20 settembre 2007

Bestie

Abito nella zona dove vogliono fare la moschea.
Sento alla radio un breve report della riunione "di cittadini" (più qualche politico che provvedeva a buttare taniche di benzina sul fuoco) che se non ho capito male si è svolta ieri sera in una sala di quartiere. La giornalista dice che la tensione era evidente, che tra i residenti dominava l'atmosfera di preoccupazione e di paura.
Dove risiedono, mi chiedo io, questi residenti? Non lo sanno che ci vivono già tra centinaia di persone musulmane? Non accendono il cervellino per ricordarsi che "nonostante" la presenza di tutti questi musulmani, non succede mai niente di male? anzi, forse la gentilezza, la tranquillità, l'educazione delle tante persone bengalesi che abitano il quartiere alza leggermente il livello...
Non riescono a fare mente locale e a capire che la moschea non servirebbe per organizzare l'arrivo di Bin Laden (che - come sappiamo - deve far saltare in aria San Petronio, dove Maometto viene vilipeso in una affresco, ragione per cui hanno transennato i gradini della grande chiesa, misura efficacissima nel caso un aereo dirottato ci si schiantasse sopra), ma semplicemente permetterebbe di avere un luogo di culto per pregare ai ragazzi che ogni giorno gli vendono la frutta, lo scottexcasa e la sabbia del gatto?

I residenti sono spaventati, dice la giornalista. Quindi racconta che hanno preso la parola vari rappresentanti o politici, che non ho fatto in tempo a memorizzare, e poi Gianfranco Fini - considerato uomo intelligente, preparato, un "avversario" con cui ha senso confrontarsi - e pare abbia detto: "La moschea di 5000 metri quadrati non si deve fare, non faremo mai una moschea neanche di 5 metri quadrati, perché quelle BESTIE devono stare a casa loro!!!"
Ovazione dei presenti.

Poi, naturalmente, tutti hanno precisato che però non sono assolutamente razzisti. Assolutamente.

19 settembre 2007

Cosa vuoi da me?

Stasera ho visto un delizioso concerto. Samuele Bersani è un soggetto davvero particolare.
E' un piacere ascoltarlo: canta in modo sublime, e subito dopo ti disarma di nuovo con le uscite naif, tanto sagge nel contenuto quanto sconclusionate nella forma, con cui presenta le sue canzoni, con un accento romagnolo talmente mostruoso che gli vuoi bene appena apre bocca...
Vale proprio la pena andarlo a sentire, è come uscire con lui e andare a chiacchierare in pizzeria, anche se poi la musica è perfetta.
Ha fatto tutte le mie preferite, e ha chiuso il concerto con questa.


Siamo fatti come le nuvole
che nel cielo si confondono
pronti a scatenare un fulmine
ma ci divide il passaggio di un aereo.
Non so più se credere
agli amici che mi parlano di te.
Sono delle vipere
se mi dicono che adesso stai benissimo.

Cosa vuoi da me? Cosa vuoi da me?

Amore, adesso vestiti,
sto venendo lì a riprenderti
faccio quello che vuoi tu
una stanza senza la tv.
Neanche l'ombra di un telefono
parleremo a un millimetro io e te
saliremo sopra un albero
di quello che faremo, questo è il minimo.

Cosa vuoi da me? Cosa vuoi da me?

Sì lo so che sono stupido,
che bastavano due coccole
Che sei anche un'altra cosa da me
Non un nemico da combattere.
Sì, per me che sono libero
ma c'è anche il lato comico con te
io sarò davvero libero
confondendomi con te nel cielo limpido.

Cosa vuoi da me? Cosa vuoi da me?

Siamo fatti come nuvole
che nel cielo si confondono
fino a quando arriva il vento dell'est
inevitabilmente si dividono.

Cosa vuoi da me? Cosa vuoi da me?

Cosa vuoi dimmi ma che cosa
Io non so cosa cerchi da me,
pensi forse che sia stupido o no?
O addirittura che ho bisogno di te.
Ma ti prego torna subito!

Samuele Bersani, Cosa vuoi da me?, da una canzone dei Waterboys

Non c'è più religione...

ABORTO: LETTERA APERTA DI PAOLO POBBIATI, PRESIDENTE DI AMNESTY INTERNATIONAL ITALIA, AL PRESIDENTE DELLA CEI, ANGELO BAGNASCO.
"MAI DETTO CHE L´ABORTO E´ UN DIRITTO UMANO, DIFENDIAMO LE DONNE CHE HANNO SUBITO VIOLENZA SESSUALE. MAI RICEVUTI NE´ SOLLECITATI FINANZIAMENTI DALLA SANTA SEDE."

"Eminenza,
ieri, in occasione dell´apertura dei lavori del Consiglio episcopale, Ella ha voluto commentare la politica adottata da Amnesty International, lo scorso mese di agosto, su alcuni specifici aspettiriguardanti l´aborto.

A questo proposito mi permetto di fare alcune considerazioni. Nonostante le numerose precisazioni e smentite che siamo stati costretti a fare nell´ultimo mese (e che, peraltro, il quotidiano "Avvenire" ha rifiutato di pubblicare, in spregio al diritto di replica), Ella ha attribuito ad Amnesty International un´affermazione mai fatta: che l´aborto sia stato da noi considerato un diritto umano.

Ieri, Ella ha voluto indicare Amnesty International tra i responsabili di una crisi morale del nostro paese, per il semplice fatto che la nostra associazione, dopo tre anni di ricerca e di missioni in paesi in cui la violenza sulle donne è tanto diffusa ed endemica quanto impunita, ha voluto prendere le difese delle migliaia e migliaia di donne che ogni anno subiscono stupri (sulle nostre strade, durante le guerre così come nei tanti Darfur che hanno luogo tra le mura domestiche) e delle migliaia e migliaia di donne che vanno in carcere o rischiano la pena di morte per aver cercato di interrompere una gravidanza a seguito di violenza sessuale o perché essa mette a rischio la loro vita o quella del nascituro. Donne derise e umiliate, cui viene negata giustizia, che vedonoi loro stupratori girare impuniti, davanti al portone di casa o a un campo profughi.

I resoconti delle nostre missioni in Darfur sono pieni di testimonianze di donne che ci raccontano che preferiscono uscire loro dalle tende, perché se lo fanno gli uomini verranno uccisi dalle squadre della morte sudanesi, mentre loro, le donne, verranno `solo´ stuprate. Insituazioni di guerra, lo stupro è diventato una vera e propria arma di distruzione di massa. Nell´ex Jugoslavia, in Ruanda e in Darfur sono tantissime le donne che sono state violentate sistematicamente perché partorissero un `figlio del nemico´.

Alla violenza devastante dello stupro, queste donne devono aggiungere quella che poi ricevono dalla comunità di origine, che spesso le considera impure o addirittura responsabili di ciò che hanno subito.Vengono isolate, allontanate, picchiate e talora uccise.

In tali condizioni, quali argomenti si possono imporre a una donna che sceglie di non portare avanti una gravidanza frutto di violenza, magari subita da quegli stessi uomini che un attimo prima hanno massacrato, davanti ai suoi occhi, il marito e i figli?

Quella che Le ho descritto è la realtà che molte missioni di ricerca di Amnesty International hanno conosciuto, nel corso della nostra campagna `Mai più violenza sulle donne´. Una realtà che ha portato due milioni di soci a scegliere di prendere una posizione. AmnestyInternational non auspica, non chiede che una donna violentata abortisca, ma se decide di farlo, vogliamo che non sia obbligata a rischiare la propria salute. Chiediamo, inoltre, che non finisca in prigione per averpreso quella decisione.

Amnesty International ha deciso di profondere il massimo impegno per eliminare le condizioni che favoriscono la violenza sessuale nei confronti di centinaia di migliaia di donne ogni anno. Come abbiamo ribadito anche nel corso del nostro Consiglio internazionale, svoltosi ad agosto in Messico, Amnesty International lavorerà per contrastare tutti quei fattori che favoriscono gravidanze indesiderate o che contribuisconoa portare una donna a scegliere di abortire. Questo è il cuore della posizione di Amnesty International, che però non trova menzione nelle Sue parole di ieri né nelle precedenti dichiarazioni di altri autorevolissimi esponenti della Chiesa Cattolica.

Infine, Le sarà probabilmente noto che Amnesty International non ha mai ricevuto, poiché a norma del suo Statuto non potrebbe mai sollecitarli né accettarli, finanziamenti dalla Santa Sede. La `sospensione´ di tali finanziamenti è tuttavia riportata oggi da alcuni organi di stampa, nel contesto delle critiche che Ella ha rivolto alla nostra associazione.

Nel massimo rispetto per il Suo ruolo e per la Sua persona, Le chiedo la disponibilità a lavorare insieme ad Amnesty International perché si pongano in essere tutte le misure necessarie, legislative ma anche di educazione e informazione sulla salute sessuale e riproduttiva, affinché si riducano al massimo i rischi di gravidanze indesiderate e, di conseguenza, si riduca l´incidenza del ricorso all´aborto.

Mi auguro, Eminenza, di ricevere una Sua cortese risposta.

Con i miei più deferenti saluti"

Paolo Pobbiati
Presidente della Sezione Italiana di Amnesty International

FINE DEL COMUNICATO
Roma, 18 settembre 2007

17 settembre 2007

>Lettera per una ragazza coraggiosa. Martedì 18 davanti al Tribunale di Bologna.

La ricevo da un mio amico, Matteo Bortolotti.
io ci sono.

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Ciao a tutti, alle amiche e agli amici. Non vi ruberò troppo tempo e mi scuso in anticipo se di questo messaggio vi arriverà più d'una copia. E' che ci tengo che arrivi a più gente possibile. Agli amici, appunto.

Circa un anno fa una ragazza è stata picchiata, violentata. Con lei, quella sera, c'erano due uomini. Uno era il suo ex-ragazzo, l'altro era un amico di questo ex-ragazzo. Dell'amico, le carte dicono che si tratta di un pregiudicato: si parla di lesioni e spaccio. E in questo caso, sono particolari che contano.

La ragazza è stata trovata per strada, a Bologna, e i poliziotti che l'hanno raccolta da terra hanno detto al giudice Zaccariello che era coperta di sangue e che urlava disperatamente. I due uomini hanno poi abbozzato strane versioni dei fatti, dopo l'arrivo dei rispettivi avvocati, uno di loro ha addirittura dichiarato di non aver visto l'amico quella sera. Alla fine, poi, se l'è rimangiata.
Le famiglie di queste persone, per difenderli dall'accusa di violenza sessuale privata, di gruppo, e di lesioni, hanno organizzato iniziative pubbliche in loro favore. Blog, concerti, qualcuno ha messo in dubbio la consensualità della ragazza... Ma di che consenso parliamo? Per far cosa? Per prendersi delle legnate? All'ospedale Sant'Orsola hanno scritto "evidenti segni di percosse al volto, al tronco e agli arti superiori ed inferiori". Cioè dappertutto.

Insomma, qualcuno qui pensa che si tratti di una guerra mediatica. Qualcuno crede che faccia davvero la differenza come si raccontano le cose, contro la famosa "evidenza dei fatti". Massì, facciamo così... avrà pensato qualcuno: offriamo birra ai passanti e gli diciamo "ehi, questo giro è offerto da tizio n°1 e tizio n°2, che sono brave persone, e non violenterebbero mai nessuno, mai mai, a meno che non glielo chiedessero, s'intende". E la famosa "evidenza dei fatti", dove sta? Sta in un viso tumefatto di donna, è un buco nero nel quale ti gettano gli schiaffi e l'umiliazione.

Be', io mi occupo per mestiere di come si raccontano le cose. E so di per certo che i fatti, stavolta, è davvero difficile rovesciarli con le parole. Perché le parole sono bugie. E se chi li usa non è sincero, allora sono soltanto uno strumento che ti prende per le viscere e ti sbatte da una parte o dall'altra. Funziona per poco, però. Perché il mondo non è sempre stupido come gli stupidi credono che sia. Io vi sfido a trovare parole più forti del corpo di una giovane donna insanguinato.

Volevo parlarvi del coraggio di questa ragazza. Del suo coraggio - che m'ha chiamato ieri, al telefono - e del coraggio della famiglia che le è stata vicino. Dell'intelligenza di queste persone. Volevo parlarvi del pudore - forse insano, velato da qualcosa di molto simile alla timidezza - che ho avuto nei mesi scorsi, restando nell'ombra, facendo sapere a chi di dovere che io c'ero. E lei è qui, adesso. Fuori dal buco nero, e io l'aspettavo.

Mi chiede di non lasciarla sola, e questa richiesta la estende a tutti voi.

Perché all'offesa e all'umiliazione subita un anno fa, allo sfregio dei blog, dei concertini, delle agiografie poggiate sulla faccia di queste persone come maschere di una rivoltante commedia dell'arte, non s'aggiunga più dell'altro. Perché lei e i suoi familiari non vengano abbandonati. I due uomini di cui vi ho parlato sono agli arresti domiciliari, scrive il GIP, per il “sussistente quadro di gravità indiziaria” e per la possibile “reiterabilità del reato”.

Martedì 18 settembre, al tribunale di Bologna (piazza Trento Trieste, 3) ci sarà l'udienza preliminare. Alle 10:00, proprio davanti al tribunale, per far compagnia a questa ragazza tanto coraggiosa, io sarò là.
Ci saranno diverse organizzazioni per la difesa dei diritti delle donne e non solo.
Ci saranno molti amici di questa ragazza.
Smettiamola di dare per scontato che siamo un Paese civile.
Cominciamo a fare il Paese civile.
Vi aspettiamo.

Matteo Bortolotti
http://www.matteobortolotti.it/

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appuntamento confermato e ribadito dalla Rete delle Donne
su http://www.women.it/
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16 settembre 2007

Il dio delle piccole cose

Ieri notte sono andata a dormire incazzata e stanca. Confidavo in un sonno ristoratore, nella notte che porta consiglio e tutte quelle balle lì. Mi sono svegliata stamattina stanca e incazzata più di ieri, avvelenata direi. In cuor mio ho mandato segretamente affanculo tutte le scuole di pensiero positivo, dalla saggezza popolare alla New Age. Come buongiorno non c'è male.

Oggi però devo lavorare, quindi non posso ricorrere alla madre di tutti i rimedi, cioè girarmi dall'altra parte e rimettermi a dormire, così cerco di non lasciarmi andare e di dare una parvenza di efficienza alla mia giornata (ci provo ogni volta, deve essere per questo che poi mi ritrovo incazzata e stanca). Perciò ingerisco una serie di integratori bio-psico-linfo-gastro-utero-coadiuvanti, benefici e naturali - operazione che lì per lì non genera altro effetto che quello di farmi sentire una tossica stile Joan Collins subito prima di scolarsi il suo primo margarita della giornata e andare a sposare l'undicesimo marito - e, per pareggiare, scendo a buttare la spazzatura, operazione che sono certa Joan Collins non fa. Devo ricaricare il cellulare, ma mi accorgo che ho lasciato su in casa il bancomat. Inanello una serie di pensieri molto molto negativi, che non sto qui a riportare.

Mi guardo intorno alla ricerca di qualcosa che sono praticamente certa di non trovare, ma, si sa, la speranza è l'ultima corda a cui ti impicchi. Bar chiusi, edicola chiusa. Nella mia città è così. La domenica mattina Bologna sembra il set di una puntata di "Ai confini della realtà", di quelle in cui il protagonista si aggira stravolto per le strade accorgendosi con terrore che la gente è immobile col braccio in aria e gli orologi sono fermi.
Tento l'ultima carta: il "bar dei vecchi" sotto al Casalone. Lo chiamo così, con un filo di spocchia che non dovrei permettermi, per via della sua frequentazione pressoché esclusiva da parte di persone di sesso maschile, quasi tutte anziane, decise a non farsi fregare dalla solitudine. Non più tardi di ieri sono passata davanti a un mega-torneo di carte all'aperto che metteva allegria solo a guardarlo.

Il bar dei vecchi è un bar di quelli veri. Non un lounge-bar, o un wine-bar. Niente happy hours, niente aperitivi trendy. E' un bar-bar. Un bar di quelli di una volta, con i clienti fissi, con le luisone che ti guardano da dietro il vetro con gli occhietti di uva passa leggermente in apprensione, fingendo indifferenza. (Per chi non ha mai letto Benni, la luisona è una brioche che a forza di stare lì ha cominciato a vivere di vita propria e, proprio perché è viva, è dotata come tutti gli esseri viventi dell'istinto di sopravvivenza, per cui riesce giorno dopo giorno a sottrarsi alle mani che si allungano sotto la teca trasparente per afferrarla.)
Fa degli orari assurdi che non ho mai capito, il bar dei vecchi: riesce a rimanere aperto più a lungo e in giornate più improbabili perfino dei negozietti dei bengalesi. Mi avvicino attraverso il prato, una bicicletta con il giornale stretto nella molla, appoggiata all'albero di fronte, mi incoraggia. E infatti è aperto, e dentro già molto animato anche se sono solo le otto e mezza di domenica mattina.
Ringrazio tra me e me il dio delle piccole cose e chiedo un caffé alla signora che praticamente vive dietro quel bancone. Mi affianca un omarello baffuto, "Fanne uno anche a me, Ivonne!". Dice proprio così, I-V-O-N-N-E, pronunciando tutte le lettere.

Finalmente so come si chiama. La signora Yvonne ha il viso sfatto di chi da tempo immemorabile comincia a lavorare quando gli altri ancora dormono, il corpo sformato abbracciato con comprensione da un vestito di maglia nero, ma è truccata con cura e ha la messa in piega a tenere alto il morale dei suoi capelli, che si intuiscono bianchi sotto la tinta biondo-Grano Dorato ("perché io valgo"). Yvonne ha la voce profonda e roca di chi ha passato una vita a sgolarsi in una stanza rumorosa e densa di fumo, e lo sguardo di un mercenario che è andato e tornato dalla Legione Straniera. Mi sono interrogata spesso su quello sguardo e sulla vita che custodisce.
Lei si volta e mette sotto alla macchina del caffé due tazzine di vetro, una per me e una per l'omarello baffuto. Poi, ancora appoggiata alla manopola, mentre il caffé diligentemente scende, con un gesto stanco gira giusto il viso verso di me e mi allarga un sorriso, lento e sincero.

Rispondo al suo sorriso, bevo, pago. Prendo da portare via anche una brioche salata, che, come al solito, non sa di niente - deve trattarsi di una forma di mimetismo, come quegli insetti che assumono il colore di un rametto o di un sasso perché non hanno nessun altro modo di difendersi dai loro predatori. Saluto la signora Yvonne e, fendendo la piccola folla canuta e vociante che discute, ride e fuma sulle seggioline di plastica all'esterno, mi avvio verso casa per cominciare la giornata, meno incazzata e meno stanca.

15 settembre 2007

Darwin e il vino rosso

Stasera tornando a casa in bicicletta, mentre cercavo di salvare le piume nel buio nottoso tra automobili sfreccianti e offensive, mi sono ritrovata a meditare sui seguenti quesiti marzulli (aiutata molto, devo ammettere, da tre o quattro bicchieri di vino rosso siciliano contro tutte le mafie):

nella vita è più intelligente adattarsi o non adattarsi?

fino a che punto l'identità è una bussola e quando invece diventa un intralcio?

quello che sono davvero coincide necessariamente con ciò che sono sempre stato? e ciò che sono sempre stato è qualcosa che mi aiuta a non impazzire o è proprio quello che mi farà impazzire?

bisogna essere duri senza perdere la tenerezza?

dove finisce darwin e comincia emilio fede? o emilio fede è un perfetto esempio di adattamento darwiniano?


io... delle volte ho deciso di adattarmi, delle volte no. di alcune di quelle volte-no sono anche molto fiera, anche se le conseguenze sono state pesanti. ma non c'è merito, almeno nel mio caso non tanto: forse, in realtà, quando non ci si adatta è più che altro perché non si può proprio fare diversamente.

su altre volte-no e volte-sì, invece, mi tormentano grandi rimorsi e rimpianti, inutili come solo i rimorsi e i rimpianti sanno essere.

allora? è più intelligente adattarsi o non adattarsi?
come sempre dipende, ovviamente... e purtroppo. purtroppo, sì, perché - ho concluso - la cosa veramente difficile della vita è prendere definitivamente atto del fatto che non ci sono regole assolute e definitive, e non impazzire.

rimandata a domani ogni altra considerazione più articolata sull'argomento, lunga vita al vino rosso contro tutte le mafie.



Tata


mi abuela
ha trascorso
gli ultimi venticinque anni
in questo grande magazzino
chiamato america
Ha ottantacinque anni
e non conosce
una parola d'inglese

Quando si dice l'intelligenza



nonna: Pedro Pietri, da "Scarafaggi metropolitani e altre poesie"
vino: www.liberaterra.it

13 settembre 2007

Non un sorriso, ma

Poco fa,
all'improvviso,
ho visto sul mio viso
non un sorriso
ma
la sua possibilità.
Speriamo bene, chissà.