28 dicembre 2006

Ciò che la primavera fa con i ciliegi












In questa bella foto (se riesco a ricostruirlo indicherò anche da dove l'ho scaricata) si legge in portoghese il verso finale di una famosa poesia di Neruda "Juegas todos los dias":
(...)
Quiero hacer contigo
lo que la primavera hace con los cerezos.

>Crónica de la náusea

Sin pena ni gloria
José Augusto Ramón Pinochet Ugarte, alias Ramón Ugarte, alias José Pinochet, alias Míster Escudero, alias J.A. Ugarte, sólo para citar algunos de los muchos alias empleados para abrir millonarias cuentas en bancos de Estados Unidos, Islas Jersey, Gran Caimán, Suiza y Hong Kong, murió sin pena ni gloria, tal como vivió sus 91 años de sujeto miserable y ruin cuyos únicos talentos conocidos fueron traicionar, mentir y robar.
[...]

Títere al servicio de Estados Unidos

El 11 de septiembre de 1973 Pinochet traicionó el juramento de fidelidad a la Constitución y, a última hora –los cobardes suelen ser indecisos–, se plegó al golpe de Estado planificado, financiado y dirigido por Henry Kissinger (premio Nobel de La Paz), a la sazón secretario de Estado del presidente Richard Nixon.
[...]


Crónica de la náusea
La ceremonia fúnebre del viejo punga que ensombreció la historia de Chile durante dieciséis años fue algo más que patética; fue una desvergonzada exhibición de un fascismo todavía latente en un sector de la sociedad chilena, un sector que odia cualquier expresión democrática, un puñado de cretinos que son ni más ni menos que la cultura de la muerte instaurada por el dictador y sus cómplices civiles y religiosos.
[...]

Fue el día de la náusea, y ahora sólo queda esperar que las brisas justicieras del Pacífico alejen el hedor de esa carroña que recibió los honores de sus cómplices.
Gijón, 12 de diciembre de 2006

* Luis Sepúlveda es escritor, adherente de ATTAC y colaborador de Le Monde Diplomatique

Leggete gli articoli interi di Sepúlveda sul suo blog
http://www.lemondediplomatique.cl/-Luis-Sepulveda-.html

27 dicembre 2006

Sulle intenzioni



- Mi dispiace tanto, sai, di averti dato un pugno...
- Uh, grazie, adesso l'occhio mi fa molto meno male!

>La reina

















Yo te he nombrado reina.
Hay más altas que tú, más altas.
Hay más puras que tú, más puras.
Hay más bellas que tú, hay más bellas.

Pero tú eres la reina.

Cuando vas por la calles
nadie te reconoce.
Nadie ve tu corona de cristal, nadie mira
la alfombra de oro rojo
que pisas donde pasas,
la alfombra que no esiste.

Y cuando asomas
suenan todos los ríos
en mi cuerpo, sacuden
el cielo las campanas,
y un himno llena el mundo.

Solo tú y yo,
solo tú y yo, amor mío,
lo escuchamos.

Pablo Neruda, La reina, da "Los versos del capitán".

Nodi

"E' bello essere noi due e basta," dice Maria con la bocca piena. Abbiamo fatto gli occhi per il buio, basta una candela di luce che viene da fuori, ci siamo messi una coperta sulle spalle e mangiamo i biscotti alla mandorla, tanti ne ha fatti e tanti ce ne mangiamo, non avanza niente. "La prossima volta faccio la crostata," dice, intanto da una casa vicina comincia una canzone di zampognari, una famiglia li ha chiamati a fare un poco di musica, a noi arriva chiara, in quella casa dev'essere potente da proteggersi le orecchie. Teniamo pure la banda stasera, le metto un braccio sulla spalla, ci tiriamo la coperta sulla testa, ci strofiniamo le bocche unte, ci lecchiamo come i gatti. Più tardi ci mettiamo nel letto, quello piccolo mio del ripostiglio, ci addormentiamo intrecciati che se uno si sveglia deve svegliare pure l'altro per sciogliersi. I nostri corpi alleati fanno i nodi.

Erri De Luca, Montedidio, Feltrinelli 2001.

21 dicembre 2006

Mettete dei cannoni nei vostri fiori...





















Vi prego, parliamone...


Proposta (mettete dei fiori nei vostri cannoni)

Mettete dei fiori nei vostri cannoni
era scritto in un cartello
sulla schiena di ragazzi
che senza conoscersi,
di città diverse,
socialmente differenti
in giro per le strade della loro città
cantavano
la loro proposta,
ora pare ci sarà un'inchiesta
tu come ti chiami?
Sei molto giovane
Me ciami Brambilla e fu l'uperari
lavori la ghisa per pochi denari
e non ho in tasca mai
la lira
per poter fare un ballo con lei
mi piace il lavoro,
ma non son contento
non è per i soldi che io mi lamento,
ma per questa gioventù
c'avrei giurato che mi avrebbe dato di più

Anche tu sei molto giovane, quanti anni hai?
E di che cosa non sei soddisfatto?
Ho quasi vent'anni e vendo giornali
girando quartieri fra povera gente
che vive come me,
che sogna come me
sono un pittore che non vende quadri
dipingo soltanto l'amore che vedo
e alla società non chiedo
che la mia libertà

E tu chi sei? Non mi pare che abbia di che lamentarti...
La mia famiglia è di gente bene
con mamma non parlo,
col vecchio nemmeno
lui mette le mie camicie
e poi critica se vesto così
guadagno la vita lontano da casa
perché ho rinunciato ad un posto tranquillo
ora mi dite che ho degli impegni
che gli altri han preso per me

Mettete dei fiori nei vostri cannoni
perché non vogliamo mai nel cielo
molecole malate,
ma note musicali
che formano gli accordi
per una ballata di pace,
di pace, di pace


I Giganti, 1964
Testo di Enrico Maria Papes
Musica di Enrico Maria Papes e Sergio Di Martino


grazie a Canzoni contro la guerra http://www.prato.linux.it/~lmasetti/antiwarsongs/

20 dicembre 2006

Uno, dieci, cento cremini

Io sono nato negli anni Sessanta. Pure Nicola è nato negli anni Sessanta.

E una sera che era alla fine del mese di marzo, in cima alla terrazza Nicola si mette a parlare proprio degli anni Sessanta. Mi dice che "io ero ragazzino nei favolosi anni Sessanta. Mio padre all'inizio dell'estate mi portava a comprare il gelato. Mi dava il cremino Algida. Appena comprato io lo scartavo e mica mi ricordavo se mi piaceva. Poi l'assaggiavo e era buono. Il cremino Algida lo puoi mozzicare o leccare e è buono lo stesso. Io pensavo che me ne volevo mangiare un altro appena finivo quello. Ma mio padre non me li comprava due cremini. E pure se me li comprava io pensavo che me ne mangiavo un altro ancora. E poi altri dieci, cinquanta... E io pensavo che un bambino è contento solo quando mangia centro cremini Algida. Mi guardavo il mio cremino mozzicato e mi sembrava un'offesa che ce ne avevo uno solo. Perché un cremino non è niente in confronto a cento cremini. Così dopo un mozzico mi veniva rabbia e lo buttavo nel secchio. E mio padre diceva "che schifo gli anni Sessanta. In tempo di guerra mangiavamo le cocce delle patate e invece adesso i ragazzini buttano i cremini Algida. Adesso per tutta l'estate non te ne compro più di gelati!" E io mi pensavo che mio padre mi dava solo un cremino in tutta l'estate... figuriamoci se me ne poteva comprare cento in un giorno solo. Così mi sforzavo di non pensare più che esisteva il cremino.

Intanto arrivava l'autunno e lui mi regalava un cartoccio di castagne, le callarroste. Io ne prendevo una e non mi ricordavo manco se mi piacevano. Poi l'assaggiavo e era buona. E non capivo come era possibile che di una cosa tanto buona m'ero scordato il sapore. Così sentivo che un cartoccio non mi poteva bastare. Ne volevo di più. Me ne sarei mangiati due cartocci, e poi tre, e poi dieci. E io pensavo che un bambino è contento solo quando mangia cento cartocci di callarroste, ma è sicuro che mio padre non me li comprava. Mi guardavo il cartoccio e mi sembrava un'offesa che ce ne avevo uno solo. Dopo la prima castagna buttavo tutto al secchio. E mio padre diceva "che schifo gli anni Sessanta. In tempo di guerra ci mangiavamo le castagne crude co' tutta la coccia, il riccio e pure l'albero e il contadino che zappa la terra... se ci avevamo fame! Adesso fino a Natale non te ne compro più!" E io mi pensavo che mio padre mi dava solo un cartoccio di castagne fino a Natale, figuriamoci se me ne poteva comprare cento in un giorno solo. E cercavo di scordarmi pure le callarroste. Poi arrivava il Natale... "

Ascanio Celestini, La pecora nera, Einaudi 2006.

18 dicembre 2006

BelloBellissimo Lemon Lemon

E' notte. Il mal di testa è una nuvola dura che si espande da dentro, si gonfia contro le bozze frontali, mi spinge fuori le ossa. Ho in bocca un sapore che avevo sentito solo nell'alito dei vecchi. Ho fatto una riunione di 16 ore. Quanti anni ho? Ha senso?
Questa dev'essere la famosa vita di cui sentivo parlare gli adulti: ci siamo staccati dalle alghe, ci siamo distinti dai rettili, abbiamo acquisito forma di mammifero, voluto il fuoco, lavorato i metalli, piegato la materia, usato la natura per arrivare discutere 16 ore di un detersivo. Sono sostenuto da una forza che non è mia. Sono i nomi e i prezzi di mille prodotti a tenermi insieme, milioni di scatole colorate, tonnellaggi insigni di maionese e ammorbidente, tubi, bottiglie, vasetti, ricariche cartonate, una legione di oggetti decorati da infiniti codici a barre, confezioni e confezioni con apertura facile e tappo intelligente che studiano percorsi per scavarsi una strada, un camminamento che porti diritto dagli scaffali dei magazzini di stoccaggio alle dispense delle singole case, erodendo e raschiando nel passaggio monete e valori di scambio dai consumatori che incontrano lungo il tragitto. Vendere pena l'annientamento, requie solo dopo la stipulazione del contratto. Ci dev'essere una ragione se nella nostra lingua basta spostare una erre e CartaSì diventa catarsi.

Walter Fontana, L'uomo di marketing e la variante limone, Tascabili Bompiani 1995.

17 dicembre 2006

Un altro che avvisa

Col buio Maria sale ai lavatoi, non mi tocca, non mi chiama il piscitiello fuori dalla pelle. Ha detto basta al padrone di casa, quello l'ha presa male, ha fatto minaccia dello sfratto, i genitori di Maria gli devono le mensilità arretrate. Maria gli ha sputato davanti ai piedi e se n'è andata. Butta fuori il coraggio, è femmina appuntita e già conosce lo schifo. E' finita la commedia, dice, che lui la chiama principessa, la fa vestire coi panni della moglie morta, le mette le cose preziose e poi la tocca e si fa toccare, ora lei non vuole più perché ci sto io. Ci sto io: tutt'insieme divento importante. Finora la mia presenza, c'era o non c'era, non spostava niente. Maria dice che io ci sto e così ecco qua me ne accorgo pur'io che ci sto. Mi chiedo da solo: non me ne potevo accorgere per conto mio di esserci? Pare di no. Pare che ci vuole un'altra persona che avvisa.

Erri De Luca, Montedidio, Feltrinelli 2001.

15 dicembre 2006

niente panico















ogni tanto mi sento mancare la terra sotto i piedi e la sensazione di cadere nel vuoto può essere terrificante. bisogna essere in grado di riportare le cose nelle loro giuste proporzioni. a saperle.

Nel vero bacio

Il papà di Gigi Bettella ci permetteva di giocare nel cortile. Lì facevamo le nostre gimcane con la bici, le corse a ostacoli e usavamo i canestri per le nostre gare di sputo.
Un pomeriggio ci presentammo con le biciclette davanti al cancello pronti per una gimcana, ma era chiuso. Suonammo ripetutamente il campanello, ma Gigi non apriva. Per una settimana intera non diede segno di vita. Poi, finalmente, un giorno ricomparve.
"Finalmente! Cos'è successo? Sei stato malato?"
Gigi non rispondeva, aveva sulla faccia un sorriso ebete che non esitava a mostrare.
"Gigi, sei stato male?"
Dopo aver deglutito disse soltanto: "Una roba da non credere".
"Ma cosa?"
Come un ubriaco che ha appena smaltito la sbornia, Gigi ci descrisse il suo primo bacio con la Titti Valpiana. Più andava avanti e più si leggeva nei suoi occhi un'estasi ancora presente. "Me trema ancora 'e gambe", ripeteva. Poi passò ai dettagli spiegando che in un bacio, nel vero bacio, si apre la bocca, le labbra si appoggiano e poi si chiudono gli occhi (ma lui li aveva tenuti aperti, perché non gli sembrava vero e voleva sincerarsi che fosse proprio la Titti) e infine le due lingue si sfiorano.
"Che schifo!" urlò Gianni Mussolin. E cominciò a sputare per terra e ad asciugarsi la bocca con il fazzoletto; Bedin piccolo fece una smorfia di disgusto, mentre Tega guardò Gigi come se avesse visto un disco volante.
"Ma sul serio?"
A quel punto Gigi si fece scuro in volto, si guardò attorno e scandì: "Tosi, parlo sul serio!".


Roberto Citran, Ciao Nudo!, Gallucci 2004.

14 dicembre 2006

Cultivo una rosa blanca




Tina Modotti, Roses, México 1924-25.


L'11 gennaio è il compleanno del carcere speciale di Guantanamo. Facciamoci un regalo: facciamolo chiudere.

Yo soy un hombre sincero
de donde crece la palma
y antes morir me quiero
echar mi versos del alma.
Guantanamera, guajira guantanamera

My verso es de un verde claro
y de un carmín encendido,
my verso es un cervo herido
que busca en el monte amparo.
Guantanamera, guajira guantanamera

Cultivo una rosa blanca,
en julio come en enero
para el amigo sincero
que me da su mano franca.
Guantanamera, guajira guantanamera

Y para el cruel que me arranca
el corazón con que vivo,
cardos ni ortigas cultivo:
cultivo la rosa blanca.
Guantanamera, guajira guantanamera

Yo sé de un pensar profundo
entres la pena sin nombre:
la esclavitud de los hombres
es la gran pena del mundo.
Guantanamera, guajira guantanamera

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Guantanamera
(Da Wikipedia, l'enciclopedia libera) - Guantanamera è il titolo di una famosissima canzone patriottica cubana che risale al XIX secolo. Vanta innumerevoli versioni e strofe diverse ed è spesso stata cantata da singoli e gruppi; quella probabilmente più nota, è stata cantata da personaggi come Joan Baez e Pete Seeger. Il personaggio della "guajira guantanamera" altro non è che una "contadina di Guantanamo", alla quale il poeta/cantante si rivolge. La canzone è basata sulla poesia Versos sencillos composta da José Martí nel 1891, adattata da Julián Orbón nel 1949. La musica è stata composta da José Fernández Díaz.

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Guantanamera: testo da www.ildeposito.org canti di protesta politica e sociale, storia da http://it.wikipedia.org/wiki/Guantanamera

Volver

Volver
Tango
1935


Música:

Carlos Gardel

Letra:
Alfredo Le Pera

Yo adivino el parpadeo
de las luces que a lo lejos, van marcando mi retorno.
Son las mismas que alumbraron,
con sus pálidos reflejos,
hondas horas de dolor.
Y aunque no quise el regreso,
siempre se vuelve al primer amor.

La quieta calle donde el eco dijo:
"Tuya es su vida, tuyo es su querer",
bajo el burlón mirar de las estrellas
que con indiferencia hoy me ven volver.

Volver, con la frente marchita,
las nieves del tiempo
platearon mi sien.
Sentir, que es un soplo la vida,
que veinte años no es nada,
que febril la mirada
errante en las sombras
te busca y te nombra. Vivir,
con el alma aferrada
a un dulce recuerdo,
que lloro otra vez.

Tengo miedo del encuentro
con el pasado que vuelve
a enfrentarse con mi vida.

Tengo miedo de las noches
que, pobladas de recuerdos,
encadenan mi soñar.

Pero el viajero que huye,
tarde o temprano detiene su andar.
Y aunque el olvido
que todo destruye,
haya matado mi vieja ilusión,
guarda escondida una esperanza humilde,
que es toda la fortuna de mi corazón.

Volver, con la frente marchita,
las nieves del tiempo
platearon mi sien.
Sentir, que es un soplo la vida,
que veinte años no es nada,
que febril la mirada
errante en las sombras
te busca y te nombra. Vivir,
con el alma aferrada
a un dulce recuerdo,
que lloro otra vez.


Es la canción que canta el personaje que encarna Penélope Cruz en la película de Pedro Almodóvar, Volver. No tengo palabras para definir la secuencia y mucho menos para la letra de la canción, solo decir que emocionan...

13 dicembre 2006

Marzullando (poco poco, piano piano, come piace a noi)

Buonanotte, amici della notte.

Ma la vita è sogno o i sogni aiutano a vivere?

No, decisamente la vita non è sogno. è fatica, amarezza, delusione, dolore, lacrime, sangue, sudore e cacca, ma sì, i sogni aiutano a vivere, se sai distinguere i sogni buoni dai cattivi sogni.
I sogni buoni, come angeli custodi, ci tengono stretti per mano ricordandoci chi siamo, ci appoggiano leggeri tra le scapole un paio d'ali per volare sulla fatica, l'amarezza, la delusione, il dolore, le lacrime e il sangue, il sudore e tutta quella dannata cacca, e ci nutrono per darci la forza di battere le ali ancora, ancora e ancora. quando i sogni buoni si avverano, allora cominciamo ad esistere.
ma se ci prendono i cattivi sogni, come amici invidiosi, ci incantano ricordandoci ogni momento chi vorremmo essere, e lentamente ci sottraggono alla vita, divorano i nostri occhi come parassiti rendendoci ciechi e relegandoci in un mondo irreale. i cattivi sogni si nutrono di noi, come vampiri. quando si avverano i cattivi sogni, noi non esistiamo più.


Buonanotte, amici della notte.

Oh, Dio! Io potrei viver confinato
in un guscio di noce, e tuttavia
sentirmi il re dell'universo
infinito, se non facessi cattivi sogni.


William Shakespeare, Amleto, Atto II.
















foto dubbi amletici da http://www.hamlettheclown.com/shows.html

Il cubo

"Lei ha una bella calligrafia, tenente. Ma sa che questi versi non sono suoi.", dissi restituendogli il quaderno.
Lo vidi tremare. Quel tipo aveva addosso abbastanza armi da ammazzarmi varie volte, e se non voleva sporcarsi l'uniforme poteva ordinare a qualcun altro di farlo. Tremando di rabbia si alzò in piedi, gettò per terra tutto ciò che c'era sulla scrivania e gridò:
"Nel cubo per tre settimane, ma prima passi dal pedicure, sovversivo di merda!"
Il pedicure era un civile, un latifondista a cui la riforma agraria aveva espropriato varie migliaia di ettari, che si vendicava partecipando come volontario agli interrogatori. La sua specialità era sollevare le unghie dei piedi, il che provocava terribili infezioni.

Conoscevo il cubo. I miei primi sei mesi di prigionia erano stati di isolamento totale nel cubo, un abitacolo sotterraneo che misurava un metro e cinquanta di lunghezza, e altrettanto di larghezza e di altezza. Un tempo, nel carcere di Temuco c'era una conceria e il cubo serviva a immagazzinare il grasso. Le pareti di cemento ne portavano ancora il fetore, ma nel giro di una settimana i propri escrementi si incaricavano di rendere il cubo un luogo molto intimo.
Soltanto mettendosi in diagonale era possibile allungare il corpo, ma le basse temperature del sud del Cile, l'acqua piovana e l'urina dei soldati spingevano ad abbracciarsi le gambe e a rimanere così, desiderando di essere sempre più piccolo fino a poter abitare una di quelle isole di merda che galleggiavano qua e là suggerendo vacanze da sogno. Tre settimane vi rimasi, raccontandomi film di Stanlio e Ollio, ricordando parola per parola romanzi di Salgari, Stevenson e London, giocando lunghe partite a scacchi e leccandomi le dita dei piedi per proteggerle dalle infezioni. Nel cubo giurai e spergiurai che non mi sarei mai dedicato alla critica letteraria.

Un giorno di giugno del 1976 finì il viaggio da nessuna parte. Grazie alle pratiche di Amnesty International uscii dal carcere, e, anche se rapato e con venti chili di meno mi riempii i polmoni dell'aria densa di una libertà limitata dalla paura di perderla nuovamente.
Molti dei compagni rimasti dentro furono assassinati dai militari. Per me è fonte di grande orgoglio sapere che non dimentico né perdono i loro carnefici.

Luis Sepulveda, La frontiera scomparsa, Guanda 1994.


articoli e commenti di Sepulveda sul suo blog:
http://www.lemondediplomatique.cl/-Luis-Sepulveda-.html
http://www.lemondediplomatique.cl/Los-micro-infartos-del-tirano.html

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Comunicato stampa 132-2006: 11/12/2006
Cile: commento di Amnesty International sulla morte di Augusto Pinochet

La morte di Augusto Pinochet, per una amara coincidenza avvenuta nella Giornata internazionale dei diritti umani, costituisce un potente monito sulla necessità di una giustizia rapida e incisiva nei casi che riguardano violazioni dei diritti umani. In tutta l'America Latina, decine e decine di ex militari, responsabili di decine di migliaia di casi di “sparizioni”, uccisioni e torture continuano a vivere in esilio e a godere di un'impunità totale. I governi devono comprendere che ritardare la giustizia può spesso significare negare la giustizia alle vittime.La morte di Pinochet non deve chiudere il capitolo più nero della storia cilena, contrassegnato da gravi violazioni dei diritti umani e dall'impunità.

Il governo deve assicurare che tutti i responsabili delle violazioni dei diritti umani commesse sotto il regime di Pinochet siano portati di fronte alla giustizia. Deve inoltre annullare la legge d'amnistia (Decreto legge 2191), emanata sotto il regime di Pinochet, che ha finora protetto i responsabili di violazioni dei diritti umani.

Ultimamente, Pinochet aveva riconosciuto la propria "responsabilità politica" per quello che è accaduto sotto il suo regime. Si tratta di un'ammissione vaga, che non ha peso legale e non ha particolari implicazioni per la ricerca di giustizia che è dovuta da oltre 30 anni alle vittime.


Ulteriori informazioni

Augusto Pinochet ha governato in Cile dal 1973 al 1990, dopo aver estromesso con un colpo di Stato il governo del presidente Salvador Allende.Sotto il suo regime sono stati denunciati migliaia di casi di violazioni dei diritti umani. Secondo il rapporto della Commissione Rettig (la Commissione per la verità e la riconciliazione), reso noto nel 1991, 3196 persone morirono a causa della violenza politica durante il suo regime. Di esse, 1185 rimangono tuttora "scomparse".
Lo Stadio nazionale e Villa Grimaldi, dove l'attuale presidente Michelle Bachelet e sua madre vennero detenute nel 1975, furono i centri di prigionia più usati dal regime di Pinochet. Villa Grimaldi è ora stata trasformata in un centro alla memoria. Dal 1988, Augusto Pinochet era stato accusato di numerosi casi di violazioni dei diritti umani ma i procedimenti si sono scontrati con ostacoli legali, soprattutto l'impunità di cui egli godeva come ex presidente e senatore e le sue condizioni di salute. I suoi avvocati hanno sempre sostenuto che non era in grado di prendere parte a un processo. Pinochet, era sotto accusa nel contesto di un'inchiesta di natura finanziaria (il caso Riggs) e di cinque inchieste riguardanti i diritti umani: il centro di detenzione di Villa Grimaldi, l'Operazione Colombo, l'Operazione Condor, la Carovana della morte e il caso Prats.

FINE DEL COMUNCATO Roma, 11 dicembre 2006

Sul web: http://news.amnesty.org/pages/Pinochet_timeline

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12 dicembre 2006

Come un altare di sabbia
























La costruzione di un amore
spezza le vene delle mani
mescola il sangue col sudore
se te ne rimane

La costruzione di un amore
non ripaga del dolore
è come un altare di sabbia
in riva al mare

La costruzione del mio amore
mi piace guardarla salire
come un grattacielo di cento piani
o come un girasole

ed io ci metto l'esperienza
come su un albero di Natale
come un regalo ad una sposa
un qualcosa che sta lí
e che non fa male

E ad ogni piano c'è un sorriso
per ogni inverno da passare
ad ogni piano un Paradiso
da consumare

dietro una porta un po' d'amore
per quando non ci sarà tempo di fare l'amore
per quando vorrai buttare via
la mia sola fotografia

E intanto guardo questo amore
che si fa più vicino al cielo
come se dopo tanto amore
bastasse ancora il cielo

e sono qui e mi meraviglia
tanto da mordermi le braccia
ma no, son proprio io
lo specchio ha la mia faccia

sono io che guardo questo amore
che si fa più vicino al cielo
come se dopo l'orizzonte
ci fosse ancora cielo

e tutto ciò mi meraviglia
tanto che se finisse adesso
lo so io chiederei
che mi crollasse addosso

E la fortuna di un amore
come lo so che può cambiare
dopo si dice l'ho fatto per fare
ma era per non morire

si dice che bello tornare alla vita
che mi era sembrata finita
che bello tornare a vedere
e quel che è peggio è che è tutto vero
perché
La costruzione di un amore
spezza le vene delle mani
mescola il sangue col sudore
se te ne rimane

la costruzione di un amore
non ripaga del dolore
è come un altare di sabbia
in riva al mare

E intanto guardo questo amore
che si fa più vicino al cielo
come se dopo tanto amore
bastasse ancora il cielo

e sono qui e mi meraviglia
tanto da mordermi le braccia
ma no, son proprio io
lo specchio ha la mia faccia

sono io che guardo questo amore
che si fa grande come il cielo
come se dopo l'orizzonte
ci fosse ancora cielo

e tutto ciò mi meraviglia
tanto che se finisse adesso
lo so io chiederei
che mi crollasse addosso

sì.

Ivano Fossati, La costruzione di un amore, da La Pianta Del Tè - CBS 1988

07 dicembre 2006

"Muoio ogni giorno"

Prova a ripetere questa frase ad alta voce: "Muoio ogni giorno". E' una delle formule augurali che ci piacciono di più. Tu che ne pensi?
Adesso pronunciala con un tono di voce diverso. Intonala sulla melodia di Stella stellina, o imitando la voce del cartone animato che ti piaceva di più quand'eri piccolo. Ripetila dieci volte di fila, oppure fai altri esperimenti vocali.

Poi medita su questi interrogativi.
Quale parte di te dovrai uccidere per accedere alla bellezza che ora ti è preclusa? Quali trucchetti da quattro soldi ti rendono cieco alle benedizioni che la vita vorrebbe regalarti? Quali delle teorie che in passato si sono rivelate utili, o forse addirittura brillanti, oggi ti impediscono di accorgerti della fresca creazione che ogni giorno sboccia davanti ai tuoi occhi?

"Muoio ogni giorno" significa che non basta sopprimere le tue abitudini mentali una volta sola: il prezzo del biglietto per la pronoia è una morte continua. Non dovrai mai smettere di farti domande brutali e prenderti a calci nel culo. L'idea di bellezza, verità, amore, bontà, giustizia e liberazione che abbiamo oggi, domani potrebbe essere già superata. Per stare al passo con l'ultima versione dovrai immergerti regolarmente nelle acque del caos.
La tua relazione con la pronoia dovrà tradursi in una improvvisazione senza fine.

Bob Brezsny, la pronoia è l'antidoto alla paranoia - 888 metodi per diventare selvaggiamente felici, Rizzoli 2005.



16 ottobre 2006

Late fragment























Nei giorni scorsi avrei avuto molte cose da commentare, ma la salute e smarrimenti vari me lo hanno impedito (sono nata nell'epoca sbagliata: se fossi nata alla fine dell'Ottocento, ora sarei in convalescenza in un sanatorio a Baden-Baden, e le sfighe avrebbero avuto un sapore molto più letterario..).
Ho intenzione di recuperare nei prossimi giorni ("... disse la sventurata, ignara del suo destino..."); intanto ecco una cosa bella che il fermo forzato del fine settimana mi ha regalato: in un libro di Carver che non avevo ancora letto ho trovato alcune poesie struggenti. L'ultima, e l'unica che conoscevo già, è questa.


And did you get what you wanted
from this life, even so?
I did.
And what did you want?
To call myself beloved,
to feel myself beloved on the earth.

E hai ottenuto quello che volevi
da questa vita, nonostante tutto?
Sì.
E cos’è che volevi?
Potermi dire amato,
sentirmi amato sulla terra.

Late fragment, Raymond Carver

03 ottobre 2006

Mi sento solo






















Mi sento solo
solo
come quei balconi
con le tapparelle abbassate
abbandonati
dove la pioggia cade
la sabbia si posa
si posa la polvere

e che se avessero voce
li sentiresti
invocare gli uccelli
se avessero mani li vedresti
disegnarsi gerani e azalee

aspetto come loro
qualcuno che mi riapra:

pavimento da calpestare
veicolo di luce
altro
non so immaginare


solitudine di Piermario Giovannone, da Austro e Favonio, Genesi Editrice, Torino 1994.
sonno di www.danielegneus.com

29 settembre 2006

Evidentemente, sì


















Ecco, in questo momento mi viene in mente una strana immagine, di due persone che sono una di fronte all'altra sulle due rive opposte di un fiume del quale non riescono a stimare l'ampiezza. E tutt'e due, ciascuno dal suo lato, ciascuna come può, si mettono a costruire un ponte verso l'altra riva. E' impossibile sapere se i due ponti arriveranno mai a congiungersi, perché la cosa dipende da ciò che ognuno dei due ha in mente. Ma al tempo stesso l'energia prodigata dall'uno giova all'altro e lo motiva nella sua impresa.

Ecco, questa è l'immagine che mi è venuta in mente, e adesso mi viene da ridere vedendomi andare a cercare immagini così bislacche per riuscire ad esprimere quello che sento. E' così complicato? Evidentemente sì.


lettere: Laure Delmas, Thomas Gautier, Détenu cherche plume facile pour relation légère, Bompiani 2002.
forme e colori: www.danielegneus.com

27 settembre 2006

Buon compleanno

When I was young, it seemed that life was so wonderful,
a miracle, oh it was beautiful, magical.
And all the birds in the trees, well they'd be singing so happily,
joyfully, playfully watching me.
But then they send me away to teach me how to be sensible,
logical, responsible, practical.
And they showed me a world where I could be so dependable,
clinical, intellectual, cynical.

There are times when all the world's asleep,
The questions run too deep
for such a simple man
Won't you please,
please tell me what we've learned
I know it sounds absurd
but please tell me who I am

Now watch what you say or they'll be calling you a radical,
liberal, fanatical, criminal.
Won't you sign up your name, we'd like to feel you're acceptable,
respectable, presentable, a vegetable!

At night, when all the world's asleep,
The questions run so deep
for such a simple man
Won't you please,
please tell me what we've learned
I know it sounds absurd
but please tell me who I am
who I am
who I am

The Logical Song - Supertramp, da Breakfast in America, 1979


stamattina mentre facevo colazione e accendevo il computer, per radio ho sentito questa canzone, in una strana versione jazz cantata da una voce femminile.
mi è tornata in mente l'originale, che mi ha riportato a galla un tumulto di ricordi piccoli.. fu uno dei grandissimi successi di quell'anno, io ero in seconda media, fate voi i conti..
leggo il testo, a cui non avevo mai fatto caso, e scopro che si adatta perfettamente a come mi sento adesso.

The road to Guantanamo

Andate ASSOLUTAMENTE a vedere questo film! Non solo per l'argomento e perché è una storia vera (interviste ai veri ragazzi di Birmingham a cui è successa questa vicenda allucinante inframmezzate a documenti filmati della guerra e a ricostruzioni della loro storia fatte con attori), ma anche perché è un film, un vero film fatto BENISSIMO - non per niente ha vinto un prestigioso riconoscimento alla regia.

Almeno loro si sono salvati e hanno ripreso la loro vita, ma Guantanamo non è ancora stata chiusa. E non mi pare sia servita granché, o sbaglio? Alla faccia dei diritti umani, della Convenzione di Ginevra e di tutti noi. E viva viva la difesa dei valori occidentali, la sicurezza, la democrazia e il relativo import-export!

- - -

da www.mymovies.it

The Road To Guantanamo (2006)

Un film di Michael Winterbottom, Mat Whitecross.
Con Riz Ahmed, Farhad Harun, Waqar Siddiqui, Arfan Usman.
Genere Drammatico, colore, 95 minuti.
Produzione Gran Bretagna 2006.

Uscita nelle sale: 15/09/2006

Michael Winterbottom racconta l'odissea di tre giovani musulmani inglesi rinchiusi innocenti per due anni nella famigerata base di Guantanamo.

di Giancarlo Zappoli


Quattro amici di età che va dai 19 ai 23 anni (Ruhel, Asif, Shafiq e Monir) partono dall'Inghilterra per il matrimonio di uno di loro in Pakistan. Siamo nell'autunno del 2001. Dopo una serie di vicissitudini tre di loro vengono arrestati dalle truppe americane e portati nella base di Guantanamo. Ne usciranno due anni dopo totalmente scagionati dall'accusa di terrorismo dopo aver subito torture psicologiche e fisiche brutali. Michael Winterbottom non è nuovo a imprese di questo genere. Molti ricorderanno Welcome to Sarajevo così come Cose di questo mondo (sui profughi dall'Afghanistan e vincitore dell'Orso d´Oro). Questa volta, dopo un inizio un po' faticoso che ricorda troppo da vicino Cose di questo mondo, l´accusa non potrebbe essere più diretta e lo stile più convincente. Il regista inglese decide infatti di intervistare i tre protagonisti e di ricostruire con non attori quanto da loro narrato. L'obiezione che può subito emergere è ovvia: Winterbottom ha fatto le verifiche necessarie? È sicuro che quanto raccontato dai tre corrisponda a verità? La risposta è sin troppo facile: per certo i giovani avevano un alibi di ferro e nonostante questo si sono fatti due anni di Guantanamo come terroristi pericolosissimi. A questo si può aggiungere che se fosse vera anche solo la metà delle torture da loro raccontate come subite ad opera dei soldati americani questo sarebbe già più che sufficiente per parlare di barbarie. Winterbottom mette poi a segno un colpo di genialità da ricercatore quando mostra una dichiarazione di Donald Rumsfeld che afferma testualmente "Stiamo rispettando in massima parte la Convenzione di Ginevra sui Diritti Umani". L´uomo di punta dell'Amministrazione Bush dice la verità: quello che sta oltre alla massima parte precipita nel buio o nel sole a picco su celle di metallo in mezzo a un cortile della base di Guantanamo al cui ingresso (Camp Delta) si legge: "Honour Bound to Defend Freedom". Per molto, molto meno Richard Nixon dovette lasciare la Casa Bianca. Erano altri tempi? Forse. Sta di fatto che una democrazia non è tale perché simili e sistematiche violazioni del Diritto possono essere denunciate. Una democrazia è tale quando queste non possono verificarsi.

- - -

26 settembre 2006

(senza parole)


































sfruculiando le foto dei mondiali antirazzisti 2006 -
che ci servono per attività varie e anche per farsi venire il magone.. -
ho trovato due foto fatte da me delle quali sono vagamente orgogliosa :)

eccole qua, due immagini che non hanno bisogno di parole (quindi le immagini per eccellenza) e una piccola iniezione di autostima per me..

22 settembre 2006

Abitare l'impossibile

Alla condizione di senza patria Said ci è abituato. Nato a Jenin per errore, dice di sé. E quando si nasce per errore, la vita intera è forse destinata a essere un'erranza interminata.
[...]
E tutto per un'inezia. Un classico, assurdo cavillo burocratico. Per un foglio scritto male. Prima il passaporto giordano scaduto, il nuovo passaporto palestinese che non arriva, la dichiarazione di identificazione del consolato palestinese che non viene accettata. Poi la convocazione in prefettura, Said si presenta col datore di lavoro, ma nel fascicolo risulta che non si è presentato, è stato cancellato, fatto sparire. E così l'archiviazione del caso, e la conseguente notifica di espulsione. "E' questo che non riesco ad accettare- dice Said. Era un problema che non dovevo avere."
[...]
Non gli rimane che una possibilità. Chiedere l'asilo politico. E se chiedi l'asilo finisci in un CPT. Per non arrivare in ritardo all'appuntamento con la questura, quel giorno Said prende un taxi. Poi c'è l'aereo fino a Palermo. lì lo caricano su un furgone blindato nella canicola del luglio siciliano, dietro a un vetro rinforzato, seduto su un pavimento. Poi a Trapani.
[...]
Una volta rilasciato ha avuto l'incontro con la commissione, che gli ha concesso lo status di rifugiato politico. Adesso non può più tornare il palestina. Nella sua palestina impossibile. Appartiene definitivamente, adesso, alla sua città di senza patria. La città che ha cantato nella poesia che chiude questa storia. Perché Said è un poeta, ed è un poeta che ha per maestri Adonis e Darwish.
Fare poesia è abitare l'impossibile. Said è una vita che abita l'impossibile.

FENICE, ENTRERO'?

Ho tolto tutti i miei vestiti
Per pellegrinarmi in te
Ho tolto la penna
La spada
Ho ingoiato il mare morto
Ho indossato la chitarra
Per pellegrinarmi in te
Nudo
Ma non come neonato.

Ho tolto le foglie dagli alberi di laguna dai miei piedi
Ho tolto la mia cintura di sorrisi
L'ultima vestaglia di raggi carnevaleschi
Fatta di sabbia
Ho tolto l'orologio del non-tempo
Mi sono fermato nudo e pellegrino in te
Perdonami se non ho tolto il mio anello fatto d'aria
Divento Blu
Ah se fosse la tua mano il fuoco
E la mia guancia il vento
E io divento il tuo eterno pellegrino
Tu diventi la mia fede
Rigetto il mio mare morto sulla tua fiamma
Che ci torni più Fenice di prima.


da Marco Rovelli, Lager italiani - I centri di permanenza temporanea, le storie dei clandestini reclusi senza colpa. Disperazione, solitudine, diritti violati. La sconfitta di un paese civile, BUR 2006.

nell'immagine, l'articolo 13 della Dichiarazione Universale dei diritti umani.

colto da malore

per favore guardate bene questa foto.

martedì prossimo sarà un anno.

il 25 settembre 2005 a ferrara moriva Federico Aldrovandi, 18 anni.



colto da malore mentre aggrediva a calci e pugni un'auto della polizia.



domani, sabato 23 settembre, manifestazione nazionale a ferrara per chiedere che sia fatta luce.

federicoaldrovandi.blog.kataweb.it

www.veritaperaldro.it

La discussione è una guerra?






















[...] Basandoci fondamentalmente sull'evidenza linguistica, abbiamo scoperto che la maggior parte del nostro normale sistema concettuale è di natura metaforica. Abbiamo inoltre trovato un modo per cominciare a identificare in dettaglio quali sono le metafore che strutturano la nostra percezione, il nostro pensiero e le nostre azioni. Per dare un'idea di cosa significa dire che un concetto è metaforico e che esso struttura una nostra attività quotidiana, consideriamo l'esempio del concetto "discussione" e della metafora concettuale LA DISCUSSIONE E' UNA GUERRA. Questa metafora è riflessa in una grande varietà di espressioni presenti nel nostro linguaggio quotidiano:

LA DISCUSSIONE E' UNA GUERRA
Le tue richieste sono indifendibili.
Ha attaccato ogni punto debole della mia argomentazione.
Le sue critiche hanno colpito nel segno.
Ho demolito il suo argomento.
Non ho mai avuto la meglio su di lui in una discussione.

Ciò che è importante sottolineare è che noi non soltanto parliamo delle discussioni in termini di guerra, ma effettivamente vinciamo o perdiamo nelle discussioni: noi vediamo la persona con cui stiamo discutendo come un nemico, attacchiamo le sue posizioni e difendiamo le nostre, guadagnamo o perdiamo terreno, facciamo piani e usiamo strategie, se troviamo una posizione indifendibile la abbandoniamo e scegliamo una nuova liena di attacco. Molte delle cose che noi facciamo durante una discussione sono in parte strutturate dal concetto di guerra.. Sebbene non ci sia un combattimento fisico, c'è tuttavia un combattimento verbale, che si riflette nella struttura della discussione: attacco, difesa, contrattacco ecc. In questo senso la metafora LA DISCUSSIONE E' UNA GUERRA è una di quelle metafore con cui viviamo in questa cultura: essa struttura le azioni che noi compiamo quando discutiamo.Provate a immaginare una cultura in cui le discussioni non siano viste in termini di guerra, dove nessuno vinca o perda, dove non ci sia il senso di attaccare o difendere, di guadagnare o perdere terreno. Una cultura in cui una discussione è vista come una danza, i partecipanti come attori e lo scopo è una rappresentazione equilibrata ed esteticamente piacevole. In una tale cultura la gente vedrà le discussioni in un modo diverso, le vivrà in modo diverso, le condurra in modo diverso e ne parlerà in modo diverso. Ma dal nostro punto di vista, questa gente probabilmente non starebbe discutendo ma facendo qualcosa di diverso. Sarebbe strano perfino definire la loro azione come una discussione. Forse il modo più neutro per descrivere questa differenza tra la nosta cultura e la loro sarebbe il dire che noi abbiamo una forma di discorso strutturata in termini di combattimento mentre loro ne hanno una strutturata in termini di danza. Questo è un esempio di ciò che significa dire che un concetto metaforico, e precisamente LA DISCUSSIONE E' UNA GUERRA, struttura (almeno in parte) ciò che facciamo e come comprendiamo ciò che stiamo facendo nel corso di una discussione. L'essenza della metafora è comprendere e vivere un tipo di cosa in termini di un altro. Le discussioni non sono sottospecie di guerre. Le discussioni sono cose diverse - discorsi verbali e conflitti armati - e le azioni che vengono compiute sono diverse. Ma una discussione è parzialmente strutturata, compresa, eseguita e definita in termini di guerra. [...]
Il nostro modo convenzionale di parlare delle discussioni presuppone una metafora di cui non siamo quasi mai consapevoli; tale metafora non è soltanto nelle parole che usiamo, ma nel concetto stesso di discussione. Il linguaggio con cui definiamo la discussione non è né poetico, né fantasioso, né retorico; è letterale: ne parliamo in quel modo perché la concepiamo in quel modo, e ci comportiamo secondo le concezioni che abbiamo delle cose. [...]

George Lakoff, Metafore e vita quotidiana (Metaphors We Live By), Bompiani Strumenti, 1998


Sylvie Guillem & Russell Maliphant in PUSH - photo: Johan Perrson www.sadlerswells.com

15 settembre 2006

Behind the eyes












We are all different
behind the eyes.

Pearl Jam





Sheets of empty canvas,
untouched sheets of clay
were laid spread out before me
as her body once did
all five horizons revolved around her soul
as the earth to the sun
now the air i tasted and breathed
has taken a turn
and all i taught her was everything
i know she gave me all that she wore
and now my bitter hands
shake beneath the clouds
of what was everything?
all the pictures had
all been washed in black,
tattooed everything...

i take a walk outside, i'm surrounded by
some kids at play
i can feel their laughter, so why do i sear
and twisted thoughts that spin round my head
i'm spinning, oh, i'm spinning
how quick the sun can, drop away
and now my bitter hands cradle broken glass
of what was everything?
all the pictures had
all been washed in black,
tattooed everything...
all the love gone bad,
turned my world to black
tattooed all i see, all that i am, all i'll ever be...
i know someday you'll have a beautiful life,
i know you'll be a starin somebody else's sky,
but why, why,
why can't it be, why can't it be mine?


dopo quattordici anni, un momento mai sognato
la pienezza può essere semplice
l'emozione più grande, Black (Pearl Jam, Ten, 1992)
14 settembre 2006

14 settembre 2006

Cerchiamo di essere civili


Amnesty international accusa Hezbollah

da www.internazionale.it - I titoli di apertura dei giornali di tutto il mondo

HA'ARETZ, Israele
www.haaretz.com

Amnesty international accusa Hezbollah. In un rapporto pubblicato stanotte, Amnesty international accusa Hezbollah di crimini di guerra per aver colpito i civili israeliani durante il recente conflitto con Israele. La milizia sciita ha infatti lanciato circa quattromila razzi katiuscia verso il nord di Israele, uccidendo 43 civili. Il mese scorso due rapporti di Amnesty international accusavano l'esercito israeliano di crimini di guerra per aver colpito deliberatamente aree abitate da civili e aver usato bombe a frammentazione.


(Niente di strano direi, vedi post del 28 agosto scorso...)
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da www.amnesty.it - CS101-2006: 14/09/2006

Amnesty International pubblica un rapporto sui deliberati attacchi di Hezbollah contro la popolazione civile israeliana

Amnesty International ha pubblicato oggi un rapporto in cui accusa Hezbollah di aver commesso gravi violazioni del diritto umanitario, equivalenti a crimini di guerra, nel corso del recente conflitto con Israele. Il documento dell’organizzazione per i diritti umani, che segue un rapporto sugli attacchi di Israele contro le infrastrutture civili libanesi, rende evidente l’urgenza e la necessità di un’indagine completa e imparziale delle Nazioni Unite sulle violazioni commesse da entrambe le parti. Durante un mese di conflitto, Hezbollah ha lanciato circa 4000 razzi sul nord di Israele, uccidendo 43 civili, ferendone altri 33 e costringendo centinaia di migliaia di persone a cercare riparo nei rifugi o a fuggire. Circa un quarto dei razzi sono stati lanciati direttamente contro aree urbane, compresi missili contenenti migliaia di biglie di metallo. Nel corso dei colloqui coi ricercatori di Amnesty International, i dirigenti di Hezbollah hanno affermato che il lancio di razzi sul nord di Israele era una rappresaglia per gli attacchi contro i civili libanesi e aveva l’obiettivo di fermare questi ultimi. “La dimensione degli attacchi contro le città e i villaggi israeliani, la natura indiscriminata delle armi utilizzate e le dichiarazioni della leadership di Hezbollah, che ha confermato l’intenzione di colpire i civili, rendono fin troppo evidente che Hezbollah ha violato le leggi di guerra” – ha affermato Irene Khan, Segretaria generale di Amnesty International. “Il fatto che Israele a sua volta abbia commesso gravi violazioni non giustifica in alcuna maniera quelle compiute da Hezbollah. Non devono essere i civili a pagare il prezzo della condotta di guerra illegale dell’avversario”. Il rapporto di Amnesty International, intitolato “Sotto tiro: gli attacchi di Hezbollah contro il nord di Israele”, si basa sulle ricerche condotte dall’organizzazione per i diritti umani in Israele e in Libano, attraverso interviste con le vittime, l’esame di dichiarazioni ufficiali e una serie di colloqui con autorità israeliane e libanesi e con alti dirigenti di Hezbollah. Le principali conclusioni di Amnesty International sono le seguenti: - Hezbollah ha lanciato circa 900 razzi Katiuscia, la cui gittata è intrinsecamente inaccurata, contro aree urbane nel nord di Israele, in chiara violazione del principio di distinzione tra obiettivi civili e militari prevista dal diritto internazionale; - Hezbollah ha usato razzi Katiuscia modificati per contenere biglie di metallo, con l’obiettivo di causare il maggior numero possibile di morti e feriti: uno di questi razzi ha ucciso otto operai delle ferrovie; - le dichiarazioni di Hasan Nasrallah e di altri dirigenti di primo piano di Hezbollah, secondo cui gli attacchi diretti contro la popolazione civile israeliana erano una forma di rappresaglia, hanno violato il divieto di attacchi diretti contro i civili, così come quello di rappresaglia contro i civili; - la fuga della popolazione civile israeliana e l’esistenza dei rifugi ha impedito che il numero delle vittime fosse più alto. “Nel conflitto tra Hezbollah e Israele, la sofferenza dei civili di entrambe le parti è stata ripetutamente ignorata e i colpevoli sono riusciti finora a evadere ogni responsabilità. Occorre giustizia se si vuole prendere sul serio il rispetto delle regole di guerra: questo significa chiamare i responsabili di crimini di guerra a rispondere del proprio operato e garantire riparazione alle vittime” – ha dichiarato Irene Khan. Amnesty International continua a chiedere alle Nazioni Unite l’immediata apertura di un’inchiesta completa, indipendente e imparziale sulle violazioni del diritto umanitario commesse da entrambe le parti in conflitto. L’inchiesta dovrebbe esaminare, in particolare, l’impatto del conflitto sulla popolazione civile e avere come obiettivo l’individuazione dei singoli responsabili di crimini di diritto internazionale e garantire piena riparazione alle vittime. Ulteriori aspetti della guerra, come l’accusa a Hezbollah di aver usato i civili come copertura e quella a Israele di aver causato un elevato numero di vittime tra i civili, verranno esaminati in successivi rapporti di Amnesty International.

FINE DEL COMUNICATO Roma, 14 settembre 2006

Il rapporto “Sotto tiro: gli attacchi di Hezbollah contro il nord di Israele” sarà disponibile in lingua inglese, a partire dal 14 settembre, all’indirizzo internet http://web.amnesty.org/library/index/engmde020252006.
Per ulteriori informazioni, approfondimenti e interviste:

Amnesty International Italia - Ufficio stampa Tel. 06 4490224 - cell. 348-6974361, e-mail: press@amnesty.it

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Segreta

guardo le tue immagini furtiva
dalle fessure sottili
che si aprono
sulla dimensione parallela
che ormai è la tua vita,
ora che non è più la mia,
se mai lo è stata.
la tua faccia è cambiata,
in un istante o in un abisso,
l'espressione è cambiata
ma allora perché?
la bandiera che avevo tessuta
per la torre più alta
ora e per sempre resta
sul fondo del baule,
morta e poi dimenticata,
comunque mai spiegata,
e da lontano, sulla cima
soltanto le grida
dei torturati.

>Dimentica, dimentica

Passioni condivise.
Io e Brian Molko dei Placebo ci sdilinquiamo per Umberto Tozzi. (!!!)
Chissà perché - lui, io lo so...


La luce del mattino
e grida di operai
sul dito un maggiolino
è primavera ormai.

E apro le finestre,
il glicine è già qui
il mondo si riveste
come ogni lunedì.

E l'orizzonte è libero
come un amante che
fa il grande senza accorgersi
che prigioniero è
Dimentica, dimentica
che il dispiacere scivola
la mia paura è vivere,
uscire, amare e ridere
e non volare adesso giù
perché accanto a me non ci sei più.

E penso un po' a mia madre
a quella sua mania
diceva più lavoro più i soldi vanno via.
E vanno le stagioni
come motociclette
di giovani spacconi
finchè la vita smette.

Dimentica dimentica
t'accorgi un giorno che
quelli che ti capiscono
sono tutti dietro a te

Dimentica dimentica
che il dispiacere scivola
la mia paura è vivere,
uscire, amare e ridere
e non volare adesso giù
perché accanto a me non ci sei più.


Artist:
Umberto Tozzi
Album:
E Nell'aria Ti Amo
Year: 1977
Title: Dimentica Dimentica


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13 settembre 2006

>ask the sea for answers















Time to pass you to the test.
Hanging on my lover's breath.
Always coming second best.
Pictures of my lover's chest.

Get through this night,
there are no second chances.
This time I might.
To ask the sea for answers.

Always falling to the floor,
softer than it was before.
Dog boy - media whore,
it's who the hell you take me for.

Give up this fight,
there are no second chances.
This time I might.
To ask the sea for answers.
These bonds are shackle free,
wrapped in lust and lunacy.
Tiny touch of jealousy,
these bonds are shackle free.

Get through this night,
there are no second chances.
This time I might.
To ask the sea for answers.

These bonds are shackle free
These bonds are shackle free
These bonds are shackle free
These bonds are shackle free

Get through this, there are no second chances.
This time. To ask the sea for answers.



nelle orecchie per star sveglia placebo, without you i'm nothing
dentro agli occhi per i sogni www.danielegneus.com

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12 settembre 2006

>Golfi


Poi vi spiego.. per ora fidatevi.

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Intervista a Helene Paraskeva

autrice del Tragediometro e altri racconti

Chi è Helene Paraskeva in poche parole?
Per essere onesti la mia caratteristica specifica è quella di sbagliare "maschere". Uso quella privata in pubblico o quella pubblica nel privato e combino pasticci. Qualche volta dimentico addiritura la "maschera" e sono guai.
Come è nata la passione per la scrittura?
Una volta pensavo che fosse nata per motivi sbagliati, come la solitudine, la disubbidienza, la sfida. Adesso che la passione è matura, mi guardo indietro e rivaluto quei motivi. Un parto può anche essere difficile ma la nascita è sempre positiva.
Quali sono gli autori preferiti?
Hemingway e Moravia perché mi ci sento molto vicino. Mi piace U. Eco, J. Lahiri e H. Kureishi. Christiana de Caldas Brito mi riempie di ottimismo.
Che tipo di lettore pensi possa maggiormente apprezzare i tuoi racconti?
Il tipo di lettore che non desidera essere classificato. L'altro giorno, la signora gentilissima di una libreria mi ha detto che avrebbe collocato ll Tragediometro nel reparto di scrittura femminile. Ma se le donne leggono scrittura femminile e gli uomini scrittura maschile, quando impareremo a conoscerci?
Come definiresti il tuo stile?
Quando ero studentessa, l'estate lavoravo come mascherina in un cinema all'aperto. Le mie "mansioni" erano principalmente due. Sradicare l'erbaccia che cresceva fra le sedie, attività che odiavo, e vendere il "programma", cioè la sintesi della trama dei film per orientare lo spettatore, cosa che amavo fare. Adesso capisco il valore della prima mansione. Il mio stile non è vendere trame...
Che rapporto c'è fra vita e scrittura?
Mi sembra un tormentato rapporto amoroso. L'Autore cerca la Vita ma lei fa la difficile. Poi la Vita finalmente si sveglia, capisce che l'Autore è l'uomo per lei e lo cerca ma lui non è più disponibile. Oppure succede l'inverso. La Vita per prima cerca l'Autore ma lui è impegnato altrove. E quando l'Autore capisce che lei era la sua Vita, lei è già passata. Nel corso di questi inseguimenti, qualche volta si congiungono. È la felicità.
Hai qualche progetto nel cassetto?
Non lasciare che il mio romanzo rimanga nel cassetto.

(Fara Editore, febbraio 2003 - © copyright fara editore)
da www.faraeditore.it

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Golfi

"Dai! Muovetevi! Veloci! Non ci aspettano mica! Lo spettacolo inizia alle dieci! Saltate subito in barca!"Papà aveva già messo in moto. Qua e là nel Golfo luccicavano le lampade delle barche pescatrici. Ma loro andavano a vedere lo show. Dal mare. Avrebbero trascorso la serata finale del concorso di bellezza "Miss Golfo" mangiando pesci fritti insaporiti dagli schizzi salati delle onde. Avrebbero ammirato gratis le bellezze venute all' "Astir Beach" da tutti i golfi del mondo. "Stasera c'è il concorso di bellezza. Prendiamo "Zoé" e andiamo ad ammirare le ragazze che sfilano sulla passerella! Tu prendi il cannocchiale!"Via! "Zoé", la loro barca, nuotava come un delfino. Il Golfo era calmo ma persino i ragazzini come il piccolo Marinaio sapevano che non ci si poteva fidare del suo caratteraccio. "Via! Via! Su! Ce la facciamo ancora!""Zoé" era entrata nella famiglia improvvisamente un venerdì pomeriggio. Il padre del piccolo Marinaio l'aveva comprata a prezzo di favore da un amico. Gite, pescate, bagni al largo. Praticamente il Golfo sarebbe stato loro. E volendo ci si poteva spingere anche oltre ..."Si chiama "Zoé"! Accoglietela bene! La barca è come una persona.""Cosa vuol dire "Zoé" ? La gente dà alla barca il nome della moglie!"" "Zoè" vuol dire "vita". Il nome dice tutto!""Un po' generico.""Il nome della barca non si cambia perché porta male! Vi ricordate il Poeta che si è perso fra le onde?""Quale Poeta?""Il Poeta dal cuore grande ..."Era un periodo che il piccolo Marinaio collezionava Poeti autoadesivi. Ma quello annegato dal cuore grande gli mancava."Te lo racconto un giorno. Adesso andiamola a vedere! Non volete conoscere "Zoé?""Era una barca piccola. Un po' chiatta. "Insomma, bruttina!" Pensò il piccolo Marinaio deluso."Ci facciamo sempre la figura da poveracci! Non la potevi scegliere un po' più grandina? Con una linea un po' più slanciata?""Zoé" era anche messa male. La pittura si staccava a croste e la chiglia cedeva qua e là invasa dalla muffa. Per non parlare della cornice di macchia nera di grasso che la circondava. Vista con gli occhi di oggi, "Zoé" si sarebbe meritata una scomunica ecologica. "Tu terrai il timone e diventerai un capitano bravo e coraggioso, come il Grande Marinaio dei Sette Mari!"Profetizzò il padre. Il piccolo Marinaio non fece in tempo a prenotarsi per la storia del Grande Marinaio dei sette mari e il padre aggiunse."Ricordati che ogni barca ha il suo carattere, che dipende dal cuore. Sai qual è il cuore di una barca?"No, non lo sapeva."Il motore.""Zoé" il cuore ce l'aveva. Ma era duro. Era un motore "duro". "La struttura ha solo bisogno di una bella pitturata ma il motore è "duro"."Un cuore duro va intenerito. Il padre del Marinaio lo smontò, lo portò a casa, lo mise nel bel mezzo del cortile e lo curò a lungo, come se fosse un gabbianello ferito. Curò il cuore duro di "Zoé" accarezzandolo, provandolo, arricchendolo con accessori lucidi e coccolandolo con parole intime, premurose e incoraggianti. E il cuore di "Zoé" si intenerì. Piano piano. Un giorno il motore lo rimise al posto e per provarlo portò "Zoé" a largo del Golfo, così a largo che nessuno li poteva seguire a occhio nudo. Non si seppe cosa fosse accaduto veramente fra loro due il giorno della prova. Si sa solo che "Zoè" diventò sua quel giorno, indipendentemente dall'atto di compravendita.Il piccolo Marinaio aveva imparato a tenere il timone. Il motore ancora non lo toccava ma al timone era tenace. Fissava con lo sguardo severo un punto luminoso lontano. Il faro, una nave ancorata al largo, una luce. "Veloci! Muoversi!"L'"Astir Beach", locale elegante ed esclusivo, era accovacciato sul molo che penetrava il Golfo riportando dalla terra luci, musica, applausi e profumi. Erano i profumi delle coppie che ballavano abbracciate. Artisti di fama internazionale venivano ad esibirsi qui, "By the Seaside". E qui il bel mondo tirava fino tardi bevendo, ballando e scherzando. All'alba, poi, avventori e artisti partecipavano alla cerimonia del saluto al sole nascente. Prima saltavano sui tavoli sparecchiati e sistemati in fretta verso l'Oriente e poi, per un lungo attimo, rimanevano in piedi sui tavoli, immobili e silenziosi come idoli issati da idolatri distratti. Alzavano le braccia al sole ed esclamavano: "OOOEE!!"Era l'attimo che trasformava i primi raggi nati color Magenta in rosso vermiglione.Partenza decisa. Saltare, ballare, nuotare, schizzare, correre, volare. Al ritmo di Zoé. Un concorso eccezionale. Tutte le bellezze da ogni parte del mondo avrebbero sfilato sul pelo dell'acqua, come le nereidi in una fantasmagoria marina. Persino le onde scontrose del Golfo avrebbero echeggiato la musica che accompagnava le ninfe. "Lo sai che ogni ragazza sfilerà con una musica diversa?""Perché diversa?""Ogni bellezza ha bisogno della sua musica. La bellezza è come la musica. La bionda dagli occhi azzurri, per esempio, con quale musica l'accompagneresti tu?"Il piccolo Marinaio non era ancora iniziato nei misteri dell'Eros ma era già appassionato di enigmi. "La bionda sfilerà sulle note di "Smoke gets in your eyes" o anche "Strangers in the night."""E la mora dagli occhi scuri?""La mora sfilerà accompagnata da "La Ragazza d'Ipanema." ondeggiando i fianchi snelli. Ma appena appena, eh?" E la rossa dagli occhi verdi sarebbe stata accompagnata da "Mambo, ehi, Mambo Italiano!" Le combinazioni tra musica e bellezza erano tante. "E chi è la più bella? Chi vincerà?""Vince sempre quella più raccomandata, si capisce!"Il piccolo Marinaio saltellava già al ritmo della musica che si confondeva con il ritmo del cuore di "Zoé". Ma lo spettacolo vero sarebbe stato un'altra cosa."Stai fermo! Non vedi che si è alzato il vento? Vuoi che ci capovolgiamo?" Saltare, ballare, nuotare, volare come "Zoé!" Tutto qui.Il piccolo Marinaio veniva schizzato ogni volta che stava in groppa all'onda, e poco prima della scivolata in giù stava per ingoiarsi lo stomaco. Il Golfo era così…"Ci stiamo avvicinando! Ecco la passerella! Ecco Blanche! La vedi l'annunciatrice?"L'annunciatrice Blanche si riconobbe da lontano per i capelli chiaro-cenere e il seno prosperoso. Ma si sentiva poco. Il vento cambiava direzione ad ogni soffio. A volte scaricava l'urlo stridulo del microfono, a volte le consonanti sibilanti di Blanche o anche solo la tensione dell'attesa. "Ecco! Ci siamo! Ecco Zordan! Il presentatore!"Senza fiato, si trovarono improvvisamente così vicini al "Astir Beach" da scoprire che il presentatore Zordan portava il parrucchino. Era il preferito di mamma Zordan. Il Bello col parrucchino!! L'umidità del Golfo poi lo aveva arricciato oltre i limiti della decenza. "Guarda! Zordan ha il parrucchino! L'avevo detto io!"Zordan e il suo parrucchino si avvicinarono al microfono e fra gli applausi diedero l'inizio alla serata."Ladies and Gentlemen! La prima candidata del nostro concorso è una bellezza classica! Accogliamola con un caloroso applauso!"La bellezza classica vestita di biancoazzurro si incamminò sulla piattaforma come Artèmide orgogliosa della caccia abbondante. "Spegni il motore che sentiamo meglio!""Siamo ancora lontani e andiamo contro vento! L'onda ci può portare anche fuori rotta!"Non aveva finito le profezie papà e un'onda mostruosa li avvolse nel suo buio. Papà afferrò il timone:"Siediti giù! Più giù!"Il piccolo Marinaio scivolò nella pancia calda e sicura di "Zoé" che fece un balzo all'indietro. Lei, che lottava mollando calci, pugni e morsi contro le onde, balzò all'indietro. Il cannocchiale volò via e Papà sparì dalla barca. Il Golfo lo aveva divorato."Gira il timone!"Ma la voce era la sua."Gira il timone! La barca si spacca in due! Abbiamo preso lo scoglio!""Come?""Abbiamo beccato lo scoglio!"Papà era riemerso. Nel tentativo di spingere "Zoé" via dallo scoglio l'elica gli aveva tranciato il piede. "Ci siamo incastrati! Spegni il motore!"Lo spavento si mischiò al buio. Il piccolo Marinaio stava già pregando. Il motore si spegneva da solo. Adesso si capiva tutto. Erano incastrati dentro uno scoglio seminascosto che sputava schiuma nera come un mostro marino. Ecco perché papà spingeva "Zoè" via. "Ti sei fatto male!""Accendi il motore quando te lo dico! Forte e deciso! Sei pronto? Forza, Marinaio! Via!"Il piccolo Marinaio accese il motore. Zoè si disincagliava e papà si attaccava al timone mentre mamma cercava di bendare il piede maciullato. "Sei ferito!!""No, non è nulla! Speriamo di farcela!"Il piccolo Marinaio prese il barattolo e cominciò a buttare via l'acqua nera del Golfo che entrava dalla falla di "Zoé", mentre dallo squarcio del piede usciva il sangue rosso di papà. La rotta del ritorno fu accompagnata dall'aria silenziosa della sconfitta. Niente nereidi, niente Blanche, niente Zordan, niente trionfo finale della bellezza raccomandata. Il piccolo Marinaio si portò dietro solo aspettative bucate, come la chiglia di "Zoé". Il piede di papà non diventò mai come prima ma fu un valido aiuto per le profezie sulle variazioni meteorologiche. Adesso, il Marinaio invecchiato intravede il Golfo fra bandierine, gadget, gelati al cono, water-scooter e granoturco alla griglia. Seduto sulla panca blu elettrico cerca di capire perché quella falla lo ha aspettato ad ogni golfo.Eh, beh? Rimangono altri golfi, altri mari ancora. E poi, per vedere oltre bisogna andare oltre. Lascia la panca blu elettrico il vecchio, raccoglie i sassi e traccia tre lettere sul muretto. Z-O-E. Perché ama ancora gli enigmi. "Andiamo ad ammirare le nereidi che sfilano sulla passerella! Saltare, ballare, nuotare, schizzare, correre, volare. Al ritmo di Zoé! Ci vuole partenza decisa, mano ferma, motore tenero e una luce lontana."

helene paraskeva

dal sito http://www.el-ghibli.org/, che si ringrazia, per questo e anche per tutto il resto.

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11 settembre 2006

Barbablu















Una matassina di barba è conservata in un convento di monache lontano sulle montagne. Come sia arrivata al convento nessuno lo sa. Alcuni dicono che furono le monache a seppellire quello che restava del suo corpo, perché nessun altro lo avrebbe toccato. Perché mai le monache conservino una siffatta reliquia nessuno lo sa, ma è vero. L'amica della mia amica l'ha vista con i suoi occhi. dice che la barba è blu-indaco per l'esattezza. E' blu come il ghiaccio scuro sul lago, blu come l'ombra di un buco di notte. Questa barba apparteneva un tempo ad uno che dicevano fosse un mago mancato, un gigante con un debole per le donne, un uomo noto con il nome di Barbablu. Si diceva corteggiasse tre sorelle contemporaneamente.Ma quelle erano spaventate dalla barba dallo strano colore, e così si nascondevano quando le chiamava. Nel tentativo di convincerle della sua mitezza, le invitò a una passeggiata nel bosco. Arrivò con cavalli ornati di campanelli e di nastri cremisi, sistemò le sorelle e la loro madre sui cavalli,e al piccolo galoppo si avviarono nel bosco.
Fecero una stupenda cavalcata, con i cani che correvano davanti e accanto a loro. Poi si fermarono sotto un albero gigantesco e Barbablù le intrattenne raccontando storie e offrì loro leccornieLe sorelle cominciarono a pensare: "Insomma, questo Barbablù forse non è poi tanto cattivo".Tornarono a casa e non finivano di parlare di quella giornata così interessante, di quanto si erano divertite, pure, riaffioravano i sospetti e i timori nelle due sorelle maggiori, ed esse giurarono di non rivedere mai più Barbablù. Ma la più piccola pensò che se un uomo poteva essere tanto affascinante, allora forse non era poi tanto cattivo. Più rimuginava tra sé, meno le sembrava terribile, e anche la barba le pareva meno blu.Così quando Barbablù chiese la sua mano, lei accettò. Aveva accolto con orgoglio la proposta di matrimonio, e pensava di sposare un uomo molto elegante. Si sposarono, e poi andarono al suo castello nei boschi.Un giorno andò da lei e le disse: "Devo andare via per qualche tempo. Invita qui la tua famiglia, se ti fa piacere. Potrete cavalcare nei boschi, ordinare ai cuochi di preparare un banchetto, potrai fare tutto quello che vuoi, tutto quello che il tuo cuore desidera. Puoi aprire tutte le porte dei magazzini, le stanze del tesoro, qualunque porta del castello; ma non usare questa piccola chiave con la spirale in cima".Rispose la sposa: "Sì, farò come dici. Mi sembra bellissimo. Vai dunque, mio caro marito, non preoccuparti e torna presto". Così lui partì, e lei rimase.Le sorelle andarono a trovarla e, come tutte le donne, erano molto curiose di sapere che cosa il padrone aveva detto di fare durante la sua assenza, gaiamente la giovane sposa raccontò tutto.Le sorelle decisero di fare il gioco di trovare quale chiave apriva quale porta. Il castello era di tre piani, con un centinaio di porte in ogni ala, e siccome molte erano le chiavi del mazzo, si divertirono immensamente a passare da una porta all'altra. Dietro a una porta c'erano le dispense, dietro a un'altra i depositi delle monete. In ogni stanza c'erano beni di ogni sorta. E ogni volta sembrava tutto più meraviglioso. Alla fine arrivarono alla cantina.Si scervellarono sull'ultima chiave, quella con la piccola spirale in cima. Udirono uno strano suono, sbirciarono dietro l'angolo e - guarda, guarda!- c'era una porticina che si stava appunto richiudendo. Cercarono di riaprirla, ma era sprangata. Una gridò: "sorella, sorella porta la tua chiave. Sicuramente è questa la porta della misteriosa chiavetta".Senza riflettere neanche un momento una delle sorelle infilò e girò la chiave nella toppa. La serratura scattò, la porta si spalancò, ma dentro era così buio che non potevano vedere nulla."sorella, sorella porta una candela". Venne accesa una candela e portata nella stanza, e le tre donne lanciarono tutte insieme un urlo perché la stanza era un lago di sangue e ossa annerite di cadaveri erano sparse ovunque, e negli angoli i teschi erano impilati come piramidi di mele. Richiusero velocemente la porta, sfilarono la chiave dalla toppa e si aggrapparono l'una all'altra, respirando affannosamente. Dio mio! Dio mio!La sposa guardò la chiave e vide che era macchiata di sangue. Terrorizzata usò l'orlo della gonna per ripulirla, ma il sangue restava. Ogni sorella prese la chiavetta in mano e cercò di farla diventare come prima ma il sangue non se ne andava. La sposa si nascose in tasca la piccola chiave e corse in cucina. Quando arrivò, il suo abito bianco era macchiato di rosso dalla tasca all'orlo perché la chiave lentamente versava gocce di sangue rosso scuro. Ordinò al cuoco di darle uno strofinaccio, strofinò la chiave, ma non smetteva di sanguinare, goccia su goccia, puro sangue rosso. Portò fuori la chiave, la strofinò con la cenere. La ricoprì di ragnatele per arrestare il flusso, ma niente riusciva ad arrestare il sangue. Pensò di nasconderla, la mise nell'armadio e chiuse la porta.Il marito tornò la mattina dopo ed entrò nel castello chiamando la sua sposa. "allora, com'è andata durante la mia assenza?""E' andato tutto bene sire""bene, allora sarà meglio che tu mi restituisca le chiavi"con una rapida occhiata si accorse che mancava una chiave. "Dov'è la chiave più piccola?""Io…io l'ho perduta. Stavo cavalcando e il mazzo di chiavi mi è caduto""Non mentirmi! Dimmi cosa hai fatto con quella chiave!"le posò una mano sulla guancia come per accarezzarla, ma invece la afferrò per i capelli. "Infedele" ringhiò, e la gettò a terra "sei stata nella stanza, vero?"Spalancò l'armadio e la piccola chiave sul ripiano in alto aveva sanguinato sangue rosso sulle belle sete dei suoi abiti appesi lì."Ora tocca a te mia signora" urlò, e la trascinò nella cantina, fino alla terribile porta. La porta si aprì. Là giacevano gli scheletri di tutte le sue mogli precedenti."Eccoci!" ruggiva, ma lei si era aggrappata alla porta e non lasciava la presa. Implorò per la sua vita " ti prego, consentimi di raccogliermi per prepararmi alla morte. Concedimi un quarto d'ora per trovarmi in pace con Dio"."va bene avrai un quarto d'ora, e fatti trovare pronta".La sposa salì di corsa le scale per raggiungere la sua camera e per mandare le sue sorelle sui bastioni del castello. Interrogava le sorelle."Sorelle, sorelle! Vedete arrivare i nostri fratelli?""Non vediamo nulla, nulla sulle pianure aperte""Vediamo un turbine in lontananza, forse un polverone"Intanto Barbablù chiamò a gran voce la moglie perché scendesse in cantina, dove l'avrebbe decapitata."Sorelle, sorelle! Vedete arrivare i nostri fratelli?"Urlarono le sorelle: "Sì, vediamo i nostri fratelli che arrivano ed entrano nel castello!"Barbablù si lanciò verso la camera della moglie. Pesanti erano i suoi passi, le pietre del vestibolo si aprirono, la sabbia della calcina cadde sul pavimento. Mentre Barbablù entrava nella stanza con le mani tese per afferrarla, i fratelli a cavallo percorsero a cavallo il vestibolo del castello e a cavallo entrarono nella stanza. Lanciarono Barbablù sul bastione, con le spade sguainate avanzarono verso di lui, colpendo e fendendo, tagliando e sferzando, lo abbatterono a terra, uccidendolo infine e lasciando alle poiane il suo sangue e le cartilagini.


Barbablu (versione in cui si mescolano la francese, attribuita generalmente a Charles Perrault, e la slava)

Questa storia riguarda l'uomo nero che abita la psiche di tutte le donne, il PREDATORE INNATO. Barbablù rappresenta un complesso di profonda reclusione che si acquatta ai margini della vita di ogni donna e osserva, in attesa di un'occasione per contrastarla. Dobbiamo riconoscerlo, proteggerci dalle sue devastazioni e infine privarlo della sua energia sanguinaria.
Donne ingenue come prede. La donna INGENUA sarà catturata dal suo stesso cacciatore interiore. Nella storia, la sorella più giovane mostra una totale ingenuità sui propri processi mentali e una totale ignoranza dell'aspetto delittuoso della propria psiche, si lascia adescare dai piaceri dell'IO. Tutti gli esseri umani vogliono raggiungere il paradiso subito, ma l'intenso desiderio del paradisiaco, se si combina all'ingenuità, fa di noi cibo per il predatore. Un precoce addestramento a "mostrarsi carine" induce le donne a calpestare le proprie intuizioni.Alcuni aspetti della psiche, rappresentati dalle sorelle maggiori, sono dotati di maggiore introspezione, le loro voci vanno ascoltate. La donna ingenua insiste nella mossa distruttiva, come spinta da un coatto barbabluesco. In un angolo riposto della sua mente ci sono sicuramente le sue sorelle maggiori che le dicono: "No, basta! Non fa bene alla mente ne' al corpo. Ci rifiutiamo di continuare" Ma il desiderio di trovare il paradiso spinge la donna a sposare Barbablù, il mercante di droga per le vette psichiche. La promessa ingannevole del predatore è che la donna diverrà regina, invece si programma il suo assassinio.
La chiave. La piccola chiave è l'accesso al segreto che tutte le donne sanno e che pure non sanno. La donna ingenua accetta di "non sapere". Proibire a una donna di usare la chiave della consapevolezza la priva del suo naturale istinto alla curiosità e della scoperta di "quello che sta sotto". Decidendo di aprire la porta della stanza segreta, una donna sceglie la vita. Banalizzare la curiosità femminile nega l'introspezione, le impressioni, le intuizioni della donna. Cerca di attaccare il suo potere fondamentale.Porsi la domanda giusta è l'azione centrale della trasformazione. La domanda-chiave provoca la germinazione della consapevolezza. Le domande sono le chiavi che fanno spalancare le porte segrete della psiche.
Lo Sposo- Bestia. Una donna può cercare di nascondersi le devastazioni della sua esistenza, ma l'emorragia (il sangue sulla chiave), la perdita dell'energia vitale, continuerà finche non riconoscerà il predatore per quello che è e non lo controllerà. Quando le donne aprono la porta della loro esistenza ed esaminano la carneficina, per lo più scoprono di aver permesso l'assassinio dei loro sogni, dei loro obiettivi delle loro speranze. Quando si fa questa scoperta nella propria psiche è certo che il predatore naturale ha lavorato alla distruzione dei più cari desideri di una donna.
L'odore del sangue. Il sangue rappresenta la decimazione degli aspetti più profondi e legati all'anima della vita creativa. In questo stato la donna perde l'energia per creare. Quando la chiave sanguinante - la domanda urlante- macchia i nostri personaggi, non possiamo più nascondere i nostri travagli. Non possiamo più far finta di non aver visto la stanza della morte. L'io censorio certamente desidera dimenticare di aver visto la stanza, di aver visto i cadaveri, la sposa cerca di pulire la chiave, ma non ci riesce. Quella che prima era un'ingenua deve ora affrontare l'accaduto. Il predatore è particolarmente aggressivo nel tendere imboscate alla natura selvaggia delle donne. Per questo le domande vanno poste e devono ricevere una risposta. Il lavoro più profondo di solito è il più buio, non abbiate quindi paura di indagare il peggio, solo così è garantito un aumento del potere dell'anima. La Donna Selvaggia non teme l'oscurità più oscura, gli avanzi, gli scarti, la rovina, il fetore, il sangue, le ossa fredde, le ragazze morenti o i mariti assassini. Può vedere, sopportare, aiutare. Gli scheletri nella stanza rappresentano la forza indistruttibile del femmininoLa giovane e le sue sorelle sono capaci di spezzare il vecchio modello di ignoranza e di contemplare un orrore senza volgere altrove lo sguardo Barbablù uccide e demolisce una donna finche non ne restano che le ossa. Noi dobbiamo osservare la cosa mortale che si è impadronita di noi, vedere il risultato del suo lavoro, registrarlo consciamente e poi agire. Trovare i corpi, seguire gli istinti, vedere, smantellare l'energia distruttiva.
Nascondersi e spiare. Per sfuggire a un predatore l'anima si nasconde sotto terra e ogni tanto fa capolino per vedere se si allontana. In Barbablù la psiche cerca di non farsi uccidere. E' diventata astuta, chiede tempo per rinforzarsi. Quando una donna comprende di essere stata preda, sia nel mondo esterno che in quello interno, non riesce a sopportarlo. Programma l'uccisione della forza predatoria. Il suo complesso predatorio si affanna nel tentativo di bloccare tutte le vie di fuga, diviene sanguinario. In questo tempo critico addormentarsi vuol dire morire. Bisogna invece spostarsi dallo stato di vittima a quello di persona acuta, vigile, attenta. A questo punto non si deve tremare, ne' umiliarsi.
L'urlo. I fratelli psichici sono i propulsori più muscolosi della psiche, sono la forza che può agire quando è tempo di uccidere. La donna deve esercitarsi a richiamare la sua natura combattiva, il suo vortice di vento. Quando le donne riaffiorano dall'ingenuità, portano con sé qualcosa di inesplorato, in questo caso un'energia maschile interiore. Quando questa natura del sesso opposto è in buona salute ama la donna in cui alberga e la aiuta a compiere quello che lei chiede. Più l'animus è forte e vasto, maggiori saranno le capacità con cui la donna manifesterà le sue idee e il suo lavoro creativo nel mondo esterno in modo concreto.
I mangiatori di peccati. Il corpo di Barbablù viene lasciato ai mangiatori di carogne. Nei tempi antichi esistevano i mangiatori di peccati, che si assumevano i peccati, i rifiuti della comunità. Invece di insultare il predatore della psiche, o di sfuggirgli, lo smembriamo, catturiamo i pensieri irritanti prima che diventino troppo grandi da nuocerci e li smantelliamo, contrapponendogli le verità che ci alimentano. Riprendere l'energia dal predatore e trasformarla in altro.Barbablu è un racconto di ingenuità psichica, ma anche della possente rottura dell'ingiunzione di "apparire".
L'uomo nero. Il sogno dell'uomo nel buio. Nella storia di Barbablu si parla della trasformazione di quattro introiezioni vaghe e indistinte: non avere visione, non avere introspezione, non avere voce, non avere azione. Per bandire il predatore dobbiamo fare il contrario. Dobbiamo spalancare la porta per vedere cosa c'è dentro la stanza. Dobbiamo usare l'introspezione e la capacità di sopportare la visione. Dobbiamo enunciare con voce chiara la nostra verità ed essere capaci di fare quanto è necessario nei confronti di ciò che vediamo.. Per l'ingenua e per la donna dall'istinto leso la cura è la stessa: esercitarsi ad ascoltare l'intuito, porsi domande, essere curiosa, vedere quel che si vede, ascoltare quel che si sente, e poi agire in base a ciò che si sa essere vero. Quando facciamo sogni con l'uomo nero, un potere contrario sta sempre appostato in attesa di aiutarci. La donna selvaggia, che insegna alle donne a non essere "carine" quando si tratta di proteggere la vita dell'anima Essere "dolci" in questi casi fa solo sorridere il predatore. Quando la vita dell'anima è minacciata non soltanto è accettabile tirare una riga, è indispensabile.

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