27 febbraio 2009

Utopia


Alecsandr Rodcenko e Varvara Stepanova, Utopia (piccoli aviatori), 1933

Soffice esplosione

Settimana 27 febbraio / 5 marzo 2009

Bilancia (23 settembre - 22 ottobre)
"Per vedere quello che abbiamo sotto il naso dobbiamo impegnarci continuamente", scriveva George Orwell. Anche se questo è vero per la maggior parte di noi, scommetto che la prossima settimana tu sarai l'eccezione alla regola. Ti accorgerai che è più facile del solito sfuggire alla routine della vita quotidiana. Di conseguenza, i segreti ovvi che finora non sei riuscito a vedere ti batteranno delicatamente sulla fronte e ti diranno: "Guardaci!". Dopo lo stupore iniziale, ti sentirai più rilassato – anche se non sapevi di essere teso – e avrai una calda e soffice esplosione di speranza.

Con tutto il cuore

Il 13 febbraio AI Mexico ha unito le forze con le altre associazioni di donne in Messico per chiedere la pubblicazione e il miglioramento della Direttiva sulla Salute NOM-046-SSA2-2005 per garantire che i medici forniscano completa attenzione alle donne vittime di violenza, inclusa la violenza sessuale. AI Messico ha anche ribadito che la Direttiva sulla Salute dovrebbe includere una garanzia chiara di accesso legale e sicuro all'interruzione di gravidanza per le vittime di violenza sessuale.
Centinaia di lettere e di cuori di carta sono stati mandati da attivisti ditutto il mondo. AI Mexico li ha consegnati al Ministero della Salute durante l'evento.
Obiettivo dell'azione: migliorare l'attenzione dei medici verso le vittime di violenza.

Segue messaggio di Tonio Tessada di AI Mexico:

Cari attivisti di AI di tutto il mondo,
vogliamo ringraziarvi per il vostro lavoro e per i messaggi a favore ditutte le donne messicane inviati ai nostri Uffici Nazionali. L'azione è stata un successo e i cuori sono stati usati per formare la frase "Guarantee their rights" (= garantite i loro diritti).
Molte organizzazioni per i diritti delle donne e gruppi della società civile hanno risposto alla nostra chiamata e visto che il loro lavoro è vitale è stato gratificante averle con noi. La mattina del 13 Febbraio è stata una giornata piena di vita e colori con i palloncini e gli striscioni che abbiamo portato al Ministro della Salute per chiedere il rispetto per i diritti sessuali e riproduttitivi delle donne, assicurando in particolare il diritto alla contraccezione e all'aborto legale per le vittime di violenza sessuale. Tra i vari messaggi, "Per il 14 Febbraio non vogliamo regali, vogliamo che il governo messicano rispetti i suoi obblighi", "accesso ai servizi di salute per tutte le donne!" e "Le donne ne hanno abbastanza della violenza contro di loro...basta ostacoli!"
AI ha consegnato più di 3.000 tra lettere, cartoline e messaggi al Ministero della Salute.
I CUORI arrivati in tempo per la consegna provenivano da diversi stati messicani e da paesi di tutto il mondo: Ecuador, Peru, Polonia, Finlandia, USA, Tunisia, Italia, Danimarca, Olanda, Svizzera e Canada.
Grazie a tutti!
Continueremo a consegnare al Ministero i cuori che arriveranno nei prossimi giorni.

Troppa carne al fuoco

AFGHANISTAN: ACCERTARE LE RESPONSABILITA’ PER LE VITTIME CIVILI PRIMA DI MANDARE ALTRE TRUPPE, CHIEDE AMNESTY INTERNATIONAL

Commentando l’annuncio dell’invio di ulteriori truppe in Afghanistan da parte del presidente Usa Barack Obama e il sollecito a fare altrettanto rivolto alla Nato, Amnesty International ha affermato che occorre un
maggiore impegno delle forze presenti in Afghanistan per accertare le responsabilita' delle perdite civili causate da azioni militari.
"Il 2008 e' stato l’anno piu' violento per la popolazione civile dalla caduta dei talebani e il risentimento degli afgani per le vittime civili causate da raid notturni e altre azioni militari sta aumentando" – ha dichiarato Sam Zarifi, direttore del Programma Asia e Pacifico di Amnesty International. "Agli Usa e ai loro alleati spetta assicurare che il nuovo arrivo di truppe nel paese migliori la sicurezza degli afgani, anziche' porre la vita di questi ultimi ancora piu' a rischio".
Il caso dell’uccisione di due fratelli a Kandahar in piena notte, nel gennaio 2008, e' un chiaro esempio della mancata assunzione di responsabilita' da parte delle forze internazionali. Secondo quanto emerso dalle ricerche effettuate da Amnesty International, Abdul Habib e Mohammed Ali sono stati colpiti a bruciapelo nella propria abitazione, nonostante fossero disarmati, da uomini in mimetica. A oltre un anno di distanza,
nessuno ha ammesso le proprie responsabilita', nonostante le sollecitazioni di Amnesty International, della Commissione indipendente afgana per i diritti umani e del Relatore speciale dell’Onu sulle
esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie.
L’Isaf ha fatto sapere ad Amnesty International che nessun soldato Nato/Isaf e' stato coinvolto nell’episodio. A oggi, neanche gli Usa hanno ammesso di avervi preso parte. Amnesty International ha tuttavia appreso
che l’operazione e' stata condotta da personale della base Firebase Gecko (nota anche come Firebase Maholic), situata nell’ex abitazione del leader talebano Mullah Omar a Kandahar, ora utilizzata come base Usa per ospitare truppe internazionali regolari, forze speciali e personale di servizi di sicurezza, come la Cia. Queste ultime entita' vengono spesso citate come "agenzie di altri governi" e conosciute con la sigla Oga (Other government agencies).
Le forze di sicurezza afgane a Kandahar hanno confermato di non esercitare alcun controllo ne' comando sulle attivita' delle forze speciali e delle Oga di stanza a Firebase Gekco e di non poter pertanto fornire alcun
rimedio ai civili che vengono coinvolti nelle azioni compiute da unita' che operano nella zona.
"La perdurante impunita' nella vicenda dell’omicidio dei due fratelli mette in evidenza la mancanza di assunzione di responsabilita' delle forze occidentali in Afghanistan" – ha aggiunto Zarifi. "La situazione del paese e' in bilico e la popolazione si domanda sempre piu' spesso se il governo e i suoi alleati internazionali stiano facendo abbastanza per proteggerla.
I talebani hanno attizzato il risentimento dell’opinione pubblica e le forze internazionali non hanno ancora mostrato di voler davvero svolgere indagini, punire i responsabili e risarcire le vittime".
Amnesty International ha apprezzato la recente adozione, da parte delle forze Nato e Usa, di procedure per ridurre i danni ai civili, ma ha sottolineato che c’e' ancora grande confusione per quanto riguarda la
catena di comando, il mandato e le regole d’ingaggio delle forze militari presenti in Afghanistan e provenienti da circa 40 paesi.


FINE DEL COMUNICATO Roma, 26 febbraio 2009

Coscienza di crisi

Presentato uno studio dello Urban istitute su 1.227 omicidi
La pena di morte costa troppo
Alcuni Stati Usa chiedono di abolirla
Il governatore del Maryland: «L'esecuzione di un omicida costa tre volte che mandarlo in carcere»

WASHINGTON – La pena di morte costa troppo, aboliamola! Questa l’inattesa argomentazione di alcuni stati americani nel tempo della crisi economica e finanziaria. La sentenza capitale non è avvertita – paradossalmente – per quello che è, una macchia morale, sarebbe solo un onere di bilancio. «Condannare a morte un omicida costa tre volte tanto che condannarlo al carcere» ha spiegato il governatore del Maryland, Martin O’ Malley, che peraltro, da cattolico e democratico, vi è stato sempre contrario.

STUDIO SU 1.227 OMICIDI - O’ Malley ha citato uno studio dello Urban istitute su 1.227 omicidi commessi nel Maryland dal 1978 al 1999, dopo che negli Stati uniti venne ripristinata la pena di morte, abolita in precedenza dalla Corte suprema. Secondo l’Urban institute, le condanne di un assassino alla detenzione costarono in media 1 milione 100 mila dollari l’una; le condanne a morte richieste dal Pubblico ministero ma respinte dalla Corte costarono 1 milione 800 mila dollari; e le condanne a morte ottenute costarono oltre 3 milioni di dollari. «Quando vi è di mezzo la sentenza capitale» ha osservato il governatore «i processi, i ricorsi, la sorveglianza in carcere, tutto si moltiplica e diventa molto più caro».

ANCORA IN VIGORE IN 38 STATI SU 50 - Attualmente, la pena di morte vige in 38 dei 50 stati americani. Ma oltre che nel Maryland, anche nel Colorado, nel Kansas, nel Montana, nel Nebraska, nel New Hampshire e nel Nuovo Messico governatori e parlamenti locali hanno presentato dei disegni di legge per la sua abolizione. Bill Richardson, il governatore del Nuovo Messico, ha dichiarato che se il Senato voterà sì – come probabile, la Camera lo ha già fatto – firmerà subito la messa al bando delle sentenze capitali. «In questa era di austerità bisogna risparmiare» ha detto.

CI SONO ANCHE ALTRI MOTIVI - Richardson ha ammesso che vi sono anche altri motivi per cambiare la legge: «Il più grave è che a volte sono stati condannati a morte degli innocenti». Nel Kansas, la senatrice Carolyn McGinn, una repubblicana, ha proposto che la pena di morte venga abolita a luglio «perché il bilancio statale è in deficit e risparmieremmo mezzo milione di dollari per ogni condannato».

LE PROTESTE DEI SOSTENITORI - Queste iniziative hanno suscitato le violenti proteste dei fautori della sentenza capitale - dai sondaggi ancora la maggioranza della popolazione americana - in particolare della Fondazione per la giustizia criminale, che tutela gli interessi dei familiari delle vittime degli omicidi: Kent Scheidegger, il suo direttore, ha protestato che «tagliare i costi non è una buona giustificazione per non punire i criminali». Ma le iniziative sono appoggiate dal movimento abolizionista, che ha registrato notevoli progressi negli ultimi anni, ottenendo nel 2007 che la pena di morte fosse cancellata nel New Jersey, una svolta epocale. Di più: le carceri americane sono così affollate e così disastrate che alcune incominciano a lasciar liberi in anticipo i detenuti che hanno commesso reati meno gravi. Nemmeno il taglio dei costi, comunque, fa smuovere per ora le roccaforti delle esecuzioni come il Texas, lo stato dell’ex presidente Bush, e come la Virginia.
Ennio Caretto


25 febbraio 2009, da www.corriere.it

26 febbraio 2009

Conciati per le Feste

Pechino, in tre si danno fuoco vicino piazza Tienanmen

PECHINO - Tre persone si sono date fuoco oggi nel centro di Pechino, all'interno di un'automobile. Lo riferisce l'agenzia Nuova Cina citando un portavoce governativo. La fonte specifica che al momento non si sa se i tre siano vivi o morti. Nessun commento sui motivi del gesto. Anche se il luogo, a meno di un chilometro di distanza dalla celebre Piazza Tienanmen, lascia aperta l'ipotesi di un gesto "politico".
Non è chiaro neppure se l'episodio sia da ricollegare al 'Losar', il Capodanno tibetano che cade proprio oggi, a poco meno di un anno dalla brutale repressione seguita alle proteste di piazza a Lhasa e nel resto della regione himalayana.

25 febbraio, da www.repubblica.it

- - -
Ricordiamo che oggi e' la festivita' del Losar, il capodanno tibetano. E' in corso in Tibet una dura campagna "strike hard", con centinaia di arresti, in previsione dell'anniversario dell'occupazione da parte delle truppe cinesi. (dal Coordinamento Asia Amnesty International)

Che più bianco non si può

ISRAELE/TERRITORI OCCUPATI PALESTINESI: LE PROVE DEL CATTIVO USO DI ARMI FORNITE DAGLI USA RENDONO ANCORA PIu' NECESSARIO UN EMBARGO. LA SEZIONE ITALIANA DI AMNESTY INTERNATIONAL E LA RETE ITALIANA PER IL DISARMO CHIEDONO AL GOVERNO DI SOSPENDERE I TRASFERIMENTI E INTERROMPERE LE AUTORIZZAZIONI ALL’ESPORTAZIONE DI ARMI

Sia Israele che Hamas hanno utilizzato armi provenienti dall’estero per compiere attacchi contro i civili. Lo ha dichiarato oggi Amnesty International, diffondendo un rapporto che contiene nuove prove sulle munizioni usate durante le tre settimane di conflitto a Gaza e nel sud d’Israele e chiedendo alle Nazioni Unite un embargo completo sulle armi.
"Le forze israeliane hanno usato fosforo bianco e altre armi fornite dagli Usa per commettere gravi violazioni del diritto umanitario, compresi crimini di guerra. I loro attacchi hanno causato la morte di centinaia di
bambini e di altri civili e la massiccia distruzione di abitazioni e infrastrutture" – ha dichiarato Donatella Rovera, che ha guidato la missione di ricerca di Amnesty International nel sud d’Israele e a Gaza.
"Al tempo stesso, Hamas e altri gruppi armati palestinesi hanno lanciato contro le aree civili israeliane centinaia di razzi introdotti a Gaza dall’esterno o assemblati con componenti prese all’estero".
Anche prima delle tre settimane di conflitto, coloro che avevano fornito le armi alle due parti erano consapevoli del ripetuto cattivo uso che ne veniva fatto. Per questa ragione, devono assumere parte della
responsabilita' per le violazioni dei diritti umani causate dalle armi da loro trasferite e cessare immediatamente ulteriori forniture.
"In quanto principali fornitori di armi a Israele, gli Usa hanno un obbligo particolare nel fermare ogni trasferimento che contribuisca a gravi violazioni delle leggi di guerra e dei diritti umani.
L’amministrazione Obama dovrebbe immediatamente sospendere gli aiuti militari a Israele" – ha dichiarato Malcolm Smart, direttore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.
Da molti anni gli Usa sono il principale fornitore di armi convenzionali a Israele. L’accordo decennale in vigore fino al 2017, prevede il rifornimento di aiuti militari per un valore di 30 miliardi di dollari,
con un aumento del 25 per cento rispetto al periodo precedente l’amministrazione Bush.
"In larga misura, l’offensiva militare israeliana a Gaza e' stata condotta con armi, munizioni ed equipaggiamento militare provenienti dagli Usa e pagati coi fondi dei contribuenti statunitensi" – ha dichiarato Smart.
A Gaza, terminato il conflitto, i ricercatori di Amnesty International hanno rinvenuto grandi quantita' di frammenti e componenti di munizioni usate dall’esercito israeliano (comprese molte "made in Usa") nelle case, nei cortili delle scuole e negli ospedali: resti di obici esplosi da carri armati o dall’artiglieria, di mortai, di missili Hellfire e di altro genere, di bombe sganciate dagli F16 cosi' come grumi ancora fumanti e
altamente incendiari di fosforo bianco.
I delegati di Amnesty International hanno rinvenuto anche resti di un nuovo tipo di missile, apparentemente lanciato da droni, che rilascia una gran quantita' di cubetti acuminati, ognuno dei quali di dimensione
compresa tra 2 e 4 millimetri. Queste munizioni, studiate per fare il massimo danno possibile, sono state in grado di penetrare spesse porte di metallo e mura di cemento armato.
Nel sud d’Israele, Amnesty International ha trovato i resti di razzi Qassam, Grad e di altri ordigni lanciati indiscriminatamente da Hamas e altri gruppi armati palestinesi contro aree civili israeliane. Queste armi
rudimentali entrano a Gaza clandestinamente o vengono assemblate sul posto con componenti introdotte segretamente dall’esterno. Sono prive di precisione e non possono essere paragonate alle armi usate da Israele ma nondimeno hanno causato diversi morti e feriti tra i civili israeliani
cosi' come danni alle loro proprieta'.
"Sollecitiamo il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a imporre un immediato embargo totale sulle armi dirette a Israele, Hamas e altri gruppi armati palestinesi, fino a quando non siano individuati meccanismi
efficaci per assicurare che munizioni e altre forniture militari non verranno usate per commettere gravi violazioni del diritto umanitario. Inoltre, tutti gli stati dovrebbero sospendere ogni trasferimento di
munizioni, equipaggiamento e assistenza militare verso Israele, Hamas e altri gruppi armati palestinesi fino a quando non vi sara' piu' un sostanziale rischio di violazioni dei diritti umani. Gli affari non
possono andare avanti come al solito, con le prevedibili ulteriori conseguenze devastanti per la popolazione civile di Gaza e Israele" – ha concluso Smart.
Con una lettera inviata oggi al Ministro degli Affari esteri Franco Frattini, la Sezione Italiana di Amnesty International e la Rete italiana per il Disarmo hanno chiesto che il governo italiano interrompa le
autorizzazioni all’esportazione di armi verso Israele e sospenda eventuali trasferimenti gia' autorizzati in base alla legge 110/1975, alla legge 185/1990 e agli Accordi per la cooperazione nel campo della Difesa. Il
nostro paese dovrebbe inoltre rendere pubbliche le informazioni relative alle esportazioni di armi verso Israele, autorizzate o effettuate in base a tali Accordi. L’Italia, inoltre, dovrebbe sostenere la necessita' e
l’urgenza di un embargo completo delle Nazioni Unite sui trasferimenti di armi a Israele, Hamas e altri gruppi armati palestinesi.


FINE DEL COMUNICATO Roma, 23 febbraio 2009

Il rapporto "Israel / OPT: Fuelling conflict: Foreign arms supplies to Israel/Gaza" e' disponibile in lingua inglese all’indirizzo:
www.amnesty.org/en/library/info/MDE15/012/2009/en

Vuoto

Nella mia casa. Un giorno sarai cieco. Come me. Sarai seduto in qualche luogo, un piccolo pieno perduto nel vuoto, per sempre, nel buio. Come me. Un giorno dirai a te stesso, Sono stanco, vado a sedermi, e andrai a sederti. Poi dirai a te stesso, Ho fame, ora mi alzo e mi preparo da mangiare. Ma non ti alzerai. Dirai a te stesso, Ho fatto male a sedermi, ma visto che sono seduto resterò seduto ancora un poco, poi mi alzerò e mi preparerò da mangiare. Ma non ti alzerai e non ti preparerai da mangiare. Guarderai il muro per un poco, poi dirai a te stesso, Ora chiuderò gli occhi, forse dormirò un poco, dopo andrà meglio, e li chiuderai. E quando li riaprirai il muro non ci sarà più. Intorno a te ci sarà il vuoto infinito, tutti i morti di tutti i tempi non basterebbero, risuscitando, a colmarlo, e sarai come un sassolino in mezzo alla steppa. Sì, un giorno saprai cosa vuol dire, sarai come me, solo che tu non avrai nessuno, perché tu non avrai avuto pietà di nessuno e non ci sarà più nessuno di cui avere pietà.

Samuel Beckett, da Finale di partita, 1957

22 febbraio 2009

Sign o' the times

TESTO DELL'ORDINANZA CHE VIETA LE MANIFESTAZIONI IN CENTRO A BOLOGNA NEI WEEKEND

Prot. n. 368/2009/12b16/Gab.
VISTA la Direttiva del Ministro dell'Interno in data 23 gennaio 2009, recante, ai sensi dell'art 1 della legge 1 aprile 1981, n. 121, criteri per la disciplina delle pubbliche manifestazioni nei centri urbani e nelle aree sensibili;
PREMESSO che il diritto costituzionalmente garantito di riunirsi e manifestare liberamente in un luogo pubblico costituisce espressione fondamentale della vita democratica e come tale va preservato e tutelato;
CONSIDERATO, tuttavia, che l'esercizio di tale diritto deve svolgersi in maniera tale da consentire il libero esercizio di altri diritti anch'essi costituzionalmente garantiti, nonché l'ordinato svolgimento della convivenza civile;
ATTESO che la surrichiamata Direttiva prevede che i Prefetti, d'intesa con i Sindaci, sentito il Comitato Provinciale per l'Ordine e la Sicurezza Pubblica, adottino apposito provvedimento, inizialmente anche in forma sperimentale, e condividendone il più possibile i contenuti con le forze politiche e sociali, volto a stabilire regole per:
1. sottrarre alcune aree alle manifestazioni;
2. prevedere, ove necessario, forme di garanzia per gli eventuali danni;
3. prevedere altre indicazioni per lo svolgimento delle manifestazioni;
DATO ATTO che, al fine di raggiungere la maggior condivisione possibile, sono stati svolti una serie di colloqui ed incontri con le forze politiche e sociali della provincia per acquisire elementi ed osservazioni da sottoporre al parere del Comitato Provinciale per l'Ordine e la Sicurezza Pubblica;
RITENUTO di individuare le aree da inibire alle manifestazioni sulla base di valutazioni che tengano in equilibrato conto sia delle caratteristiche e specificità della città di Bologna, sia delle circostanze di tempo nelle quali le stesse aree vanno considerate particolarmente sensibili;
SENTITO il Comitato Provinciale per l'Ordine e la Sicurezza Pubblica e dato atto dell'intesa con il Sindaco del Comune di Bologna;
VISTI, oltre la surrichiamata Direttiva del Ministro dell'Interno in data 23 gennaio 2009, gli artt. 17 e 21 della Costituzione della Repubblica italiana, gli artt 1 e 13 della legge 1 aprile 1981, n. 121; gli artt. 18 e 26 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, Testo Unico
delle Leggi di Pubblica Sicurezza e l'art. 30 del R.D. 6 maggio 1940, n. 635, Regolamento per l'esecuzione del TULPS;
DECRETA
con riferimento alla città di Bologna, in via sperimentale fino al 30 settembre 2009, ferme restando le valutazioni necessarie in relazione a casi specifici, fatte salve le tradizionali cerimonie e ricorrenze a carattere storico, religioso e commemorativo e le iniziative soggette alla disciplina in materia di propaganda elettorale, nelle giornate di sabato a decorrere dalle ore 14.00 e di domenica sono sottratte ai cortei ed alle manifestazioni pubbliche di cui in premessa le seguenti Piazze del centro storico:
- Piazza Maggiore;
- Piazza del Nettuno;
- Piazza Re Enzo;
- Piazza Santo Stefano;
nonché le vie del centro storico che costituiscono la c.d. "T", ovvero via Ugo Bassi, il tratto di via Indipendenza ricompreso fra via Augusto Righi e via Rizzoli, e la stessa via Rizzoli.
Inoltre per quelle manifestazioni per cui, per precedenti specifici di turbative dell'ordine e della sicurezza pubblica, modalità di svolgimento, particolari caratteristiche e luoghi attraversati non sussistano idonee sufficienti garanzie che da esse non conseguano danni al patrimonio architettonico ed urbano pubblico o privato, il Questore prevederà ogni indicazione o prescrizione ritenuta più opportuna.
Il Sindaco ed il Questore di Bologna sono invitati ad osservare il contenuto del presente provvedimento nell'adozione delle determinazioni di rispettiva competenza.

Bologna febbraio 2009
IL PREFETTO

21 febbraio 2009

Ho visto cose che voi umani...

CONVOCATO AMBASCIATORE DI ROMA PER FRASE PRIMO MINISTRO ITALIANO

Il governo argentino ha convocato oggi l´ambasciatore italiano
Stefano Ronca esprimendo "profonda preoccupazione e disagio" per
una frase del primo ministro Silvio Berlusconi sui `voli della
morte´ che durante gli anni della dittatura militare (1976-1983)
rappresentarono uno dei sistemi usati per uccidere e far scomparire i
prigionieri politici lanciati ancora vivi nelle acque del Rio de la
Plata. Durante la campagna elettorale per il rinnovo del governo
regionale della Sardegna Berlusconi, secondo un servizio pubblicato
dal quotidiano `L´Unità´ e rilanciato da tutti i media
argentini, ha detto "Erano belle giornate, li facevano scendere
dagli aerei..." facendo riferimento proprio ai `voli della
morte´. Dopo essere stato sentito dal capo di gabinetto del
ministero degli Esteri di Buenos Aires, Ronca si è impegnato a
verificare le frasi attribuite al capo del governo italiano. La
presidente dell´associazione `Abuelas de Plaza de Mayo´, Estela
de Carlotto, ha annunciato la presentazione di una formale richiesta
di chiarimenti all´ambasciata italiana e ha detto di "sentirsi
offesa" pur sottolineando come in passato da parte di altri governi
e della giustizia italiana l´atteggiamento sia stato diverso.

ARGENTINA 18/2/2009

FONTE: AGENZIA MISNA

Hillarità generale

USA-CINA: AMNESTY 'SCIOCCATA' DA DICHIARAZIONI CLINTON SU DIRITTI UMANI

(ASCA-AFP) - Washington, 20 feb - Amnesty International si e' detta ''scioccata ed estremamente delusa'' dalle dichiarazioni rilasciate a Pechino dal segretario di Stato Usa Hillary Clinton.

Nel corso della sua prima visita in Asia nel ruolo di primo diplomatico americano, la Clinton ha affermato che gli Stati Uniti continueranno a fare pressioni sul Paese estremo orientale per cio' che riguarda i diritti umani e il ruolo che il Paese svolge nei confronti del Tibet, ma questo ''non puo' interferire sullo stato di crisi che coinvolge l'economia, il clima e la sicurezza''.

T. Kumar, direttore della sezione Asia-Pacifico di Amnesty International Usa, ha successivamente dichiarato che l'organizzazione sovranazionale per i diritti umani e' ''scioccata ed estremamente delusa'' dalle dichiarazioni del segretario statunitense.

''Gli Stati Uniti sono uno dei pochi Paesi che puo' significativamente affrontare la Cina sul tema dei diritti umani'', ha spiegato Kumar.

Il direttore ha poi aggiunto che, il commento del segretario di Stato Usa sul fatto che i diritti umani non interferiranno con le altre priorita' del Paese, ''danneggia il futuro delle iniziative americane volte a proteggere quegli stessi diritti in Cina''.

Amnesty International e l'osservatorio sui diritti umani hanno inviato alla Clinton una lettera in cui la esortano a rilanciare l'interesse sul tema dei diritti umani nei colloqui con i leader cinesi durante il suo tour asiatico.

Anna verrà

FEDERAZIONE RUSSA: AMNESTY INTERNATIONAL, LE INDAGINI SULL’OMICIDIO DI
ANNA POLITKOVSKAYA DEVONO PROSEGUIRE

“Le indagini sull’omicidio della giornalista e attivista per i diritti
umani Anna Politkovskaya devono continuare con rinnovato vigore”, ha
dichiarato ieri Amnesty International dopo che la giuria di un tribunale
militare distrettuale di Mosca ha assolto tutti gli imputati sotto
processo perche' coinvolti nell’omicidio.

“Sollecitiamo le autorite' russe a non fermarsi qui ma a continuare le
indagini sull’assassinio e a portare di fronte alla giustizia tutti coloro
che sono coinvolti, compresi l’esecutore materiale e i mandanti” – ha
dichiarato Nicola Duckworth, direttrice del Programma Europa e Asia
centrale di Amnesty International.

La giuria ha dichiarato di non aver trovato elementi di colpevolezza nelle
prove fornite dalle indagini.

Al termine del processo Anna Stavitskaia, una dei rappresentanti dei figli
di Anna Politkovskaya, ha sottolineato che le indagini sono state deboli e
che l’impianto difensivo degli imputati e' stato molto piu' forte.

“La fine del processo non solleva le autorita' dal dovere di trovare
l’assassino e coloro lo difendono” - ha continuato Nicola Duckworth.
“Facendo giustizia per l’assassinio di Anna Politkovskaya, le autorita'
russe mostreranno la volonta' politica di porre fine alla repressione nei
confronti dei difensori dei diritti umani”.

Rivolgendosi alla giuria pochi giorni prima della sentenza, l’avvocato
Karinna Moskalenko, altra rappresentante dei figli di Anna Politkovskaya,
aveva detto: “Anna avversava l’impunita' e l’illegalita', non avrebbe mai
voluto vedere in liberta' qualcuno che avesse commesso un grave crimine.
Allo stesso modo, non avrebbe voluto vedere affatto qualcuno condannato
per un crimine non commesso”.

Ulteriori informazioni

Anna Politkovskaya, giornalista e attivista per i diritti umani, e' stata
uccisa il 7 ottobre 2006 a Mosca. Aveva piu' volte subito intimidazioni e
vessazioni dalle autorita' russe, comprese quelle cecene, per aver
apertamente criticato la politica e le azioni del governo. Dopo aver
iniziato, nel 1999, a scrivere sul conflitto armato in Cecenia e nel
Caucaso del nord, era stata arrestata e minacciata di gravi rappresaglie,
nonche' di morte, in molte occasioni.

Dalla fine dell’agosto 2007, almeno 12 persone sono state arrestate per
l’assassinio ma molte di esse sono state successivamente rilasciate. Tra
gli indiziati figuravano funzionari del ministero dell’Interno, dei
servizi di sicurezza federali e un ex dirigente di un’amministrazione
locale in Cecenia.

Durante il processo, iniziato nel novembre 2008, i membri della giuria si
erano fatti la convinzione della colpevolezza, per aver partecipato
all’omicidio di Anna Politkovskaya, di Dzhabrail e Ibragim Makhmudov e di
Sergei Khadzhikurbanov. Quest’ultimo, un ex dirigente di polizia, era
stato accusato anche di aver arrestato e maltrattato l’uomo d’affari
Eduard Ponikarov, insieme all’ufficiale dei servizi di sicurezza federali,
Pavel Riaguzov.

Amnesty International ha seguito gran parte delle udienze.

FINE DEL COMUNICATO
Roma, 20 febbraio 2009


L'isola che non c'è

LAMPEDUSA: LETTERA APERTA DEL TAVOLO ASILO SULLA GRAVITA' DELLA SITUAZIONE

Gli enti di tutela dei rifugiati riuniti nel Tavolo Asilo si rivolgono
oggi al presidente della Repubblica, al presidente del Consiglio dei
Ministri, al ministro dell'Interno con la seguente lettera aperta:

Le sottoscritte associazioni ed enti del Tavolo Asilo esprimono profonda
preoccupazione per quanto sta avvenendo in queste ore nel centro per
immigrati e richiedenti asilo situato in contrada Imbriacola, a Lampedusa,
utilizzato a partire da gennaio come Centro di identificazione ed
espulsione (CIE), per decisione del ministro dell’Interno.

Nel centro, ove si trovano al momento circa 800 persone, e' in corso da
ieri sera uno sciopero della fame dei migranti e questa mattina e'
scoppiato un esteso incendio.

La trasformazione del centro da struttura di primo soccorso a Centro di
identificazione e l’esecuzione degli allontanamenti hanno gia' destato, a
livello nazionale e internazionale, grandi preoccupazioni, evidenziate nel
documento del Tavolo Asilo, noto alle autorita' italiane ed europee,
nonche' negli allarmati rapporti della Commissione diritti umani del
Senato e della delegazione del Parlamento europeo.

La scelta messa in atto dal governo, che ha voluto concentrare a Lampedusa
tutti i migranti che giungono presso le sue coste, qualunque sia la loro
condizione giuridica, ha creato nell’isola una situazione di grande e
crescente tensione. Si ritiene che l’isola di Lampedusa non abbia le
caratteristiche per ospitare un centro che abbia finalita' diverse da
quelle di prima accoglienza e soccorso, con la previsione di rapidi
trasferimenti di tutti i migranti in altre strutture, com’e' avvenuto
dall’aprile 2006 fino a dicembre 2008.

Si torna a chiedere, con urgenza:

- che tutti i migranti siano immediatamente trasferiti in altre strutture
idonee, ove siano svolte le procedure amministrative, in particolare
quella di asilo
- che l’isola di Lampedusa sia sede esclusivamente di strutture destinate
al primo soccorso e all’accoglienza dei migranti

Si chiede inoltre che vengano accertate eventuali responsabilita' di
quanto accaduto.

Firmatari:
Amnesty International, Arci, Asgi, Casa dei diritti sociali - Focus,
Centro Astalli, Consiglio italiano per i rifugiati – CIR, Federazione
delle Chiese Evangeliche in Italia, Medici Senza Frontiere, Senzaconfine

FINE DEL COMUNICATO
Roma, 18 febbraio 2009

13 febbraio 2009

Still life

Ieri, una amica felice. Un concerto bellissimo. Una musica sublime. Scendono le lacrime. Scendono le note, lente, dense, come gocce di glucosio in un tubo sottile, lungo diciassette anni. Paziente, nell’abisso del suo segreto, ha messo un passo nell’orma dell'altro, un giorno nell’orma dell'altro, un silenzio nell’orma dell'altro, infinito sentiero a spirale, e improvvisa è qui, ai piedi della croce, dove esplode l'agonia che la divora in una fiammata. Addio Eluana.

Non aprite quella bocca

Carissimi, invitiamo tutti a partecipare questo
venerdì 13 febbraio ore 11-18, Piazza Re Enzo alla manifestazione contro l'emendamento che cancella il divieto di denunciare gli immigrati irregolari che si rivolgono alle strutture sanitarie
approvato in Senato il 5 febbraio scorso. Gli operatori sanitari, le
associazioni di volontariato e di migranti e tutti i cittadini sono
invitati a manifestare la propria opposizione.

natalia ciccarello
direttore sanitario Associazione Sokos
via de' Castagnoli - 40126 Bologna

Body talk


Lo aveva promesso a Pechino e lo ha fatto. "Donerò il mio body al Dalai Lama". Josefa Idem, argento nella canoa alla sua settima olimpiade, anche durante i giochi olimpici ha avuto la forza e la coerenza di ricordare il dramma del popolo tibetano. "Il mio body olimpico al Tibet, come simbolo di amicizia e solidarietà che continuerò a manifestare ogni volta che ne avrò l'occasione. Lo consegnerò al Dalai Lama alla prima occasione". E l'occasione è stata la presenza del Dalai Lama in Italia, a Venezia. Josefa Idem, accompagnata dal presidente di Italia-Tibet Claudio Cardelli, ha incontrato il Dalai Lama e ha mantenuto fede alla suo impegno.


Non so cosa se ne farà il Dalai Lama del suo body, ma le fa davvero onore l'aver mantenuto la promessa fatta prima delle Olimpiadi di Pechino, di spendersi per il rispetto dei diritti umani da parte del governo cinese una volta finite le gare. Scalda un pochino il cuore vedere una persona che usa bene, sempre e con coerenza, la sua popolarità per provare a migliorare le cose. Brava Sefi, ancora una volta.

12 febbraio 2009

Se ensancha el corazon

Trentamila figli
di Hebe

Si allarga il cuore
per albergare l'amore per trentamila figli.
Trantamila figli nati
in anni di sofferenza
quando la morte
tentava di uccidere la vita.
Trentamila figli che ci hanno indicato
il cammino di lotta e di speranza
verso la libertà.
Figli che ci hanno insegnato
con lezioni di vita
a vincere il sentimento di dolore
che ribolle nell'anima
trasformandolo in vita.
Trantamila figli che nella lunga marcia della militanza
non hanno dimenticato l'amore e l'allegria
vincitori della morte.
Arriverà il giorno
luminoso e pieno di sole
il cielo sarà un mare di colombe
che volano in cerchi
portate dal vento
cercando il grembo della madre
per unirsi
vincolo che nessuna forza umana
può spezzare
niente lo fermerà.
Madre! Figli! Insieme nella lotta.
Ci sarà castigo contro l'iniquità
dei potenti.
Madre!
Figli, insieme!
Avvolti nel candore
di un amato fazzoletto bianco
cingono tutti gli esseri dell'universo
nelle loro braccia unite.

(di Hebe de Bonafini, da Il cuore nella scrittura - poesie e racconti delle Madres di Plaza de Mayo, Associazione Madres de Plaza de Mayo)

Il generale nel suo labirinto

ARGENTINA 11/2/2009
`DESAPARECIDOS´: APERTO PROCESSO CONTRO EX-CAPO CENTRI DI TORTURA


Senza fotografi né telecamere in aula, respinti all´ultimo minuto
anche i giornalisti dell´agenzia Télam e di Canal 7, gli unici
autorizzati, si è aperto in un clima di alta tensione tra le proteste
dei parenti delle vittime il processo al generale a riposo Jorge
Olivera Rovere, massimo responsabile dei centri clandestini di
detenzione dell´ultima dittatura (1976-83). Olivera, 82 anni, è
accusato di 120 sequestri e `sparizioni forzate´, tra cui quella
dello scrittore Haroldo Conti, e dell´omicidio dei parlamentari
uruguayani Zelmar Michelini e Héctor Gutiérrez Ruiz: in termini di
vittime, osservano fonti della stampa nazionale, si tratta del
processo più importante per `terrorismo di stato´ dallo storico
`Juicio a las Juntas Militares´ del 1985. "Auspichiamo che
grazie alle prove raccolte sia condannato al massimo della pena
prevista" ha detto Eduardo Luis Duhalde, segretario per i diritti
umani del governo della presidente Cristina Fernández de Kirchner.
Olivera è rimasto in silenzio per sei ore, il tempo impiegato per le
procedure iniziali e la lettura dei capi di imputazione da parte
della pubblica accusa. Nel 1976, l´ex-ufficiale era vice-comandante
del I Corpo dell´esercito diretto dal generale Carlos Suárez Mason;
dopo il ritorno della democrazia fu condannato, ma in seguito
beneficiò dell´indulto concesso dall´allora presidente Carlos
Menem. Con la riapertura, nel 2003, dei processi nei confronti degli
ex-gerarchi del regime, dopo l´annullamento delle cosiddette
`leggi del perdono´, il generale è rimasto agli arresti per tre
anni prima di essere liberato nel 2007 dalla Corte di cassazione,
nonostante il parere contrario del giudice federale Daniel Rafecas.

(dal Coordinamento Amnesty America Latina, FONTE : MISNA)

La prima volta

COLOMBIA 11/2/2009
NESSUN GIORNALISTA UCCISO NEL 2008, NON ACCADEVA DA 20 ANNI


Per la prima volta da oltre due decenni, tra le vittime della violenza in Colombia nel 2008 non sono figurati giornalisti: lo ha riferito l'organizzazione indipendente 'Fundación para la Libertad de Prensa' (Flip) presentando uno studio in cui sono state documentate nell'ultimo anno 130 violazioni della libertà di stampa; un altro dato in calo (-20%), rispetto al 2007.

"Il fatto che non si siano verificati omicidi costituisce di per sé una notizia per la Colombia, un paese in cui oltre 130 professionisti dell'informazione sono stati uccisi negli ultimi 30 anni"; nonostante questo dato positivo, "le indagini per i crimini commessi contro i giornalisti negli anni precedenti presentano sviluppi molto scarsi", afferma Flip, denunciando "l'impunità assoluta" dei responsabili di persistenti minacce e intimidazioni contro la categoria.

Nel 2008 sono state raccolte denunce su accuse infondate o pressioni indebite contro giornalisti "da parte di funzionari pubblici o di privati" aggiunge il documento; non si fa menzione del caso più recente, che ha destato la preoccupazione dell'Onu e della Commissione interamericana dei diritti umani (Cidh), e riguarda un reporter di 'Rfi', Hollman Morris e un ex-collaboratore dell'emittente sudamericana 'Telesur', Jorge Enrique Botero, definiti di recente dal presidente Alvaro Uribe "complici del terrorismo". Sempre nel 2008, almeno due giornalisti sono stati costretti ad abbandonare il paese; un altro è stato sequestrato.

(dal Coordinamento Amnesty America Latina, FONTE: MISNA)

11 febbraio 2009

Suggestioni estive

Depositate le motivazioni della sentenza che nel novembre scorso assolse i vertici della Ps
"Gli agenti agirono perchécerti dell'impunità". Scarse però le prove: "Ricordi imprecisi"
G8, assalto alla Diaz: "Polizia poco collaborativa
Violenze inaccettabili, ma solo indizi"

GENOVA - I magistrati ammettono che le violenze alla Diaz durante i G8 di otto anni fa furono "inaccettabili" e che la Polizia cercò di proteggere gli autori delle violenze, ma i pestaggi dei no global "non furono frutto di un piano preordinato" e non ci sono prove certe, ma "solo indizi e per giunta neppure univoci", che i vertici della Polizia sapessero delle due bottiglie incendiarie portate nella scuola dagli agenti e non dai manifestanti. Così i giudici la prima sezione penale del Tribunale di Genova spiegano perchè, nel novembre scorso, ha assolto i vertici della Polizia per la "macelleria messicana" del 21 luglio all'interno della Diaz. Non passa inosservato ai giudici che gli agenti agirono con tanta violenza perché avevano ottenuto dai loro superiori una "promessa" di impunità. "L'inconsulta esplosione di violenza all'interno della Diaz - scrivono i magistrati - si è propagata per un effetto attrattivo e per suggestione tanto da provocare, anche per il forte rancore sino ad allora represso, il libero sfogo all'istinto". E non nascondono neppure, i magistrati di Genova, che la Polizia non è stata "collaborativa" quando si è tratto di indagare su se stessa: "Un atteggiamento di distacco", lo chiamano i giudici, mostrato soprattutto nell'identificare l'agente con la coda di cavallo - quello che ha portarto le molotov a scuola - o i funzionari entrati nella scuola: "Al pm, per la loro identificazione, sono state mostrate foto vecchie di anni, di quando entrarono in polizia anzichè quelle recenti. Frutto di un malinteso senso di tutela dell'onore dell'istituzione", spiega la corte.

Ma non ci sono prove certe, solo indizi non univoci: "La confusione e l'agitazione di quei momenti può aver reso i ricordi imprecisi e confusi". E allora è giusto, per il Tribunale di Genova, assolvere i vertici della polizia e altri 16 imputati. Solo 13 furono condannati a 35 anni e sette mesi di cui 32 anni e mezzo condonati.

(10 febbraio 2009 - da www.repubblica.it)

10 febbraio 2009

A capo (Pe)chino

Il governo furioso per l'onorificenza concessa dal comune di Roma
al leader in esilio. "E' un'interferenza negli affari interni del nostro paese"

Dalai Lama, Pechino avverte l'Italia
"Cittadinanza offende il nostro popolo"

Replica della Farnesina: "Il nostro governo è per una sola Cina
Le onorificenze sono scelte autonome dei comuni"


PECHINO - Il conferimento al Dalai Lama della cittadinanza onoraria di Roma "offende il popolo cinese" e costituisce un'"interferenza" negli affari interni di Pechino, che rischia di provocare conseguenze nei rapporti tra i due paesi. Lo ha dichiarato oggi la portavoce del ministero degli Esteri cinese, Jiang Yu, in una conferenza stampa a Pechino.

Jiang ha detto che l'Italia deve prendere "immediate misure" per rimediare al danno apportato alle relazioni tra i due Paesi, ma non ha specificato quali. "Le parole e le azioni del Dalai Lama - ha detto - dimostrano che non è solo una figura religiosa, ma un uomo politico impegnato in attività secessioniste con la scusa della religione". I paesi stranieri, ha aggiunto, dovrebbero "capire e sostenere" la posizione della Cina sul Tibet, che è "completamente parte della Cina". "Il problema del Dalai Lama non è un problema di diritti umani, ma un problema attinente alla sovranità e alla integrità territoriale della Cina", ha concluso Jiang.

E poco dopo la presa di posizione di Pechino, è giunta la risposta tranquillizzante della Farnesina."E' stato già chiarito in altre numerose occasioni all'ambasciatore cinese in Italia che i comuni italiani sono autonomi e assumono le loro decisioni in assoluta indipendenza dal governo", è scritto nel comunicato del ministero degli Esteri. In cui viene ricordato anche "il fermo sostegno del governo italiano alla politica di una sola Cina, politica che Silvio Berlusconi e Franco Frattini hanno ribadito ai loro omologhi anche in occasione degli ultimi incontri avuti".

Il Dalai Lama, che nel 1989 ha ricevuto il Premio Nobel per la pace, vive in esilio dal 1959 e chiede per il Tibet quella che chiama una "vera autonomia". Dopo Roma, oggi sarà a Venezia per ricevere la cittadinanza onoraria della città lagunare.

(10 febbraio 2009 - da www.repubblica.it)

Don't wanna be here non more

09 febbraio 2009

Dalai Roma

Grande folla in Campidoglio per il premio Nobel, Alemanno gli conferisce la cittadinanza onoraria
Dalai Lama cittadino di Roma
"Il Tibet è vicino all'esplosione"

ROMA - "La situazione in Tibet oggi è esplosiva". Il Dalai Lama lancia un nuovo allarme sulla repressione che si sta abbattendo in queste ore sul Tetto del mondo. "Le ultime notizie che mi giungono - ha spiegato il leader tibetano ricevendo dal sindaco Gianni Alemanno la cittadinanza onoraria - mi fanno capire che in questo momento la tensione è pronta a esplodere. Ma dico ai tibetani: 'Per favore non fate confusione, restate tranquilli e in pace".

Dal 18 gennaio, la Cina ha iniziato l'operazione Strike Hard: gli arresti sarebbero già 5.766. E la polizia promette di continuare fino al 10 marzo, anniversario dell'esilio del Dalai Lama. Una data più che mai simbolica quest'anno: sarà infatti mezzo secolo che Tenzin Gyatso è dovuto fuggire dal Tibet. Le autorità cinesi temono scontri ancora più violenti di quelli che scoppiarono nel 2008.

"Abbiamo sempre continuato a dialogare con la Cina. Mai abbiamo chiesto l'indipendenza totale", ha ripetuto il leader buddista, parlando in un'aula Giulio Cesare talmente colma da mettere in crisi il protocollo. "Il Tibet ha una cultura, una religione e un ambiente diverso che possono essere conservati solo con un'autonomia vera e genuina. Oggi - ha proseguito - c'è uno straniero che governa qualcosa che non conosce. La nostra idea è favorevole alla Cina stessa. Una persona intelligente dovrebbe appoggiare il nostro approccio al problema".

Un discorso breve, durato meno di venti minuti, interrotto da applausi e qualche grido "Tibet libero". Una piccola folla si è raccolta anche in piazza del Campidoglio, davanti al grande schermo. "E' un simbolo di tolleranza e compassione" ha commentato Alemanno prima di conferirgli l'onorificenza. "Chiediamo insieme la piena autonomia del Tibet" ha aggiunto il sindaco, al quale il leader buddista ha regalato una katà, la sciarpa tradizionale.

E' stata la prima apparizione pubblica del Dalai Lama, dopo il rapido ricovero per accertamenti di dieci giorni fa. Il suo viaggio in Italia farà tappa anche a Venezia. Domattina centinaia di persone lo aspetteranno in piazza San Marco, sfidando l'acqua alta. Il Dalai Lama riceverà la cittadinanza onoraria ma vuole anche visitare la Biblioteca Marciana che custodisce il mappamondo di Fra Mauro: già 1460 citava il "Tebet". Poi nel pomeriggio volerà in Germania per ritirare un altro premio.

"Non ha nessun problema di salute, sta benissimo", conferma il suo portavoce, Tseten Samdup Chhoekyapa. Tuttavia, a 73 anni è normale cominciare a pensare alla successione. "Sto invecchiando e penso che presto dovrò andare in pensione" ha detto il Dalai Lama in Campidoglio. Una battuta. Tenzin Gyatso non vuole "dimettersi". Semplicemente, spiegano i suoi collaboratori, prima o poi sceglierà di dedicarsi esclusivamente alla "promozione dei valori umani" e al dialogo interreligioso, lasciando la leadership politica al governo in esilio a Dharamsala.

I segnali che arrivano da Pechino rimangono tutti negativi: il negoziato sul futuro del Tibet è fermo, senza incontri previsti in calendario. "Continuerò il mio sostegno per la causa tibetana ma da vecchio monaco" ha scherzato il Dalai Lama. L'ironia e l'intelligenza rimarranno sempre le sue uniche armi.


da www.repubblica.it

La Carta che preoccupa Pechino

A un mese e mezzo dalla sua pubblicazione Carta 08, in cinese Língbā Xiànzhāng, continua a preoccupare il governo di Pechino.

Il 10 dicembre 2008, anniversario dei sessant'anni dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, 300 intellettuali cinesi hanno firmato un appello al governo chiedendo più democrazia. Nel documento, che ora conta oltre duemila firmatari, (online su nybooks.com) il punto non sono i richiami alla crisi globale che minaccia anche la Cina, né le richieste di riforma radicale o gli accenni a rivolte di piazza: si tratta di un invito a riflettere sul futuro del paese.

Anche se i media ufficiali ignorano l'avvenimento, in rete rimane il tema più discusso tra blogger e cittadini. Ed è questa la maggiore preoccupazione di Pechino: la nascita di un movimento di opinione intorno alla Carta in un momento difficile per il Partito.

Il controllo di Pechino sulla Cina oggi è fondato sul successo economico e sulla crescita a due cifre del paese. Ma se l'economia rallenta (come sta accadendo in queste settimane) bloccare le proteste diventerà difficile.

Il modello che ha ispirato la Carta cinese è la più celebre (almeno per ora) Carta 77, indirizzata in quell'anno al governo cecoslovacco da intellettuali del calibro di Vaclav Havel. Come Havel anche i firmatari di Carta 08 sono stati fermati dalla polizia e interrogati a più riprese. Liu Xiabo, il leader del gruppo, rimane agli arresti.

In occidente l'importanza di Carta 08 non sembra ancora del tutto chiara. C'è chi ha strumentalizzato la vicenda per un nuovo attacco a Pechino, anche se i firmatari del documento chiedono di cambiare insieme la Cina, seguendo magari il modello di altre nazioni asiatiche come Giappone e Corea del Sud. E chi ha rispolverato una teoria che suona pericolosa: la democrazia funziona in occidente ma si adatta poco alla realtà asiatica.

da www.internazionale.it

Violenza razzista in Russia

Tagichi, uzbechi, e poi armeni, azeri, kirghizi. Sono le vittime, almeno 86 solo nel 2008, della violenza razzista in Russia. È un fenomeno che le associazioni per la difesa dei diritti umani denunciano da anni, ma che il Cremlino ha troppo spesso trascurato.

I bersagli dell'odio di skinhead, militanti dell'ultradestra e gruppi ultraortodossi sono gli immigrati dell'Asia centrale e del Caucaso: i neri, i cërnye, la componente non slava della società russa, considerata, dopo la disgregazione dell'Urss, elemento di disturbo all'interno di un'identità nazionale aggressiva ed escludente.

Essenziali in settori come l'edilizia e il piccolo commercio, i gastarbeiter sono stati spesso il capro espiatorio di campagne di odio da parte di partiti e gruppi politici, ultimi i giovani putiniani di Molodaja Gvardia, che a dicembre hanno manifestato a Mosca per chiedere l'espulsione della metà degli stranieri dal paese.

Invocata con gran sfoggio di retorica da parte di Putin, una vera reazione da parte delle istituzioni non c'è ancora stata, anzi. A dicembre i membri di una banda responsabile della morte di venti lavoratori centrasiatici hanno ricevuto pene lievissime, mentre il Cremlino – riferisce l'agenzia Regnum.ru – si è limitato a promuovere una rivista dedicata all'immigrazione e a mettere a punto dei badge elettronici per controllare gli immigrati residenti a Mosca.

Intanto la crisi sta spingendo centinaia di migliaia di stranieri a tornare a casa, proprio mentre – ironia della sorte – sono sempre di più i giovani laureati russi che scelgono di lasciare il paese per andare a lavorare in occidente. Secondo il quindicinale Novaya Gazeta, negli ultimi anni sono stati non meno di 450mila: un'emorragia gravissima per un paese che cerca di uscire da una complessa crisi politica ed economica.

da www.internazionale.it

Consumo, dunque sono

C'era una volta - nella fase solida della modernità - la "società dei produttori", epoca di masse, regole vincolanti e poteri politici forti. I valori che la governavano erano sicurezza, stabilità, durata nel tempo. Quel mondo si è sfaldato e oggi viviamo nella "società dei consumatori", il cui valore supremo è il diritto-obbligo alla "ricerca della felicità", una felicità istantanea e perpetua che non deriva tanto dalla soddisfazione dei desideri quanto dalla loro quantità e intensità. Eppure, dice Bauman, rispetto ai nostri antenati noi non siamo più felici: più alienati semmai, isolati, spesso vessati, prosciugati da vite frenetiche e vuote, costretti a prendere parte a una competizione grottesca per la visibilità e lo status, in una società che vive per il consumo e trasforma tutto in merce. Ma proprio tutto, anche i consumatori. Ciononostante stiamo al gioco e non ci ribelliamo, né sentiamo alcun impulso a farlo.


Autore/i: Zygmunt Bauman
Editore:
Laterza
Collana:
I Robinson. Letture
Prezzo deastore.com
(info) € 15.00
Formato: Libro in brossura
Data di pubblicazione: 2008 (2 ed.)
Disponibilità
(info) 3 giorni lavorativi
ISBN: 8842084441

ISBN 13: 9788842084440

Appello mondiale per il non-refoulement

LAMPEDUSA: MIGRANTI A RISCHIO DI RIMPATRIO ILLEGALE
APPELLO MONDIALE DI AMNESTY INTERNATIONAL AL GOVERNO ITALIANO


Il Segretariato Internazionale di Amnesty International ha lanciato un appello urgente al governo italiano (disponibile su http://www.amnesty.it/ <- FIRMATE!) affinche’ ‘i migranti attualmente detenuti a Lampedusa non vengano rimpatriati forzatamente in un paese in cui possano rischiare di subire gravi violazioni dei diritti umani, in linea con gli obblighi dell’Italia in quanto stato parte della Convenzione 1951 sui Rifugiati e della Convenzione contro la tortura’.

Tutti i migranti detenuti sull'isola sono infatti a rischio di rimpatrio forzato senza la possibilita’ di opporsi al rimpatrio nell'ambito di procedure effettive di controllo giudiziario e con il rischio di un
mancato accesso alla procedura d'asilo. Qualora rimpatriati in assenza di queste garanzie, potrebbero trovarsi a rischio di subire torture e altre gravi violazioni dei diritti umani.

L’appello mondiale di Amnesty International ricorda al presidente del Consiglio Berlusconi e al ministro dell’Interno Maroni che ‘il diritto internazionale sui diritti umani e sui rifugiati obbliga l’Italia a permettere a ogni migrante di chiedere asilo attraverso procedure imparziali e soddisfacenti e a garantire protezione contro il rimpatrio in un paese in cui si troverebbe a rischio di subire gravi violazioni dei diritti umani’.

Ulteriori informazioni

Dallo scorso dicembre, oltre 1000 persone di diverse nazionalita’ sono sbarcate sull’isola siciliana di Lampedusa. Secondo dati dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), circa il 75 per cento delle
36.000 persone arrivate in Italia via mare nel 2008 ha presentato domanda d’asilo. Circa la meta’ ha ottenuto lo status di rifugiato o e’ stata comunque protetta dal rimpatrio forzato.

A gennaio il governo ha messo in atto nuove politiche secondo le quali le procedure di identificazione e di asilo vengono svolte mentre i migranti si trovano detenuti sull’isola di Lampedusa. Questa decisione ha aumentato le gia’ diffuse preoccupazioni relative all’accesso a procedure corrette e a una rappresentanza legale adeguata.

Secondo una dichiarazione del ministro dell’Interno del 23 gennaio, circa 1600 migranti, arrivati a Lampedusa nelle due settimane precedenti, erano a quella data detenuti sull’isola. Almeno 150 migranti risultano essere gia’ stati rimpatriati dal 1° gennaio. Il 28 gennaio, durante una conferenza stampa, il ministro dell’Interno ha dichiarato che, in base a un accordo stipulato tra l’Italia e la Tunisia sul rimpatrio dei migranti
irregolari, 500 migranti tunisini sarebbero stati rimpatriati nei due mesi successivi. Il 3 febbraio, inoltre, il ministero dell’Interno ha annunciato che 120 migranti irregolari sarebbero stati rimpatriati
immediatamente in Tunisia.

Il centro di detenzione in cui si trovano i migranti e’ stato costruito per accogliere 850 persone. Il 23 gennaio, l’Unhcr ha espresso preoccupazione sulle condizioni di vita nel centro di detenzione e ha chiesto alle autorita’ italiane di intraprendere tutte le azioni necessarie per affrontare la difficile situazione umanitaria in cui si
trovano i detenuti. Secondo una dichiarazione rilasciata dall’Unhcr il 9 gennaio, ‘ai richiedenti asilo deve essere permesso di sbarcare in un posto sicuro dove possano ricevere informazioni sui loro diritti e avere
una reale opportunita’ di formulare una domanda di asilo che venga valutata in base a una procedura equa. Rimandare indietro i rifugiati in paesi dove non possono ottenere un’effettiva protezione, potrebbe
rappresentare una violazione degli obblighi internazionali presi dagli stati di rispettare il principio del non-refoulement (non respingimento)’.

FINE DEL COMUNICATO - Roma, 9 febbraio 2009

03 febbraio 2009

Kozmic blues

Marie Trintignant (Boulogne-Billancourt, 21 gennaio 1962 – Vilnius, 1 agosto 2003) è stata un'attrice francese. È figlia dell'attore Jean-Louis Trintignant e della sua seconda moglie Nadine Marquand. Quando la sua giovane sorella morì a 9 anni, Marie Trintignant si chiuse in se stessa e divenne virtualmente muta. Durante la sua giovinezza era molto timida ma, malgrado questo, decise di diventare un'attrice.
Marie Trintignant è stata madre di quattro figli: Roman con il batterista Richard Kolinka; Paul con l'attore François Cluzet; Léon con Mathias Othnin-Girard; e Jules con il regista Samuel Benchetrit.
Marie Trintignant fu nominata 5 volte per il Premio César per le sue interpretazioni in:
Comme elle respire - 1999 (Miglior Attrice)
Le cousin - 1998 (Miglior Attrice Non-Protagonista)
Le cri de la soie - 1997 (Miglior Attrice)
Les Marmottes - 1994 (Miglior Attrice Non-Protagonista)
Une affaire de femmes - 1989 (Miglior Attrice Non-Protagonista)
Appare inoltre nel film noir Série noire, del 1979.

Marie Trintignant morì a causa di un edema cerebrale il 1º agosto 2003 mentre era sul set situato a Vilnius, Lituania dopo essere stata picchiata dal suo compagno, Bertrand Cantat, cantante e leader del gruppo rock francese Noir Désir, ottenebrato da alcol e stupefacenti. Bertrand Cantat è stato condannato a 8 anni di prigione per omicidio colposo.
Il 27 luglio 2003, nel corso di un litigio, picchia ripetutamente la compagna Marie Trintignant causandone la morte il 1º agosto 2003. Il fatto ha luogo a Vilnius, capitale della Lituania; Cantat viene quindi condannato dalla giustizia lituana il 29 marzo 2004 a otto anni di prigione.
Gli avvocati di Bertrand Cantat hanno fatto richiesta di trasferimento del cantante presso una prigione francese. Avendo le autorità lituane acconsentito alla richiesta nell'agosto 2004, ha avuto luogo martedì 28 settembre 2004 il trasferimento presso la prigione di Muret, nella Haute-Garonne vicino a Tolosa, dove divise la cella con Jean-Pierre Calone, in passato membro di rilievo dell'estrema destra tolonese.
Nell'ottobre 2007 il giudice per l'applicazione delle pene, Philippe Laflaquiere, decide la libertà condizionale del musicista «per gli sforzi di reinserimento sociale fatti dal condannato ed anche per le sue prospettive di reinserimento professionale».

Il 16 ottobre 2007 Bertrand Cantat esce di prigione. Per l'avvocato difensore di Bertrand Cantat, Olivier Metzner, «questa decisione consentirà al cantante di ricostruire il suo avvenire e di decidere ciò che farà sul piano artistico» anche se non è sicuro di «riprendere a cantare». Per un anno, Cantat dovrà essere seguito da uno psicologo e non potrà rilasciare interviste o testimonianze su quanto accaduto.

Marie Trintignant è sepolta nel cimitero di Père Lachaise a Parigi.




testo da http://it.wikipedia.org/wiki/Marie_Trintignant
immagini dal film "Janis et John" di Samuel Benchetrit

02 febbraio 2009

Torna in Africa, bingo bongo!




bisognerebbe farne la versione italiana con un sosia di Calderoli... devo parlare all'ufficio comunicazione...

Reato di esistenza

IMMIGRAZIONE E ASILO: AMNESTY INTERNATIONAL CHIEDE AL SENATO DI DIMOSTRARE
ATTENZIONE VERSO I DIRITTI UMANI
Domani, martedi’ 3 febbraio, il Senato della Repubblica riprendera’ l’esame di diversi aspetti della futura legislazione in materia di immigrazione e asilo che, secondo la Sezione Italiana di Amnesty
International, potrebbero avere forti ripercussioni in tema di diritti umani.
Si tratta del disegno di legge cosiddetto sulla "sicurezza" (ddl n.733), parte dell’omonimo pacchetto normativo varato dal governo Berlusconi nel maggio 2008 e anticipato in diversi dei suoi contenuti dal governo
precedente, e del disegno di legge di ratifica del trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra Italia e Libia (ddl n.1333), punto di arrivo di un lungo percorso diplomatico scarsamente trasparente e poco
attento al tema dei diritti.
Il disegno di legge sulla "sicurezza" contiene restrizioni di varia natura che, se approvate, colpirebbero molti aspetti della vita quotidiana di migranti, richiedenti asilo e rifugiati. Tra le novita’, sono previsti
l’introduzione del reato di ingresso irregolare e il prolungamento fino a 18 mesi dei termini massimi di detenzione in un Centro di identificazione ed espulsione (Cie), attualmente di 60 giorni.
Come la Sezione Italiana di Amnesty International ha gia’ ricordato, la previsione di una sanzione penale per l’ingresso irregolare costituisce un metodo di contrasto la cui funzionalita’ e’ tutta da dimostrare e, d’altro
canto, puo’ dare origine a specifiche violazioni dei diritti umani, soprattutto se inserita in un complessivo abbassamento delle garanzie.
Il termine massimo di 18 mesi per la detenzione dei migranti in attesa di espulsione appare sproporzionato ed eccessivo e puo’ essere fonte di violazioni dei diritti umani relative alla legittimita’ e alle condizioni
della stessa detenzione, come la situazione attuale a Lampedusa sta purtroppo mostrando.
Per quanto riguarda il trattato bilaterale tra Italia e Libia, concluso nell’agosto scorso e ora all’esame del Senato per l’autorizzazione alla ratifica, la sua applicazione potrebbe contribuire a mettere a repentaglio
la vita e i diritti dei migranti e dei richiedenti asilo che si trovano in Libia o che li’ potrebbero essere ricacciati proprio grazie alla cooperazione tra i due paesi e all’ingente contributo economico dell’Italia alle autorita’ di Tripoli.
La Sezione Italiana di Amnesty International, insieme ad altre Organizzazioni non governative, ha chiesto al Parlamento di non autorizzare la ratifica del trattato senza l’introduzione di specifiche garanzie: in particolare, una condizione che subordini chiaramente la cooperazione dell’Italia al rispetto dei diritti umani da parte della Libia e l’introduzione di strumenti di monitoraggio indipendenti dell’attuazione del trattato.
La Sezione Italiana di Amnesty International rivolge un forte appello all’Assemblea di Palazzo Madama affinche’ mostri attenzione verso i diritti umani nell’operare le importanti scelte su cui e’ chiamata a
pronunciarsi in questi giorni.


Roma, 2 febbraio 2009

Leonia

La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall'involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche dall'ultimo modello di apparecchio.
Sui marciapiedi, avviluppati in tersi sacchi di plastica, i resti della Leonia d'ieri aspettano il carro dello spazzaturaio. Non solo tubi di dentrifricio schiacciati, lampadine fulminate, giornali, contenitori, materiali d'imballaggio, ma anche scaldabagni, enciclopedie, pianoforti, servizi di porcellana: più che delle cose che ogni giorno vengono fabbricate vendute comprate, l'opulenza di Leonia si misura si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove. Tanto che ci si chiede se la vera passione di Leonia sia davvero come dicono il godere delle cose nuove e diverse, o non piuttosto l'espellere, l'allontanare da sé, il mondarsi d'una ricorrente impurità. Certo è che gli spazzaturai sono accolti come angeli, e il loro compito di rimuovere i resti dell'esistenza di ieri è circondato d'un rispettoso silenzio come un rito che ispira devozione, o forse solo perché una volta buttata via la roba nessuno vuole più averci da pensare.

Dove portino ogni giorno il loro carico gli spazzaturai nessuno se lo chiede: fuori della città, certo; ma ogni anno la città si espande, e gli immondezzai devono arretrare più lontano; l'imponenza del gettito aumenta e le cataste si innalzano, si stratificano, si dispiegano su un perimetro più vasto. Aggiungi che più l'arte di Leonia eccelle nel fabbricare nuovi materiali, più la spazzatura migliora la sua sostanza, resiste al tempo, alle intemperie, a fermentazioni e combustioni. E' una fortezza di rimasugli indistruttibili che circonda Leonia, la sovrasta da ogni lato come un acrocoro di montagne.
Il risultato è questo: che più Leonia espelle roba più ne accumula; le squame del suo passato si saldano in una corazza che non si può togliere; rinnovandosi ogni giorno la città conserva tutta se stessa nella sola forma definitiva: quella delle spazzature d'ieri che s'ammucchiano sulle spazzature dell'altroieri e di tutti i suoi giorni e anni e lustri.
Il pattume di Leonia a poco a poco invaderebbe il mondo, se sullo sterminato immondezzaio non stessero premendo, al di là dell'estremo crinale, immondezzai d'altre città, che anch'esse respingono lontano da sé montagne di rifiuti. Forse il mondo intero, oltre i confini di Leonia, è ricoperto da crateri di spazzatura, ognuno con al centro una metropoli in eruzione ininterrotta. I confini tra le città estranee e nemiche sono bastioni infetti in cui i detriti dell'una e dell'altra si puntellano, si sovrastano, si mescolano.
Pù ne cresce l'altezza, più incombe il pericolo delle frane: basta che un barattolo, un vecchio pneumatico, un fiasco spagliato rotoli dalla parte di Leonia e una valanga di scarpe spaiate, calendari d'anni trascorsi, fiori secchi sommergerà la città nel proprio passato che invano tentava di respingere, mescolato con quello delle città limitrofe, finalmente monde. Un cataclisma spianerà la sordida catena montuosa, cancellerà ogni traccia della metropoli sempre vestita a nuovo.
Già dalle città vicine sono pronti coi rulli compressori per spianare il suolo, estendersi nel nuovo territorio, ingrandire se stesse, allontanare i nuovi immondezzai.

Italo Calvino, da Le città invisibili, Einaudi 1972.

Altro giro, altro regalo

L'economia consumistica prospera sul ricambio delle merci e si pensa che quanto più denaro passa di mano, tanto più essa vada a gonfie vele; e ogni volta che il denaro passa di mano alcuni beni di consumo sono inviati alla discarica. Di conseguenza, in una società di consumatori la ricerca della felicità - lo scopo maggiormente evocato e utilizzato come esca nelle campagne di marketing che mirano a incentivare i consumatori a separarsi dal proprio denaro - tende a spostare l'attenzione dal fare le cose, o appropriarsene, o accumularle, al disfarsene: ed è proprio questo ciò che occorre per far crescere il prodotto nazionale lordo. Per l'economia consumisica il vecchi baricentro - ormai in linea di massima abbandonato - equivale alla peggiore delle paure, a una situazioe cioè in cui gli acquisti vanno a rilento, vengono rinviati o si fermano del tutto. L'alternativa invece promette assai bene: un altro giro di acquisti. Il semplice impulso ad acquisire e possedere porterebbe con sé problemi futuri se non fosse sostenuto dall'impulso a scartare e a disfarsi degli oggetti. I consumatori della società consumistica devono seguire le curiose abitudini degli abitanti di Leonia, una delle città invisibli di Calvino:
[...] più che delle cose che ogni giorno vengono fabbricate vendute comprate, l'opulenza di Leonia si misura si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove. Tanto che ci si chiede se la vera passione di Leonia sia davvero come dicono il godere delle cose nuove e diverse, o non piuttosto l'espellere, l'allontanare da sé, il mondarsi d'una ricorrente impurità.

Zygmunt Bauman, da Consumo dunque sono, Laterza 2008

01 febbraio 2009

Bigger bang?

E' proprio per queste ragioni che la vita dell' "adesso" tende ad essere una vita "frettolosa". L'occasione unica forse contenuta in ognuno dei punti lo seguirà nella tomba, perché non avrà un'altra possibilità. (...) Poiché si è convinti che vaste distese si aprano per nuovi inizi, con un gran numero di punti il cui potenziale inesplorato di big bang non ha perso nulla del suo mistero e non è dunque stato (ancora) screditato, è ancora possibile portare in salvo la speranza dalle macerie di fini premature, o meglio di inizi abortiti.
Tuttavia, è vero che nella vita dell' "adesso"degli abitanti dell'era consumistica la motivazione a far presto risiede anche nella spinta ad acquisire e a raccogliere. Ma il bisogno più pressante che rende la fretta davvero imperiosa è la necessità di scartare e sostituire. Caricarsi di bagaglio pesante, e in particolare di quel genere di bagaglio pesante che si esita ad abbandonare per ragioni di attaccamento sentimentale o per un imprudente giuramento di fedeltà, ridurrebbe a zero le probabilità di successo. "E' inutile piangere sul latte verato" è il messaggio latente di ogni spot pubblicitario che promette una nuova opportunità di felicità. O un big bang si verifica subito, al primo tentativo e in questo momento, oppure non ha più senso adattarsi in quel determinato punto ed è tempo di lasciarselo alle spalle per pssare a un'altro punto. Ogni punto temporale, in quanto luogo per un big bang, svanisce pocco doo la sua comparsa.
Nella società dei produttori dopo una falsa partenza o un tentativo andato a vuoto il consiglio più frequente era di "riprovare, ma questa volta mettendocela tutta, con più abilità e più applicazione": non così nella società dei consumatori. In quest'ultima gli strumenti che non hanno funzionato devono essere abbandonati, anziché affinati e utilizzati di nuovo con più abilità, più dedizione e, si spera, migliore effetto. Così, quando queglio oggetti del desiderio di ieri e quei passati investimenti di speranza non mantengono le promesse non danno la soddisfazione istantanea e completa che ci si riprometteva, vanno abbandonati, e lo stesso vale per qualsiasi relazione che abbia prodotto un bang meno big del previsto. La fretta deve essere massima quando si passa in corsa da un momento fallito (passato, imminente o solo temuto) a un altro (non ancora messo alla prova) E' bene tenere a mente l'amara lezione di Faust, condannato alla fiamme eterne proprio in un momento da lui desiderato immobile ed eterno (proprio perché estremamente gradevole). (...)

Zygmunt Bauman, da Consumo dunque sono, Laterza 2008

Dio nel corridoio

Nel modo più naturale successe un evento: incontrai Dio. L'ignobile vicepresidente mi aveva ordinato una birra, pensando evidentemente di non essere grasso abbastanza. Gliel'avevo portata con gentile disgusto. Stavo uscendo dall'antro dell'obeso quando si aprì la porta dell'ufficio vicino e mi ritrovai faccia a faccia con il presidente.
Ci guardammo con reciproca stupefazione. Da parte mi era comprensibile: mi era finalmente concesso di vedere il dio della Yumimoto. Dalla sua, era meno facile da spiegare: sapeva della mia esistenza? Sembrava di sì, perché esclamò con voce di una bellezza e di una delicatezza fuori dell'ordinario:
- Lei deve essere Amélie-san!
Mi sorrise tendendomi la mano. Ero talmente sopresa che non riuscii a emettere alcun suono. Il signor Haneda era un uomo sulla cinquantina, esile e con un viso di eccezionale eleganza. Emanava da lui un'impressione di profonda bontà e armonia. Mi guardò con amabilità così autentica che quel poco di contegno che mi restava svanì.
Se e andò. Restai nel corridoio, sola, incapace di muovermi. Ma allora il presidente di quel luogo di tortura, dove ogni giorno subivo le umiliazioni più assurde, dove ero oggetto di ogni disprezzo, il padrone di quella geenna era quello splendido essere umano, quell'anima superiore!
Non ci capivo più niente. Una società guidata da un uomo di tale lampante nobiltà avrebbe dovuto essere un paradiso di raffinatezza, un luogo di rigoglio e di dolcezza. Cos'era questo mistero? Possibile che Dio regnasse sugli Inferi?
Ero ancora incantata dallo stupore quando mi arrivò la risposta che cercavo. Si aprì la porta dell'ufficio dell'enorme signor Omochi e sentii la voce dell'infame che mi urlava:
- Cosa sta facendo? Non la paghiamo mica per ciondolare nei corridoi!
Tutto chiaro: alla Yumimoto, Dio era il presidente e il vicepresidente era il Diavolo.

Amélie Nothomb, da Stupore e tremori, Guanda 2006

Lavorare stanca