimi. A questo si può aggiungere che se fosse vera anche solo la metà delle torture da loro raccontate come subite ad opera dei soldati americani questo sarebbe già più che sufficiente per parlare di barbarie. Winterbottom mette poi a segno un colpo di genialità da ricercatore quando mostra una dichiarazione di Donald Rumsfeld che afferma testualmente "Stiamo rispettando in massima parte la Convenzione di Ginevra sui Diritti Umani". L´uomo di punta dell'Amministrazione Bush dice la verità: quello che sta oltre alla massima parte precipita nel buio o nel sole a picco su celle di metallo in mezzo a un cortile della base di Guantanamo al cui ingresso (Camp Delta) si legge: "Honour Bound to Defend Freedom". Per molto, molto meno Richard Nixon dovette lasciare la Casa Bianca. Erano altri tempi? Forse. Sta di fatto che una democrazia non è tale perché simili e sistematiche violazioni del Diritto possono essere denunciate. Una democrazia è tale quando queste non possono verificarsi.

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26 settembre 2006

(senza parole)


































sfruculiando le foto dei mondiali antirazzisti 2006 -
che ci servono per attività varie e anche per farsi venire il magone.. -
ho trovato due foto fatte da me delle quali sono vagamente orgogliosa :)

eccole qua, due immagini che non hanno bisogno di parole (quindi le immagini per eccellenza) e una piccola iniezione di autostima per me..

22 settembre 2006

Abitare l'impossibile

Alla condizione di senza patria Said ci è abituato. Nato a Jenin per errore, dice di sé. E quando si nasce per errore, la vita intera è forse destinata a essere un'erranza interminata.
[...]
E tutto per un'inezia. Un classico, assurdo cavillo burocratico. Per un foglio scritto male. Prima il passaporto giordano scaduto, il nuovo passaporto palestinese che non arriva, la dichiarazione di identificazione del consolato palestinese che non viene accettata. Poi la convocazione in prefettura, Said si presenta col datore di lavoro, ma nel fascicolo risulta che non si è presentato, è stato cancellato, fatto sparire. E così l'archiviazione del caso, e la conseguente notifica di espulsione. "E' questo che non riesco ad accettare- dice Said. Era un problema che non dovevo avere."
[...]
Non gli rimane che una possibilità. Chiedere l'asilo politico. E se chiedi l'asilo finisci in un CPT. Per non arrivare in ritardo all'appuntamento con la questura, quel giorno Said prende un taxi. Poi c'è l'aereo fino a Palermo. lì lo caricano su un furgone blindato nella canicola del luglio siciliano, dietro a un vetro rinforzato, seduto su un pavimento. Poi a Trapani.
[...]
Una volta rilasciato ha avuto l'incontro con la commissione, che gli ha concesso lo status di rifugiato politico. Adesso non può più tornare il palestina. Nella sua palestina impossibile. Appartiene definitivamente, adesso, alla sua città di senza patria. La città che ha cantato nella poesia che chiude questa storia. Perché Said è un poeta, ed è un poeta che ha per maestri Adonis e Darwish.
Fare poesia è abitare l'impossibile. Said è una vita che abita l'impossibile.

FENICE, ENTRERO'?

Ho tolto tutti i miei vestiti
Per pellegrinarmi in te
Ho tolto la penna
La spada
Ho ingoiato il mare morto
Ho indossato la chitarra
Per pellegrinarmi in te
Nudo
Ma non come neonato.

Ho tolto le foglie dagli alberi di laguna dai miei piedi
Ho tolto la mia cintura di sorrisi
L'ultima vestaglia di raggi carnevaleschi
Fatta di sabbia
Ho tolto l'orologio del non-tempo
Mi sono fermato nudo e pellegrino in te
Perdonami se non ho tolto il mio anello fatto d'aria
Divento Blu
Ah se fosse la tua mano il fuoco
E la mia guancia il vento
E io divento il tuo eterno pellegrino
Tu diventi la mia fede
Rigetto il mio mare morto sulla tua fiamma
Che ci torni più Fenice di prima.


da Marco Rovelli, Lager italiani - I centri di permanenza temporanea, le storie dei clandestini reclusi senza colpa. Disperazione, solitudine, diritti violati. La sconfitta di un paese civile, BUR 2006.

nell'immagine, l'articolo 13 della Dichiarazione Universale dei diritti umani.

colto da malore

per favore guardate bene questa foto.

martedì prossimo sarà un anno.

il 25 settembre 2005 a ferrara moriva Federico Aldrovandi, 18 anni.



colto da malore mentre aggrediva a calci e pugni un'auto della polizia.



domani, sabato 23 settembre, manifestazione nazionale a ferrara per chiedere che sia fatta luce.

federicoaldrovandi.blog.kataweb.it

www.veritaperaldro.it

La discussione è una guerra?






















[...] Basandoci fondamentalmente sull'evidenza linguistica, abbiamo scoperto che la maggior parte del nostro normale sistema concettuale è di natura metaforica. Abbiamo inoltre trovato un modo per cominciare a identificare in dettaglio quali sono le metafore che strutturano la nostra percezione, il nostro pensiero e le nostre azioni. Per dare un'idea di cosa significa dire che un concetto è metaforico e che esso struttura una nostra attività quotidiana, consideriamo l'esempio del concetto "discussione" e della metafora concettuale LA DISCUSSIONE E' UNA GUERRA. Questa metafora è riflessa in una grande varietà di espressioni presenti nel nostro linguaggio quotidiano:

LA DISCUSSIONE E' UNA GUERRA
Le tue richieste sono indifendibili.
Ha attaccato ogni punto debole della mia argomentazione.
Le sue critiche hanno colpito nel segno.
Ho demolito il suo argomento.
Non ho mai avuto la meglio su di lui in una discussione.

Ciò che è importante sottolineare è che noi non soltanto parliamo delle discussioni in termini di guerra, ma effettivamente vinciamo o perdiamo nelle discussioni: noi vediamo la persona con cui stiamo discutendo come un nemico, attacchiamo le sue posizioni e difendiamo le nostre, guadagnamo o perdiamo terreno, facciamo piani e usiamo strategie, se troviamo una posizione indifendibile la abbandoniamo e scegliamo una nuova liena di attacco. Molte delle cose che noi facciamo durante una discussione sono in parte strutturate dal concetto di guerra.. Sebbene non ci sia un combattimento fisico, c'è tuttavia un combattimento verbale, che si riflette nella struttura della discussione: attacco, difesa, contrattacco ecc. In questo senso la metafora LA DISCUSSIONE E' UNA GUERRA è una di quelle metafore con cui viviamo in questa cultura: essa struttura le azioni che noi compiamo quando discutiamo.Provate a immaginare una cultura in cui le discussioni non siano viste in termini di guerra, dove nessuno vinca o perda, dove non ci sia il senso di attaccare o difendere, di guadagnare o perdere terreno. Una cultura in cui una discussione è vista come una danza, i partecipanti come attori e lo scopo è una rappresentazione equilibrata ed esteticamente piacevole. In una tale cultura la gente vedrà le discussioni in un modo diverso, le vivrà in modo diverso, le condurra in modo diverso e ne parlerà in modo diverso. Ma dal nostro punto di vista, questa gente probabilmente non starebbe discutendo ma facendo qualcosa di diverso. Sarebbe strano perfino definire la loro azione come una discussione. Forse il modo più neutro per descrivere questa differenza tra la nosta cultura e la loro sarebbe il dire che noi abbiamo una forma di discorso strutturata in termini di combattimento mentre loro ne hanno una strutturata in termini di danza. Questo è un esempio di ciò che significa dire che un concetto metaforico, e precisamente LA DISCUSSIONE E' UNA GUERRA, struttura (almeno in parte) ciò che facciamo e come comprendiamo ciò che stiamo facendo nel corso di una discussione. L'essenza della metafora è comprendere e vivere un tipo di cosa in termini di un altro. Le discussioni non sono sottospecie di guerre. Le discussioni sono cose diverse - discorsi verbali e conflitti armati - e le azioni che vengono compiute sono diverse. Ma una discussione è parzialmente strutturata, compresa, eseguita e definita in termini di guerra. [...]
Il nostro modo convenzionale di parlare delle discussioni presuppone una metafora di cui non siamo quasi mai consapevoli; tale metafora non è soltanto nelle parole che usiamo, ma nel concetto stesso di discussione. Il linguaggio con cui definiamo la discussione non è né poetico, né fantasioso, né retorico; è letterale: ne parliamo in quel modo perché la concepiamo in quel modo, e ci comportiamo secondo le concezioni che abbiamo delle cose. [...]

George Lakoff, Metafore e vita quotidiana (Metaphors We Live By), Bompiani Strumenti, 1998


Sylvie Guillem & Russell Maliphant in PUSH - photo: Johan Perrson www.sadlerswells.com

15 settembre 2006

Behind the eyes












We are all different
behind the eyes.

Pearl Jam





Sheets of empty canvas,
untouched sheets of clay
were laid spread out before me
as her body once did
all five horizons revolved around her soul
as the earth to the sun
now the air i tasted and breathed
has taken a turn
and all i taught her was everything
i know she gave me all that she wore
and now my bitter hands
shake beneath the clouds
of what was everything?
all the pictures had
all been washed in black,
tattooed everything...

i take a walk outside, i'm surrounded by
some kids at play
i can feel their laughter, so why do i sear
and twisted thoughts that spin round my head
i'm spinning, oh, i'm spinning
how quick the sun can, drop away
and now my bitter hands cradle broken glass
of what was everything?
all the pictures had
all been washed in black,
tattooed everything...
all the love gone bad,
turned my world to black
tattooed all i see, all that i am, all i'll ever be...
i know someday you'll have a beautiful life,
i know you'll be a starin somebody else's sky,
but why, why,
why can't it be, why can't it be mine?


dopo quattordici anni, un momento mai sognato
la pienezza può essere semplice
l'emozione più grande, Black (Pearl Jam, Ten, 1992)
14 settembre 2006

14 settembre 2006

Cerchiamo di essere civili


Amnesty international accusa Hezbollah

da www.internazionale.it - I titoli di apertura dei giornali di tutto il mondo

HA'ARETZ, Israele
www.haaretz.com

Amnesty international accusa Hezbollah. In un rapporto pubblicato stanotte, Amnesty international accusa Hezbollah di crimini di guerra per aver colpito i civili israeliani durante il recente conflitto con Israele. La milizia sciita ha infatti lanciato circa quattromila razzi katiuscia verso il nord di Israele, uccidendo 43 civili. Il mese scorso due rapporti di Amnesty international accusavano l'esercito israeliano di crimini di guerra per aver colpito deliberatamente aree abitate da civili e aver usato bombe a frammentazione.


(Niente di strano direi, vedi post del 28 agosto scorso...)
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da www.amnesty.it - CS101-2006: 14/09/2006

Amnesty International pubblica un rapporto sui deliberati attacchi di Hezbollah contro la popolazione civile israeliana

Amnesty International ha pubblicato oggi un rapporto in cui accusa Hezbollah di aver commesso gravi violazioni del diritto umanitario, equivalenti a crimini di guerra, nel corso del recente conflitto con Israele. Il documento dell’organizzazione per i diritti umani, che segue un rapporto sugli attacchi di Israele contro le infrastrutture civili libanesi, rende evidente l’urgenza e la necessità di un’indagine completa e imparziale delle Nazioni Unite sulle violazioni commesse da entrambe le parti. Durante un mese di conflitto, Hezbollah ha lanciato circa 4000 razzi sul nord di Israele, uccidendo 43 civili, ferendone altri 33 e costringendo centinaia di migliaia di persone a cercare riparo nei rifugi o a fuggire. Circa un quarto dei razzi sono stati lanciati direttamente contro aree urbane, compresi missili contenenti migliaia di biglie di metallo. Nel corso dei colloqui coi ricercatori di Amnesty International, i dirigenti di Hezbollah hanno affermato che il lancio di razzi sul nord di Israele era una rappresaglia per gli attacchi contro i civili libanesi e aveva l’obiettivo di fermare questi ultimi. “La dimensione degli attacchi contro le città e i villaggi israeliani, la natura indiscriminata delle armi utilizzate e le dichiarazioni della leadership di Hezbollah, che ha confermato l’intenzione di colpire i civili, rendono fin troppo evidente che Hezbollah ha violato le leggi di guerra” – ha affermato Irene Khan, Segretaria generale di Amnesty International. “Il fatto che Israele a sua volta abbia commesso gravi violazioni non giustifica in alcuna maniera quelle compiute da Hezbollah. Non devono essere i civili a pagare il prezzo della condotta di guerra illegale dell’avversario”. Il rapporto di Amnesty International, intitolato “Sotto tiro: gli attacchi di Hezbollah contro il nord di Israele”, si basa sulle ricerche condotte dall’organizzazione per i diritti umani in Israele e in Libano, attraverso interviste con le vittime, l’esame di dichiarazioni ufficiali e una serie di colloqui con autorità israeliane e libanesi e con alti dirigenti di Hezbollah. Le principali conclusioni di Amnesty International sono le seguenti: - Hezbollah ha lanciato circa 900 razzi Katiuscia, la cui gittata è intrinsecamente inaccurata, contro aree urbane nel nord di Israele, in chiara violazione del principio di distinzione tra obiettivi civili e militari prevista dal diritto internazionale; - Hezbollah ha usato razzi Katiuscia modificati per contenere biglie di metallo, con l’obiettivo di causare il maggior numero possibile di morti e feriti: uno di questi razzi ha ucciso otto operai delle ferrovie; - le dichiarazioni di Hasan Nasrallah e di altri dirigenti di primo piano di Hezbollah, secondo cui gli attacchi diretti contro la popolazione civile israeliana erano una forma di rappresaglia, hanno violato il divieto di attacchi diretti contro i civili, così come quello di rappresaglia contro i civili; - la fuga della popolazione civile israeliana e l’esistenza dei rifugi ha impedito che il numero delle vittime fosse più alto. “Nel conflitto tra Hezbollah e Israele, la sofferenza dei civili di entrambe le parti è stata ripetutamente ignorata e i colpevoli sono riusciti finora a evadere ogni responsabilità. Occorre giustizia se si vuole prendere sul serio il rispetto delle regole di guerra: questo significa chiamare i responsabili di crimini di guerra a rispondere del proprio operato e garantire riparazione alle vittime” – ha dichiarato Irene Khan. Amnesty International continua a chiedere alle Nazioni Unite l’immediata apertura di un’inchiesta completa, indipendente e imparziale sulle violazioni del diritto umanitario commesse da entrambe le parti in conflitto. L’inchiesta dovrebbe esaminare, in particolare, l’impatto del conflitto sulla popolazione civile e avere come obiettivo l’individuazione dei singoli responsabili di crimini di diritto internazionale e garantire piena riparazione alle vittime. Ulteriori aspetti della guerra, come l’accusa a Hezbollah di aver usato i civili come copertura e quella a Israele di aver causato un elevato numero di vittime tra i civili, verranno esaminati in successivi rapporti di Amnesty International.

FINE DEL COMUNICATO Roma, 14 settembre 2006

Il rapporto “Sotto tiro: gli attacchi di Hezbollah contro il nord di Israele” sarà disponibile in lingua inglese, a partire dal 14 settembre, all’indirizzo internet http://web.amnesty.org/library/index/engmde020252006.
Per ulteriori informazioni, approfondimenti e interviste:

Amnesty International Italia - Ufficio stampa Tel. 06 4490224 - cell. 348-6974361, e-mail: press@amnesty.it

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Segreta

guardo le tue immagini furtiva
dalle fessure sottili
che si aprono
sulla dimensione parallela
che ormai è la tua vita,
ora che non è più la mia,
se mai lo è stata.
la tua faccia è cambiata,
in un istante o in un abisso,
l'espressione è cambiata
ma allora perché?
la bandiera che avevo tessuta
per la torre più alta
ora e per sempre resta
sul fondo del baule,
morta e poi dimenticata,
comunque mai spiegata,
e da lontano, sulla cima
soltanto le grida
dei torturati.

>Dimentica, dimentica

Passioni condivise.
Io e Brian Molko dei Placebo ci sdilinquiamo per Umberto Tozzi. (!!!)
Chissà perché - lui, io lo so...


La luce del mattino
e grida di operai
sul dito un maggiolino
è primavera ormai.

E apro le finestre,
il glicine è già qui
il mondo si riveste
come ogni lunedì.

E l'orizzonte è libero
come un amante che
fa il grande senza accorgersi
che prigioniero è
Dimentica, dimentica
che il dispiacere scivola
la mia paura è vivere,
uscire, amare e ridere
e non volare adesso giù
perché accanto a me non ci sei più.

E penso un po' a mia madre
a quella sua mania
diceva più lavoro più i soldi vanno via.
E vanno le stagioni
come motociclette
di giovani spacconi
finchè la vita smette.

Dimentica dimentica
t'accorgi un giorno che
quelli che ti capiscono
sono tutti dietro a te

Dimentica dimentica
che il dispiacere scivola
la mia paura è vivere,
uscire, amare e ridere
e non volare adesso giù
perché accanto a me non ci sei più.


Artist:
Umberto Tozzi
Album:
E Nell'aria Ti Amo
Year: 1977
Title: Dimentica Dimentica


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13 settembre 2006

>ask the sea for answers















Time to pass you to the test.
Hanging on my lover's breath.
Always coming second best.
Pictures of my lover's chest.

Get through this night,
there are no second chances.
This time I might.
To ask the sea for answers.

Always falling to the floor,
softer than it was before.
Dog boy - media whore,
it's who the hell you take me for.

Give up this fight,
there are no second chances.
This time I might.
To ask the sea for answers.
These bonds are shackle free,
wrapped in lust and lunacy.
Tiny touch of jealousy,
these bonds are shackle free.

Get through this night,
there are no second chances.
This time I might.
To ask the sea for answers.

These bonds are shackle free
These bonds are shackle free
These bonds are shackle free
These bonds are shackle free

Get through this, there are no second chances.
This time. To ask the sea for answers.



nelle orecchie per star sveglia placebo, without you i'm nothing
dentro agli occhi per i sogni www.danielegneus.com

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12 settembre 2006

>Golfi


Poi vi spiego.. per ora fidatevi.

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Intervista a Helene Paraskeva

autrice del Tragediometro e altri racconti

Chi è Helene Paraskeva in poche parole?
Per essere onesti la mia caratteristica specifica è quella di sbagliare "maschere". Uso quella privata in pubblico o quella pubblica nel privato e combino pasticci. Qualche volta dimentico addiritura la "maschera" e sono guai.
Come è nata la passione per la scrittura?
Una volta pensavo che fosse nata per motivi sbagliati, come la solitudine, la disubbidienza, la sfida. Adesso che la passione è matura, mi guardo indietro e rivaluto quei motivi. Un parto può anche essere difficile ma la nascita è sempre positiva.
Quali sono gli autori preferiti?
Hemingway e Moravia perché mi ci sento molto vicino. Mi piace U. Eco, J. Lahiri e H. Kureishi. Christiana de Caldas Brito mi riempie di ottimismo.
Che tipo di lettore pensi possa maggiormente apprezzare i tuoi racconti?
Il tipo di lettore che non desidera essere classificato. L'altro giorno, la signora gentilissima di una libreria mi ha detto che avrebbe collocato ll Tragediometro nel reparto di scrittura femminile. Ma se le donne leggono scrittura femminile e gli uomini scrittura maschile, quando impareremo a conoscerci?
Come definiresti il tuo stile?
Quando ero studentessa, l'estate lavoravo come mascherina in un cinema all'aperto. Le mie "mansioni" erano principalmente due. Sradicare l'erbaccia che cresceva fra le sedie, attività che odiavo, e vendere il "programma", cioè la sintesi della trama dei film per orientare lo spettatore, cosa che amavo fare. Adesso capisco il valore della prima mansione. Il mio stile non è vendere trame...
Che rapporto c'è fra vita e scrittura?
Mi sembra un tormentato rapporto amoroso. L'Autore cerca la Vita ma lei fa la difficile. Poi la Vita finalmente si sveglia, capisce che l'Autore è l'uomo per lei e lo cerca ma lui non è più disponibile. Oppure succede l'inverso. La Vita per prima cerca l'Autore ma lui è impegnato altrove. E quando l'Autore capisce che lei era la sua Vita, lei è già passata. Nel corso di questi inseguimenti, qualche volta si congiungono. È la felicità.
Hai qualche progetto nel cassetto?
Non lasciare che il mio romanzo rimanga nel cassetto.

(Fara Editore, febbraio 2003 - © copyright fara editore)
da www.faraeditore.it

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Golfi

"Dai! Muovetevi! Veloci! Non ci aspettano mica! Lo spettacolo inizia alle dieci! Saltate subito in barca!"Papà aveva già messo in moto. Qua e là nel Golfo luccicavano le lampade delle barche pescatrici. Ma loro andavano a vedere lo show. Dal mare. Avrebbero trascorso la serata finale del concorso di bellezza "Miss Golfo" mangiando pesci fritti insaporiti dagli schizzi salati delle onde. Avrebbero ammirato gratis le bellezze venute all' "Astir Beach" da tutti i golfi del mondo. "Stasera c'è il concorso di bellezza. Prendiamo "Zoé" e andiamo ad ammirare le ragazze che sfilano sulla passerella! Tu prendi il cannocchiale!"Via! "Zoé", la loro barca, nuotava come un delfino. Il Golfo era calmo ma persino i ragazzini come il piccolo Marinaio sapevano che non ci si poteva fidare del suo caratteraccio. "Via! Via! Su! Ce la facciamo ancora!""Zoé" era entrata nella famiglia improvvisamente un venerdì pomeriggio. Il padre del piccolo Marinaio l'aveva comprata a prezzo di favore da un amico. Gite, pescate, bagni al largo. Praticamente il Golfo sarebbe stato loro. E volendo ci si poteva spingere anche oltre ..."Si chiama "Zoé"! Accoglietela bene! La barca è come una persona.""Cosa vuol dire "Zoé" ? La gente dà alla barca il nome della moglie!"" "Zoè" vuol dire "vita". Il nome dice tutto!""Un po' generico.""Il nome della barca non si cambia perché porta male! Vi ricordate il Poeta che si è perso fra le onde?""Quale Poeta?""Il Poeta dal cuore grande ..."Era un periodo che il piccolo Marinaio collezionava Poeti autoadesivi. Ma quello annegato dal cuore grande gli mancava."Te lo racconto un giorno. Adesso andiamola a vedere! Non volete conoscere "Zoé?""Era una barca piccola. Un po' chiatta. "Insomma, bruttina!" Pensò il piccolo Marinaio deluso."Ci facciamo sempre la figura da poveracci! Non la potevi scegliere un po' più grandina? Con una linea un po' più slanciata?""Zoé" era anche messa male. La pittura si staccava a croste e la chiglia cedeva qua e là invasa dalla muffa. Per non parlare della cornice di macchia nera di grasso che la circondava. Vista con gli occhi di oggi, "Zoé" si sarebbe meritata una scomunica ecologica. "Tu terrai il timone e diventerai un capitano bravo e coraggioso, come il Grande Marinaio dei Sette Mari!"Profetizzò il padre. Il piccolo Marinaio non fece in tempo a prenotarsi per la storia del Grande Marinaio dei sette mari e il padre aggiunse."Ricordati che ogni barca ha il suo carattere, che dipende dal cuore. Sai qual è il cuore di una barca?"No, non lo sapeva."Il motore.""Zoé" il cuore ce l'aveva. Ma era duro. Era un motore "duro". "La struttura ha solo bisogno di una bella pitturata ma il motore è "duro"."Un cuore duro va intenerito. Il padre del Marinaio lo smontò, lo portò a casa, lo mise nel bel mezzo del cortile e lo curò a lungo, come se fosse un gabbianello ferito. Curò il cuore duro di "Zoé" accarezzandolo, provandolo, arricchendolo con accessori lucidi e coccolandolo con parole intime, premurose e incoraggianti. E il cuore di "Zoé" si intenerì. Piano piano. Un giorno il motore lo rimise al posto e per provarlo portò "Zoé" a largo del Golfo, così a largo che nessuno li poteva seguire a occhio nudo. Non si seppe cosa fosse accaduto veramente fra loro due il giorno della prova. Si sa solo che "Zoè" diventò sua quel giorno, indipendentemente dall'atto di compravendita.Il piccolo Marinaio aveva imparato a tenere il timone. Il motore ancora non lo toccava ma al timone era tenace. Fissava con lo sguardo severo un punto luminoso lontano. Il faro, una nave ancorata al largo, una luce. "Veloci! Muoversi!"L'"Astir Beach", locale elegante ed esclusivo, era accovacciato sul molo che penetrava il Golfo riportando dalla terra luci, musica, applausi e profumi. Erano i profumi delle coppie che ballavano abbracciate. Artisti di fama internazionale venivano ad esibirsi qui, "By the Seaside". E qui il bel mondo tirava fino tardi bevendo, ballando e scherzando. All'alba, poi, avventori e artisti partecipavano alla cerimonia del saluto al sole nascente. Prima saltavano sui tavoli sparecchiati e sistemati in fretta verso l'Oriente e poi, per un lungo attimo, rimanevano in piedi sui tavoli, immobili e silenziosi come idoli issati da idolatri distratti. Alzavano le braccia al sole ed esclamavano: "OOOEE!!"Era l'attimo che trasformava i primi raggi nati color Magenta in rosso vermiglione.Partenza decisa. Saltare, ballare, nuotare, schizzare, correre, volare. Al ritmo di Zoé. Un concorso eccezionale. Tutte le bellezze da ogni parte del mondo avrebbero sfilato sul pelo dell'acqua, come le nereidi in una fantasmagoria marina. Persino le onde scontrose del Golfo avrebbero echeggiato la musica che accompagnava le ninfe. "Lo sai che ogni ragazza sfilerà con una musica diversa?""Perché diversa?""Ogni bellezza ha bisogno della sua musica. La bellezza è come la musica. La bionda dagli occhi azzurri, per esempio, con quale musica l'accompagneresti tu?"Il piccolo Marinaio non era ancora iniziato nei misteri dell'Eros ma era già appassionato di enigmi. "La bionda sfilerà sulle note di "Smoke gets in your eyes" o anche "Strangers in the night."""E la mora dagli occhi scuri?""La mora sfilerà accompagnata da "La Ragazza d'Ipanema." ondeggiando i fianchi snelli. Ma appena appena, eh?" E la rossa dagli occhi verdi sarebbe stata accompagnata da "Mambo, ehi, Mambo Italiano!" Le combinazioni tra musica e bellezza erano tante. "E chi è la più bella? Chi vincerà?""Vince sempre quella più raccomandata, si capisce!"Il piccolo Marinaio saltellava già al ritmo della musica che si confondeva con il ritmo del cuore di "Zoé". Ma lo spettacolo vero sarebbe stato un'altra cosa."Stai fermo! Non vedi che si è alzato il vento? Vuoi che ci capovolgiamo?" Saltare, ballare, nuotare, volare come "Zoé!" Tutto qui.Il piccolo Marinaio veniva schizzato ogni volta che stava in groppa all'onda, e poco prima della scivolata in giù stava per ingoiarsi lo stomaco. Il Golfo era così…"Ci stiamo avvicinando! Ecco la passerella! Ecco Blanche! La vedi l'annunciatrice?"L'annunciatrice Blanche si riconobbe da lontano per i capelli chiaro-cenere e il seno prosperoso. Ma si sentiva poco. Il vento cambiava direzione ad ogni soffio. A volte scaricava l'urlo stridulo del microfono, a volte le consonanti sibilanti di Blanche o anche solo la tensione dell'attesa. "Ecco! Ci siamo! Ecco Zordan! Il presentatore!"Senza fiato, si trovarono improvvisamente così vicini al "Astir Beach" da scoprire che il presentatore Zordan portava il parrucchino. Era il preferito di mamma Zordan. Il Bello col parrucchino!! L'umidità del Golfo poi lo aveva arricciato oltre i limiti della decenza. "Guarda! Zordan ha il parrucchino! L'avevo detto io!"Zordan e il suo parrucchino si avvicinarono al microfono e fra gli applausi diedero l'inizio alla serata."Ladies and Gentlemen! La prima candidata del nostro concorso è una bellezza classica! Accogliamola con un caloroso applauso!"La bellezza classica vestita di biancoazzurro si incamminò sulla piattaforma come Artèmide orgogliosa della caccia abbondante. "Spegni il motore che sentiamo meglio!""Siamo ancora lontani e andiamo contro vento! L'onda ci può portare anche fuori rotta!"Non aveva finito le profezie papà e un'onda mostruosa li avvolse nel suo buio. Papà afferrò il timone:"Siediti giù! Più giù!"Il piccolo Marinaio scivolò nella pancia calda e sicura di "Zoé" che fece un balzo all'indietro. Lei, che lottava mollando calci, pugni e morsi contro le onde, balzò all'indietro. Il cannocchiale volò via e Papà sparì dalla barca. Il Golfo lo aveva divorato."Gira il timone!"Ma la voce era la sua."Gira il timone! La barca si spacca in due! Abbiamo preso lo scoglio!""Come?""Abbiamo beccato lo scoglio!"Papà era riemerso. Nel tentativo di spingere "Zoé" via dallo scoglio l'elica gli aveva tranciato il piede. "Ci siamo incastrati! Spegni il motore!"Lo spavento si mischiò al buio. Il piccolo Marinaio stava già pregando. Il motore si spegneva da solo. Adesso si capiva tutto. Erano incastrati dentro uno scoglio seminascosto che sputava schiuma nera come un mostro marino. Ecco perché papà spingeva "Zoè" via. "Ti sei fatto male!""Accendi il motore quando te lo dico! Forte e deciso! Sei pronto? Forza, Marinaio! Via!"Il piccolo Marinaio accese il motore. Zoè si disincagliava e papà si attaccava al timone mentre mamma cercava di bendare il piede maciullato. "Sei ferito!!""No, non è nulla! Speriamo di farcela!"Il piccolo Marinaio prese il barattolo e cominciò a buttare via l'acqua nera del Golfo che entrava dalla falla di "Zoé", mentre dallo squarcio del piede usciva il sangue rosso di papà. La rotta del ritorno fu accompagnata dall'aria silenziosa della sconfitta. Niente nereidi, niente Blanche, niente Zordan, niente trionfo finale della bellezza raccomandata. Il piccolo Marinaio si portò dietro solo aspettative bucate, come la chiglia di "Zoé". Il piede di papà non diventò mai come prima ma fu un valido aiuto per le profezie sulle variazioni meteorologiche. Adesso, il Marinaio invecchiato intravede il Golfo fra bandierine, gadget, gelati al cono, water-scooter e granoturco alla griglia. Seduto sulla panca blu elettrico cerca di capire perché quella falla lo ha aspettato ad ogni golfo.Eh, beh? Rimangono altri golfi, altri mari ancora. E poi, per vedere oltre bisogna andare oltre. Lascia la panca blu elettrico il vecchio, raccoglie i sassi e traccia tre lettere sul muretto. Z-O-E. Perché ama ancora gli enigmi. "Andiamo ad ammirare le nereidi che sfilano sulla passerella! Saltare, ballare, nuotare, schizzare, correre, volare. Al ritmo di Zoé! Ci vuole partenza decisa, mano ferma, motore tenero e una luce lontana."

helene paraskeva

dal sito http://www.el-ghibli.org/, che si ringrazia, per questo e anche per tutto il resto.

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11 settembre 2006

Barbablu















Una matassina di barba è conservata in un convento di monache lontano sulle montagne. Come sia arrivata al convento nessuno lo sa. Alcuni dicono che furono le monache a seppellire quello che restava del suo corpo, perché nessun altro lo avrebbe toccato. Perché mai le monache conservino una siffatta reliquia nessuno lo sa, ma è vero. L'amica della mia amica l'ha vista con i suoi occhi. dice che la barba è blu-indaco per l'esattezza. E' blu come il ghiaccio scuro sul lago, blu come l'ombra di un buco di notte. Questa barba apparteneva un tempo ad uno che dicevano fosse un mago mancato, un gigante con un debole per le donne, un uomo noto con il nome di Barbablu. Si diceva corteggiasse tre sorelle contemporaneamente.Ma quelle erano spaventate dalla barba dallo strano colore, e così si nascondevano quando le chiamava. Nel tentativo di convincerle della sua mitezza, le invitò a una passeggiata nel bosco. Arrivò con cavalli ornati di campanelli e di nastri cremisi, sistemò le sorelle e la loro madre sui cavalli,e al piccolo galoppo si avviarono nel bosco.
Fecero una stupenda cavalcata, con i cani che correvano davanti e accanto a loro. Poi si fermarono sotto un albero gigantesco e Barbablù le intrattenne raccontando storie e offrì loro leccornieLe sorelle cominciarono a pensare: "Insomma, questo Barbablù forse non è poi tanto cattivo".Tornarono a casa e non finivano di parlare di quella giornata così interessante, di quanto si erano divertite, pure, riaffioravano i sospetti e i timori nelle due sorelle maggiori, ed esse giurarono di non rivedere mai più Barbablù. Ma la più piccola pensò che se un uomo poteva essere tanto affascinante, allora forse non era poi tanto cattivo. Più rimuginava tra sé, meno le sembrava terribile, e anche la barba le pareva meno blu.Così quando Barbablù chiese la sua mano, lei accettò. Aveva accolto con orgoglio la proposta di matrimonio, e pensava di sposare un uomo molto elegante. Si sposarono, e poi andarono al suo castello nei boschi.Un giorno andò da lei e le disse: "Devo andare via per qualche tempo. Invita qui la tua famiglia, se ti fa piacere. Potrete cavalcare nei boschi, ordinare ai cuochi di preparare un banchetto, potrai fare tutto quello che vuoi, tutto quello che il tuo cuore desidera. Puoi aprire tutte le porte dei magazzini, le stanze del tesoro, qualunque porta del castello; ma non usare questa piccola chiave con la spirale in cima".Rispose la sposa: "Sì, farò come dici. Mi sembra bellissimo. Vai dunque, mio caro marito, non preoccuparti e torna presto". Così lui partì, e lei rimase.Le sorelle andarono a trovarla e, come tutte le donne, erano molto curiose di sapere che cosa il padrone aveva detto di fare durante la sua assenza, gaiamente la giovane sposa raccontò tutto.Le sorelle decisero di fare il gioco di trovare quale chiave apriva quale porta. Il castello era di tre piani, con un centinaio di porte in ogni ala, e siccome molte erano le chiavi del mazzo, si divertirono immensamente a passare da una porta all'altra. Dietro a una porta c'erano le dispense, dietro a un'altra i depositi delle monete. In ogni stanza c'erano beni di ogni sorta. E ogni volta sembrava tutto più meraviglioso. Alla fine arrivarono alla cantina.Si scervellarono sull'ultima chiave, quella con la piccola spirale in cima. Udirono uno strano suono, sbirciarono dietro l'angolo e - guarda, guarda!- c'era una porticina che si stava appunto richiudendo. Cercarono di riaprirla, ma era sprangata. Una gridò: "sorella, sorella porta la tua chiave. Sicuramente è questa la porta della misteriosa chiavetta".Senza riflettere neanche un momento una delle sorelle infilò e girò la chiave nella toppa. La serratura scattò, la porta si spalancò, ma dentro era così buio che non potevano vedere nulla."sorella, sorella porta una candela". Venne accesa una candela e portata nella stanza, e le tre donne lanciarono tutte insieme un urlo perché la stanza era un lago di sangue e ossa annerite di cadaveri erano sparse ovunque, e negli angoli i teschi erano impilati come piramidi di mele. Richiusero velocemente la porta, sfilarono la chiave dalla toppa e si aggrapparono l'una all'altra, respirando affannosamente. Dio mio! Dio mio!La sposa guardò la chiave e vide che era macchiata di sangue. Terrorizzata usò l'orlo della gonna per ripulirla, ma il sangue restava. Ogni sorella prese la chiavetta in mano e cercò di farla diventare come prima ma il sangue non se ne andava. La sposa si nascose in tasca la piccola chiave e corse in cucina. Quando arrivò, il suo abito bianco era macchiato di rosso dalla tasca all'orlo perché la chiave lentamente versava gocce di sangue rosso scuro. Ordinò al cuoco di darle uno strofinaccio, strofinò la chiave, ma non smetteva di sanguinare, goccia su goccia, puro sangue rosso. Portò fuori la chiave, la strofinò con la cenere. La ricoprì di ragnatele per arrestare il flusso, ma niente riusciva ad arrestare il sangue. Pensò di nasconderla, la mise nell'armadio e chiuse la porta.Il marito tornò la mattina dopo ed entrò nel castello chiamando la sua sposa. "allora, com'è andata durante la mia assenza?""E' andato tutto bene sire""bene, allora sarà meglio che tu mi restituisca le chiavi"con una rapida occhiata si accorse che mancava una chiave. "Dov'è la chiave più piccola?""Io…io l'ho perduta. Stavo cavalcando e il mazzo di chiavi mi è caduto""Non mentirmi! Dimmi cosa hai fatto con quella chiave!"le posò una mano sulla guancia come per accarezzarla, ma invece la afferrò per i capelli. "Infedele" ringhiò, e la gettò a terra "sei stata nella stanza, vero?"Spalancò l'armadio e la piccola chiave sul ripiano in alto aveva sanguinato sangue rosso sulle belle sete dei suoi abiti appesi lì."Ora tocca a te mia signora" urlò, e la trascinò nella cantina, fino alla terribile porta. La porta si aprì. Là giacevano gli scheletri di tutte le sue mogli precedenti."Eccoci!" ruggiva, ma lei si era aggrappata alla porta e non lasciava la presa. Implorò per la sua vita " ti prego, consentimi di raccogliermi per prepararmi alla morte. Concedimi un quarto d'ora per trovarmi in pace con Dio"."va bene avrai un quarto d'ora, e fatti trovare pronta".La sposa salì di corsa le scale per raggiungere la sua camera e per mandare le sue sorelle sui bastioni del castello. Interrogava le sorelle."Sorelle, sorelle! Vedete arrivare i nostri fratelli?""Non vediamo nulla, nulla sulle pianure aperte""Vediamo un turbine in lontananza, forse un polverone"Intanto Barbablù chiamò a gran voce la moglie perché scendesse in cantina, dove l'avrebbe decapitata."Sorelle, sorelle! Vedete arrivare i nostri fratelli?"Urlarono le sorelle: "Sì, vediamo i nostri fratelli che arrivano ed entrano nel castello!"Barbablù si lanciò verso la camera della moglie. Pesanti erano i suoi passi, le pietre del vestibolo si aprirono, la sabbia della calcina cadde sul pavimento. Mentre Barbablù entrava nella stanza con le mani tese per afferrarla, i fratelli a cavallo percorsero a cavallo il vestibolo del castello e a cavallo entrarono nella stanza. Lanciarono Barbablù sul bastione, con le spade sguainate avanzarono verso di lui, colpendo e fendendo, tagliando e sferzando, lo abbatterono a terra, uccidendolo infine e lasciando alle poiane il suo sangue e le cartilagini.


Barbablu (versione in cui si mescolano la francese, attribuita generalmente a Charles Perrault, e la slava)

Questa storia riguarda l'uomo nero che abita la psiche di tutte le donne, il PREDATORE INNATO. Barbablù rappresenta un complesso di profonda reclusione che si acquatta ai margini della vita di ogni donna e osserva, in attesa di un'occasione per contrastarla. Dobbiamo riconoscerlo, proteggerci dalle sue devastazioni e infine privarlo della sua energia sanguinaria.
Donne ingenue come prede. La donna INGENUA sarà catturata dal suo stesso cacciatore interiore. Nella storia, la sorella più giovane mostra una totale ingenuità sui propri processi mentali e una totale ignoranza dell'aspetto delittuoso della propria psiche, si lascia adescare dai piaceri dell'IO. Tutti gli esseri umani vogliono raggiungere il paradiso subito, ma l'intenso desiderio del paradisiaco, se si combina all'ingenuità, fa di noi cibo per il predatore. Un precoce addestramento a "mostrarsi carine" induce le donne a calpestare le proprie intuizioni.Alcuni aspetti della psiche, rappresentati dalle sorelle maggiori, sono dotati di maggiore introspezione, le loro voci vanno ascoltate. La donna ingenua insiste nella mossa distruttiva, come spinta da un coatto barbabluesco. In un angolo riposto della sua mente ci sono sicuramente le sue sorelle maggiori che le dicono: "No, basta! Non fa bene alla mente ne' al corpo. Ci rifiutiamo di continuare" Ma il desiderio di trovare il paradiso spinge la donna a sposare Barbablù, il mercante di droga per le vette psichiche. La promessa ingannevole del predatore è che la donna diverrà regina, invece si programma il suo assassinio.
La chiave. La piccola chiave è l'accesso al segreto che tutte le donne sanno e che pure non sanno. La donna ingenua accetta di "non sapere". Proibire a una donna di usare la chiave della consapevolezza la priva del suo naturale istinto alla curiosità e della scoperta di "quello che sta sotto". Decidendo di aprire la porta della stanza segreta, una donna sceglie la vita. Banalizzare la curiosità femminile nega l'introspezione, le impressioni, le intuizioni della donna. Cerca di attaccare il suo potere fondamentale.Porsi la domanda giusta è l'azione centrale della trasformazione. La domanda-chiave provoca la germinazione della consapevolezza. Le domande sono le chiavi che fanno spalancare le porte segrete della psiche.
Lo Sposo- Bestia. Una donna può cercare di nascondersi le devastazioni della sua esistenza, ma l'emorragia (il sangue sulla chiave), la perdita dell'energia vitale, continuerà finche non riconoscerà il predatore per quello che è e non lo controllerà. Quando le donne aprono la porta della loro esistenza ed esaminano la carneficina, per lo più scoprono di aver permesso l'assassinio dei loro sogni, dei loro obiettivi delle loro speranze. Quando si fa questa scoperta nella propria psiche è certo che il predatore naturale ha lavorato alla distruzione dei più cari desideri di una donna.
L'odore del sangue. Il sangue rappresenta la decimazione degli aspetti più profondi e legati all'anima della vita creativa. In questo stato la donna perde l'energia per creare. Quando la chiave sanguinante - la domanda urlante- macchia i nostri personaggi, non possiamo più nascondere i nostri travagli. Non possiamo più far finta di non aver visto la stanza della morte. L'io censorio certamente desidera dimenticare di aver visto la stanza, di aver visto i cadaveri, la sposa cerca di pulire la chiave, ma non ci riesce. Quella che prima era un'ingenua deve ora affrontare l'accaduto. Il predatore è particolarmente aggressivo nel tendere imboscate alla natura selvaggia delle donne. Per questo le domande vanno poste e devono ricevere una risposta. Il lavoro più profondo di solito è il più buio, non abbiate quindi paura di indagare il peggio, solo così è garantito un aumento del potere dell'anima. La Donna Selvaggia non teme l'oscurità più oscura, gli avanzi, gli scarti, la rovina, il fetore, il sangue, le ossa fredde, le ragazze morenti o i mariti assassini. Può vedere, sopportare, aiutare. Gli scheletri nella stanza rappresentano la forza indistruttibile del femmininoLa giovane e le sue sorelle sono capaci di spezzare il vecchio modello di ignoranza e di contemplare un orrore senza volgere altrove lo sguardo Barbablù uccide e demolisce una donna finche non ne restano che le ossa. Noi dobbiamo osservare la cosa mortale che si è impadronita di noi, vedere il risultato del suo lavoro, registrarlo consciamente e poi agire. Trovare i corpi, seguire gli istinti, vedere, smantellare l'energia distruttiva.
Nascondersi e spiare. Per sfuggire a un predatore l'anima si nasconde sotto terra e ogni tanto fa capolino per vedere se si allontana. In Barbablù la psiche cerca di non farsi uccidere. E' diventata astuta, chiede tempo per rinforzarsi. Quando una donna comprende di essere stata preda, sia nel mondo esterno che in quello interno, non riesce a sopportarlo. Programma l'uccisione della forza predatoria. Il suo complesso predatorio si affanna nel tentativo di bloccare tutte le vie di fuga, diviene sanguinario. In questo tempo critico addormentarsi vuol dire morire. Bisogna invece spostarsi dallo stato di vittima a quello di persona acuta, vigile, attenta. A questo punto non si deve tremare, ne' umiliarsi.
L'urlo. I fratelli psichici sono i propulsori più muscolosi della psiche, sono la forza che può agire quando è tempo di uccidere. La donna deve esercitarsi a richiamare la sua natura combattiva, il suo vortice di vento. Quando le donne riaffiorano dall'ingenuità, portano con sé qualcosa di inesplorato, in questo caso un'energia maschile interiore. Quando questa natura del sesso opposto è in buona salute ama la donna in cui alberga e la aiuta a compiere quello che lei chiede. Più l'animus è forte e vasto, maggiori saranno le capacità con cui la donna manifesterà le sue idee e il suo lavoro creativo nel mondo esterno in modo concreto.
I mangiatori di peccati. Il corpo di Barbablù viene lasciato ai mangiatori di carogne. Nei tempi antichi esistevano i mangiatori di peccati, che si assumevano i peccati, i rifiuti della comunità. Invece di insultare il predatore della psiche, o di sfuggirgli, lo smembriamo, catturiamo i pensieri irritanti prima che diventino troppo grandi da nuocerci e li smantelliamo, contrapponendogli le verità che ci alimentano. Riprendere l'energia dal predatore e trasformarla in altro.Barbablu è un racconto di ingenuità psichica, ma anche della possente rottura dell'ingiunzione di "apparire".
L'uomo nero. Il sogno dell'uomo nel buio. Nella storia di Barbablu si parla della trasformazione di quattro introiezioni vaghe e indistinte: non avere visione, non avere introspezione, non avere voce, non avere azione. Per bandire il predatore dobbiamo fare il contrario. Dobbiamo spalancare la porta per vedere cosa c'è dentro la stanza. Dobbiamo usare l'introspezione e la capacità di sopportare la visione. Dobbiamo enunciare con voce chiara la nostra verità ed essere capaci di fare quanto è necessario nei confronti di ciò che vediamo.. Per l'ingenua e per la donna dall'istinto leso la cura è la stessa: esercitarsi ad ascoltare l'intuito, porsi domande, essere curiosa, vedere quel che si vede, ascoltare quel che si sente, e poi agire in base a ciò che si sa essere vero. Quando facciamo sogni con l'uomo nero, un potere contrario sta sempre appostato in attesa di aiutarci. La donna selvaggia, che insegna alle donne a non essere "carine" quando si tratta di proteggere la vita dell'anima Essere "dolci" in questi casi fa solo sorridere il predatore. Quando la vita dell'anima è minacciata non soltanto è accettabile tirare una riga, è indispensabile.

da www.inventati.org/donnola - la riproduzione di questo materiale è incoraggiata.

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Basta.

06 settembre 2006

Non haiku

Non farci caso

Ma come vuoi che ti chiami
mentre facciamo l'amore?
Se stessimo facendo il ragù,
con tutti i sensi accesi,
con gli occhi spalancati
ti sussurrerei
..ragù..

Aspetta a preoccuparti quando
sorridendo ti chiamerò amore
mentre insieme cuciniamo il ragù,
ma preoccupati molto di più
quando un giorno sospirerò
..ragù..
mentre facciamo l'amore.

Haiku

Sòla

Non c'è niente di più bello,
al mattino,
che svegliarsi col profumo
del caffé.
Ma non è mai da me.
Viene dalla finestra
del vicino.

04 settembre 2006

Nelle piccole torri - settembre, quasi undici..

















Nelle piccole torri orecchi odono
Le mani raspare alla porta,
Occhi negli abbaini vedono
Le dita sulle serrature.
Dovrò aprire, o dovrò rimanere
Da solo fino al giorno della morte
Non visto da occhi stranieri
In questa casa bianca?

Mani, portate grappoli o veleno?

Al di là di quest’isola recinta
Da un mare sottile di carne
E da una costa d’osso,
La terra si stende lontana dal suono,
Le colline lontane dalla mente.
Né uccello né pesce volante
Disturbano il riposo di quest’isola.
Orecchi in quest’isola odono
Il vento che trascorre come un fuoco,
Occhi in quest’isola vedono
Le navi all’ancora fuori dalla baia.
Dovrò correre alle navi
Col vento nei capelli, o rimanere
Fino al giorno della morte,
senza dare
Il benvenuto a nessun marinaio?

Navi, portate grappoli o veleno?

Le mani raspano alla porta, le navi
Gettano l’ancora fuori dalla baia,
La pioggia batte la sabbia e le ardesie.
Lascerò entrare lo straniero,
Darò il mio benvenuto al marinaio,
O resterò fino al giorno della morte?

Mani dello straniero e stive delle navi,
Cosa portate, grappoli o veleno?


Dylan Thomas

(il link da cui ho tratto l'immagine purtroppo non riesco a ricostruirlo, mi spiace; comunque si trattava di Tibet o Ladakh)

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Dall'ultimo numero di "La Nonviolenza è in cammino", la newsletter quotidiana curata da Peppe Sini, un intervento sulla situazione in Afghanistan, raccontata da una persona che ha vissuto là a lungo, dal 2002 ad oggi.

1. MONDO. ANN JONES: COSA ACCADE IN AFGHANISTAN
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo peraverci messo a disposizione nella sua traduzione ilseguente articolo di AnnJones. Ann Jones, giornalista e fotografa, ha passatola maggior parte degliultimi quattro anni in Afghanistan; attivista per idiritti umani, lavoranel paese con le agenzie internazionali e insegnainglese ai docenti delliceo di Kabul; scrive delle sue esperienze inAfghanistan per "NationMagazine" ed e' stato pubblicato di recente il suolibro: Kabul in inverno:vita senza pace in Afghanistan, Metropolitan Books,2006)]

Vi ricordate di quando il pacifico, democratico,ricostruito Afghanistan erail modello pubblicitario su cui si doveva rifarel'Iraq? Nell'agosto 2002,il segretario alla difesa Donald Rumsfeld parlava delnuovo Afghanistan comedi una "straordinaria vittoria" ed un "modello disuccesso per cio' chepotrebbe accadere in Iraq". Come tutti ormai sanno, ilmodello in Iraq nonsta funzionando. Percio', non dovremmo sorprendercinel sapere che non stafunzionando neppure in Afghanistan.La storia del successo afgano e' sempre stata piu' unafavola che un fatto.Ora, mentre l'amministrazione Bush passa il"peacekeeping" alle forze Nato,l'Afghanistan e' la scena della piu' vasta operazionemilitare nella storiadel trattato del nordatlantico.Le mie mail di oggi riportano l'appello di unachirurga americana che lavoraa Kabul: la sua squadra medica d'emergenza non riescea trattare neanche lameta' dei civili feriti che le vengono inviati dalleprovince in cui sicombatte, a sud e a est. Truppe statunitensi,britanniche e canadesi sitrovano in guerra contro i combattenti talebani,mentre sconcertaticomandanti Nato si stanno gia' chiedendo cos'e' che e'andato male.La risposta sta in un triplice fallimento: nientepace, niente democrazia eniente ricostruzione.*L'amministrazione Bush ha fatto politicamente le cosea rovescio. Dopo averspinto i talebani a suon di bombe nelle periferie, nel2001, ha messo inpiedi un governo senza siglare una pace, uno scenarioche piu' tardi sisarebbe ripetuto in Iraq. Invece di premere pernegoziati di pace fra ipartiti afgani rivali, i vittoriosi americani hannodato il potere agliislamisti ed ai comandanti delle milizie che eranoservite a sostituire isoldati Usa nella guerra contro l'Unione Sovieticadegli anni '80. Poil'amministrazione Bush ha messo in scena elezioni perquesti candidati, edha proclamato che i risultati erano la democrazia.Ha anche confinato la International SecurityAssistance Force (Isaf),composta largamente da truppe europee, alla capitale,creando cosi' un'oasidi sicurezza per il governo, mentre sguinzagliava isignori della guerra disua scelta alla ricerca di Osama bin Laden nel restodel paese.Ad est e sud, che e' come dire in meta' del paese, italebani non hanno maismesso di combattere. Oggi, rimpolpate dall'arrivo dicombattenti importatida al-Qaida (detti arabi-afgani) e con l'ausilio dinuove tecniche appresedall'insorgenza irachena (le bombe sulle strade oquelle suicide), le forzetalebane sono piu' forti di quando gli Usa le"sconfissero" nel 2001.*Secondo la Commissione indipendente afgana per idiritti umani, lamaggioranza degli afgani avrebbero visto con favore unprocesso di amnistiae riconciliazione, e persino il presidente Karzai hadi recente chiestoall'amministrazione Bush di cambiare metodo, e dismettere di uccidereafgani. Ma le politiche riaffermate a Kabul dallasegretaria di statoCondoleeza Rice chiedono di combattere sinoall'eliminazione dell'ultimotalebano.Com'era da aspettarsi, l'opinione pubblica hacominciato ad avversare conforza un governo centrale largamente privo di potere,tenuto sotto scortanella capitale da forze armate straniere.L'insicurezza che la maggior partedegli afgani subiscono, l'assenza di pace, e'abbastanza per aver fatto loroperdere fiducia nel presidente Karzai, spesso definitosarcasticamente "ilsindaco di Kabul" o "l'assistente dell'ambasciatoreamericano".Storicamente, gli afgani hanno scelto e seguito leaderforti: da chi guidasi aspettano sicurezza, lavoro, o almeno che facciaqualcosa. Il governoKarzai, costretto a seguire un'agenda al serviziodegli Usa, si trova spessoin difficolta' nel difendere gli interessi afgani, enon ha dato nulla alcittadino medio che vive ancora in una poverta'abissale. Nel 2004,doverosamente gli afgani votarono per Karzai, qualestrumento delle promesseamericane. Nel 2005, quando si tennero le elezioniparlamentari, glielettori indicarono che ne avevano abbastanza deglistessi candidati,comandanti di milizie ed estremisti islamisti, e dellestesse vuotepromesse.*La parte piu' triste della storia sta qui: nonostantela finta pace e lademocrazia da burletta vantate dell'amministrazioneBush, quest'ultimaavrebbe potuto fare dell'Afghanistan un successo solose avesse portato acompimento la terza e piu' grande promessa, quella diricostruire un paesebombardato.La maggioranza degli afgani, dopo la dispersione deitalebani, era piena disperanza e desiderosa di mettersi al lavoro. Ibenefici tangibili dellaricostruzione (impieghi, case, scuole, assistenzasanitaria) avrebberopotuto indurli a sostenere il governo e a trasformareuna democraziaillusoria in qualcosa di piu' reale. Ma laricostruzione non e' avvenuta.Quando le forze Nato si sono mosse quest'estate nelleprovince del sud, per"mantenere la pace e continuare lo sviluppo", ilgenerale David Richards,comandante britannico dell'operazione, sembra essererimasto scioccato nelloscoprire che nessuno sviluppo, o ben poco, era maicominciato. Di questofallimento, i primi responsabili sono gli Usa. Fino aquest'ultimo anno, lacoalizione guidata dagli americani ha assunto per se'sola il compito diristabilire condizioni di sicurezza fuori Kabul, manon vi ha impiegato sulterreno un solo uomo. Come risultato, i volontari diassociazioni umanitarie(internazionali e afgane) hanno perso la vita,pressoche' tutte le ong sisono ritirate all'interno di Kabul o, come Medicisenza frontiere, hannolasciato il paese. I mercenari, ancora presenti nelpaese, si trovanoregolarmente coinvolti in progetti relativi alla"sicurezza", cosi' che ildenaro degli aiuti umanitari, come sta accadendo anchein Iraq, finisce nelbudget militare.Una recente testimonianza dell'Ispettore generale perla ricostruzionedell'Iraq ha rivelato come l'Agenzia statunitense perlo sviluppointernazionale (Usaid) manipoli i propri conti pernascondere i mastodonticicosti che i problemi di sicurezza aggiungono aiprogetti d'aiuto (si arrivaa maggiorazioni del 418%). E' ragionevole pensare chese ascoltassimol'Ispettore responsabile per l'Afghanistan ciracconterebbe le medesimestorie: le ditte sotto contratto per l'Usaid sono lestesse. Senza pace nonpuo' esserci sicurezza, e senza sicurezza non c'e'ricostruzione.Ma c'e' di piu'. Per capire il fallimento, e la frode,di tali progetti diricostruzione, bisogna dare un'occhiata allo specificosistema con cui gliUsa forniscono aiuto per lo sviluppo a livellointernazionale. Durante gliultimi cinque anni gli Usa e molti altri donatorihanno mandato miliardi didollari in Afghanistan, eppure gli afgani continuano achiedere: Dove sonofiniti i soldi? Chi paga le tasse in America dovrebbefare la stessadomanda. La risposta ufficiale e' che i fondi inviatidai donatori siperdono nella corruzione afgana. Ma gli afganiequivoci, abituati allebustarelle da due soldi, stanno imparando come lacorruzione ad alto livellofunzioni benissimo per i padroni del mondo.*Un rapporto del giugno 2005, molto circostanziato, diAction Aid (ong consede centrale a Johannesburg in Sudafrica, assairispettata) ci aiuta a farchiarezza su come funzioni questo mondo. Il rapportoha studiato gli aiutiallo sviluppo forniti da tutti i paesi sul globo ed hascoperto che solo unapiccola parte di essi (forse tocca il 40%) e'concreta. Il resto e' "aiutofantasma", il che significa che i soldi nonarriveranno mai ai paesi a cuisono destinati.Parte di questi soldi non esistono proprio, se noncome voce in bilancio,come quando i paesi contabilizzano la cancellazionedel debito o i costi dicostruzione di una bella nuova ambasciata nellacolonna degli aiuti. Moltidi questi soldi non lasceranno mai la propria casa: imandati di pagamentoper gli "esperti" americani sotto contrattodall'Usaid, per esempio, vannodirettamente dall'agenzia alle banche Usa, senza maipassare per i "paesiche devono essere ricostruiti". Molto altro denaro,conclude il rapporto, e'buttato via in "assistenza tecnica superpagata einefficace" (come gli"esperti" di cui sopra, per dire).Ed un'altra bella fetta di soldi e' legata allanazione donatrice, il chevuol dire che chi la riceve e' obbligato ad usare ildenaro per comprareprodotti del paese donatore: soprattutto quando lestesse merci potrebbetrovarle a prezzo assai piu' basso in casa propria.Gli Usa sono ai piu' alti livelli nella classifica dei"donatori fantasma",solo la Francia qualche volta li supera. Il 47%dell'aiuto americano allosviluppo va alla "superpagata assistenza tecnica";solo il 4% dell'aiutosvedese lo fa, e il 2% dell'aiuto lussemburghese oirlandese. E per quantoriguarda il dover acquistare prodotti del paesedonatore, ne' la Svezia, ne'la Norvegia, ne' l'Irlanda o il Regno Unito lo fanno.Il 70% del denaroamericano legato agli aiuti ha questa clausola, didoverci comperare robaamericana, soprattutto sistemi d'arma. Consideratequeste pratiche, ActionAid calcola che 86 centesimi su ogni dollaro siano"aiuto fantasma".Secondo gli standard fissati anni orsono dall'Onu e aiquali ha aderitopraticamente ogni nazione del mondo, un paese riccodovrebbe dare lo 0,7%del suo introito nazionale annuale a quelli poveri.Solo i paesi scandinavi,l'Olanda ed il Lussemburgo (con lo 0,65%) siavvicinano alla percentuale;all'altro capo della fila, ci sono gli Usa con lo0,02%: 8 dollari l'anno apersona dal "paese piu' ricco del mondo" (a confronto,pensate che la Sveziane da' 193, la Norvegia 304 e il Lussemburgo 357). Ilpresidente Bush sivanta di aver mandato miliardi di dollari inAfghanistan, ma in effettiavremmo ottenuto un miglior risultato passando in giroun cappello.*L'amministrazione Usa spesso deliberatamenterappresenta in modo falso ilsuo programma di aiuti ad uso delle popolazioni. Loscorso anno, peresempio, mentre il presidente Bush mandava sua mogliea Kabul per poche ore,il tempo di fare qualche fotografia pubblicitaria, il"New York Times"riportava che la missione di costei era "la promessadi un impegno a lungotermine per l'istruzione di donne e bambini". Nel suodiscorso di Kabul, lasignora Bush disse che gli Usa avrebbero fornito 17,7milioni di dollari inpiu' per sostenere l'istruzione in Afghanistan.Quello che e' accaduto e' che il fondo in questione e'stato usato percostruire un'universita' privata, l'Universita'americana dell'Afghanistan,diretta alle elite afgane e statunitensi, e a cui siaccede a pagamento: ilfatto che un'universita' privata venga finanziata daisoldi delle tassepubbliche e costruita dal corpo dei genieridell'esercito Usa e' un'altradelle peculiarita' degli aiuti in stile Bush.Ashraf Ghani, l'ex ministro delle finanze afgane, epresidentedell'Universita' di Kabul, si e' lamentato: "Non sipuo' continuare asostenere l'istruzione privata ed ignorare quellapubblica".*Tipicamente, gli Usa preferiscono canalizzare ildanaro degli aiutiumanitari verso appaltatori statunitensi. L'assistenzaumanitaria Usa e'sempre piu' privatizzata, ed e' ormai solo unmeccanismo per trasferire idollari delle tasse ai forzieri di ditte americaneselezionate, ed alletasche di chi i soldi li ha gia'. Nel 2001 AndrewNatsios, l'alloradirettore di Usaid, cito' i fondi per l'assistenzaall'estero come "unostrumento politico chiave", disegnato per aiutare glialtri paesi a"diventare migliori mercati per l'esportazionestatunitense". Per garantireche tale missione vada a buon fine, il Dipartimento diStato ha di recenteassunto la direzione di quelle che prima, almenoformalmente, erano agenzieumanitarie semi-autonome. E poiche' lo scopodell'aiuto americano e' quellodi rendere il mondo sicuro per gli affari americani,Usaid si serve di unalista di ditte "favorite" (che puo' leggermente mutarea seconda deirisultati elettorali) a cui chiede di sottoporreprogetti, e talvoltainterpella un solo appaltatore, la stessa efficienteprocedura che ha resol'Halliburton cosi' fortunata in Iraq.Le ditte preselezionate stipulano un contratto conl'Usaid, detto Iqc(ovvero "per quantita' indefinite"). Le dittepresentano informazioni vaghesu cosa potrebbero fare in aree non megliospecificate, riservandosi ledefinizioni per un successivo contratto. La ditta divolta in volta sceltaverra' invitata a materializzare le sue speculazionitramite il formato Rfp(ovvero "richiesta di proposte"), e poi inviata in unpaese straniero acercare di rendere reale qualsiasi tipo di lavorosognato da teorici diWashington, assolutamente non oberati dalla conoscenzadi prima mano dellosfortunato paese in questione.I criteri con cui si scelgono gli appaltatori ha pocoo niente a che farecon le condizioni del paese che li riceve, e non sonoesattamente cio' chechiamereste campioni di trasparenza.*Prendete il caso della strada maestra Kabul-Kandahar,che il sito dell'Usaidpropaganda con orgoglio come un successo. In cinqueanni e' la sola stradache sia mai stata finita, il che supera almeno di unpunto il recorddell'amministrazione Bush nella costruzione di sistemiidrici o fognari(nessuno).Nel marzo 2005, la superstrada in questione apparvesul giornale "KabulWeekly" sotto il titolo: "Milioni buttati via perstrade di seconda mano".Il giornalista afgano Mirwais Harooni racconto' chesebbene ditteinternazionali si fossero offerte per ricostruire lastrada al prezzo di 250dollari al chilometro, gli statunitensi del LouisBerger Group avevanoottenuto il lavoro al prezzo di 700 dollari alchilometro (ce ne sono 389).Perche'? La risposta standard americana e' che gliamericani lavoranomeglio, sebbene non sia il caso della ditta Berger cheall'epoca era gia' inritardo su un altro contratto di 665 milioni didollari per costruire scuolein Afganistan. La Berger subappalto' la costruzionedella stretta strada adue corsie, priva di guard-rail, a ditte turche edindiane, al costo finaledi un milione di dollari a miglio: e chiunque civiaggi oggi puo' constatareche sta gia' cadendo a pezzi.L'ex ministro della pianificazione Ramazan Bashardostfece notare che inmateria di strade i talebani avevano fatto un migliorlavoro, ed anche luipose la fatidica domanda: "Dove sono finiti i soldi?".Oggi, con una mossache certamente fara' crollare gli indici di gradimentodi Karzai, edanneggera' ulteriormente le truppe Usa e Natopresenti nell'area,l'amministrazione Bush sta facendo pressione sulgoverno afgano affinche'questo "dono del popolo degli Stati Uniti" (cosi'venne definita la strada)sia trasformato in una strada a pagamento: 20 dollaria guidatore per unpermesso di transito valido un mese. In questo modo,dicono gli espertiamericani fornitori di superpagata assistenza tecnica,l'Afghanistanpotrebbe avere un introito annuo di 30 milioni didollari dai suoi cittadiniimmiseriti e alleggerire finalmente il "peso"dell'aiuto che grava sugliUsa.*C'e' da stupirsi se l'aiuto straniero sembraall'afgano ordinario qualcosadi cui sono gli stranieri a godere?Ad una estremita' dell'infame superstrada, a Kabul,gli afgani si lamentanodei fantasiosi ristoranti dove questi esperti ed altriforestieri siriuniscono per bere alcolici, divertirsi e piombarenudi nelle piscine.Obiettano alla presenza di bordelli in citta' (ottonel 2005), bordelli incui donne afgane vengono trafficate per servire ai"bisogni" deglistranieri. Si lamentano del fatto che la capitale e'ancora un ammasso dirovine, che molte persone vivano ancora sotto letende, che in migliaia nontrovano lavoro, che i bambini sono denutriti, che lescuole e gli ospedalisono sovraffollati, che donne in burqa stracciatimendicano nelle strade efiniscono per prostituirsi, che i bambini vengonorapiti e venduti inschiavitu', o assassinati per ricavarne organi datrapianto. Si chiedonodove sia finito il denaro degli aiuti promessi e cosaquesto governofantoccio possa fare per migliorare le cose.All'altra estremita' della strada c'e' Kandahar, lacitta' natale delpresidente Karzai. Nelle provincie del sud (Kandahar,Helmand, Zabul eUruzgan) si stima che il comandante talebano MullahDadullah abbia piu' di12.000 uomini armati e squadre di suicidi pronti afarsi saltare in aria conbombe. Tendono agguati alle truppe Nato arrivate difresco. Il comandantebritannico Richards ha di recente dato il suo avviso:"Dobbiamo capire chein effetti qui possiamo fallire".Gli Usa attaccano i talebani come fecero nel 2001, coni bombardamentiaerei. Il "Times" di Londra riporta che solo nelmaggio scorso ce ne sonostati 750; ogni giorno ci sono notizie di vittimeprodotte dai combattimentifra Nato e talebani, e di vittime che erano "sospetti"talebani o semplicicivili, uccisi dai bombardamenti americani a largoraggio.Nel frattempo, i talebani prendono il controllo deivillaggi. Uccidono gliinsegnanti e fanno saltare per aria le scuole. Lesquadre antidroga guidatedagli Usa pure prendono il controllo di villaggi edistruggono lecoltivazioni di papavero da oppio di contadini inmiseria.Presi, come al solito, nel mezzo di due fazioni inguerra, gli afgani delsud e dell'est hanno da tempo cessato di chiedersidove sono finiti i soldi.Si chiedono invece chi sia a governare. E che fine hafatto la pace.

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(ringrazio per la segnalazione Gualtiero Via, GLT Nonviolenza Rete Lilliput Nodo di Bologna).
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01 settembre 2006

>King of pain




Theres a little black spot on the sun today
Its the same old thing as yesterday
Theres a black hat caught in a high tree top
Theres a flag pole rag and the wind wont stop

I have stood here before inside the pouring rain
With the world turning circles running round my brain
I guess Im always hoping that youll end this reign
But its my destiny to be the king of pain

Theres a little black spot on the sun today
Thats my soul up there
Its the same old thing as yesterday
Thats my soul up there
Theres a black hat caught in a high tree top
Thats my soul up there
Theres a flag pole rag and the wind wont stop
Thats my soul up there

I have stood here before inside the pouring rain
With the world turning circles running round my brain
I guess Im always hoping that youll end this reign
But its my destiny to be the king of pain

Theres a fossil thats trapped in a high cliff wall
Thats my soul up there
Theres a dead salmon frozen in a waterfall
Thats my soul up there
Theres a blue whale beached by a springtides ebb
Thats my soul up there
Theres a butterfly trapped in a spiders web
Thats my soul up there

I have stood here before inside the pouring rain
With the world turning circles running round my brain
I guess Im always hoping that youll end this reign
But its my destiny to be the king of pain

Theres a king on a throne with his eyes torn out
Theres a blind man looking for a shadow of doubt
Thers a rich man sleeping on a golden bed
Theres a skeleton choking on a crust of bread
King of pain

Theres a red fox thorn by a huntsmans pack
Thats my soul up there
Theres a black winged gull with a broken back
Thats my soul up there
Theres a little black spot on the sun today
Its the same old thing as yesterday

I have stood here before inside the pouring rain
With the world turning circles running round my brain
I guess Im always hoping that youll end this reign
But its my destiny to be the king of pain
King of pain
King of pain
King of pain
Ill always be
king of pain
Ill always be
king of pain
Ill always be king of pain...

The Police, Sinchronicity, 1983