28 dicembre 2006

Ciò che la primavera fa con i ciliegi












In questa bella foto (se riesco a ricostruirlo indicherò anche da dove l'ho scaricata) si legge in portoghese il verso finale di una famosa poesia di Neruda "Juegas todos los dias":
(...)
Quiero hacer contigo
lo que la primavera hace con los cerezos.

>Crónica de la náusea

Sin pena ni gloria
José Augusto Ramón Pinochet Ugarte, alias Ramón Ugarte, alias José Pinochet, alias Míster Escudero, alias J.A. Ugarte, sólo para citar algunos de los muchos alias empleados para abrir millonarias cuentas en bancos de Estados Unidos, Islas Jersey, Gran Caimán, Suiza y Hong Kong, murió sin pena ni gloria, tal como vivió sus 91 años de sujeto miserable y ruin cuyos únicos talentos conocidos fueron traicionar, mentir y robar.
[...]

Títere al servicio de Estados Unidos

El 11 de septiembre de 1973 Pinochet traicionó el juramento de fidelidad a la Constitución y, a última hora –los cobardes suelen ser indecisos–, se plegó al golpe de Estado planificado, financiado y dirigido por Henry Kissinger (premio Nobel de La Paz), a la sazón secretario de Estado del presidente Richard Nixon.
[...]


Crónica de la náusea
La ceremonia fúnebre del viejo punga que ensombreció la historia de Chile durante dieciséis años fue algo más que patética; fue una desvergonzada exhibición de un fascismo todavía latente en un sector de la sociedad chilena, un sector que odia cualquier expresión democrática, un puñado de cretinos que son ni más ni menos que la cultura de la muerte instaurada por el dictador y sus cómplices civiles y religiosos.
[...]

Fue el día de la náusea, y ahora sólo queda esperar que las brisas justicieras del Pacífico alejen el hedor de esa carroña que recibió los honores de sus cómplices.
Gijón, 12 de diciembre de 2006

* Luis Sepúlveda es escritor, adherente de ATTAC y colaborador de Le Monde Diplomatique

Leggete gli articoli interi di Sepúlveda sul suo blog
http://www.lemondediplomatique.cl/-Luis-Sepulveda-.html

27 dicembre 2006

Sulle intenzioni



- Mi dispiace tanto, sai, di averti dato un pugno...
- Uh, grazie, adesso l'occhio mi fa molto meno male!

>La reina

















Yo te he nombrado reina.
Hay más altas que tú, más altas.
Hay más puras que tú, más puras.
Hay más bellas que tú, hay más bellas.

Pero tú eres la reina.

Cuando vas por la calles
nadie te reconoce.
Nadie ve tu corona de cristal, nadie mira
la alfombra de oro rojo
que pisas donde pasas,
la alfombra que no esiste.

Y cuando asomas
suenan todos los ríos
en mi cuerpo, sacuden
el cielo las campanas,
y un himno llena el mundo.

Solo tú y yo,
solo tú y yo, amor mío,
lo escuchamos.

Pablo Neruda, La reina, da "Los versos del capitán".

Nodi

"E' bello essere noi due e basta," dice Maria con la bocca piena. Abbiamo fatto gli occhi per il buio, basta una candela di luce che viene da fuori, ci siamo messi una coperta sulle spalle e mangiamo i biscotti alla mandorla, tanti ne ha fatti e tanti ce ne mangiamo, non avanza niente. "La prossima volta faccio la crostata," dice, intanto da una casa vicina comincia una canzone di zampognari, una famiglia li ha chiamati a fare un poco di musica, a noi arriva chiara, in quella casa dev'essere potente da proteggersi le orecchie. Teniamo pure la banda stasera, le metto un braccio sulla spalla, ci tiriamo la coperta sulla testa, ci strofiniamo le bocche unte, ci lecchiamo come i gatti. Più tardi ci mettiamo nel letto, quello piccolo mio del ripostiglio, ci addormentiamo intrecciati che se uno si sveglia deve svegliare pure l'altro per sciogliersi. I nostri corpi alleati fanno i nodi.

Erri De Luca, Montedidio, Feltrinelli 2001.

21 dicembre 2006

Mettete dei cannoni nei vostri fiori...





















Vi prego, parliamone...


Proposta (mettete dei fiori nei vostri cannoni)

Mettete dei fiori nei vostri cannoni
era scritto in un cartello
sulla schiena di ragazzi
che senza conoscersi,
di città diverse,
socialmente differenti
in giro per le strade della loro città
cantavano
la loro proposta,
ora pare ci sarà un'inchiesta
tu come ti chiami?
Sei molto giovane
Me ciami Brambilla e fu l'uperari
lavori la ghisa per pochi denari
e non ho in tasca mai
la lira
per poter fare un ballo con lei
mi piace il lavoro,
ma non son contento
non è per i soldi che io mi lamento,
ma per questa gioventù
c'avrei giurato che mi avrebbe dato di più

Anche tu sei molto giovane, quanti anni hai?
E di che cosa non sei soddisfatto?
Ho quasi vent'anni e vendo giornali
girando quartieri fra povera gente
che vive come me,
che sogna come me
sono un pittore che non vende quadri
dipingo soltanto l'amore che vedo
e alla società non chiedo
che la mia libertà

E tu chi sei? Non mi pare che abbia di che lamentarti...
La mia famiglia è di gente bene
con mamma non parlo,
col vecchio nemmeno
lui mette le mie camicie
e poi critica se vesto così
guadagno la vita lontano da casa
perché ho rinunciato ad un posto tranquillo
ora mi dite che ho degli impegni
che gli altri han preso per me

Mettete dei fiori nei vostri cannoni
perché non vogliamo mai nel cielo
molecole malate,
ma note musicali
che formano gli accordi
per una ballata di pace,
di pace, di pace


I Giganti, 1964
Testo di Enrico Maria Papes
Musica di Enrico Maria Papes e Sergio Di Martino


grazie a Canzoni contro la guerra http://www.prato.linux.it/~lmasetti/antiwarsongs/

20 dicembre 2006

Uno, dieci, cento cremini

Io sono nato negli anni Sessanta. Pure Nicola è nato negli anni Sessanta.

E una sera che era alla fine del mese di marzo, in cima alla terrazza Nicola si mette a parlare proprio degli anni Sessanta. Mi dice che "io ero ragazzino nei favolosi anni Sessanta. Mio padre all'inizio dell'estate mi portava a comprare il gelato. Mi dava il cremino Algida. Appena comprato io lo scartavo e mica mi ricordavo se mi piaceva. Poi l'assaggiavo e era buono. Il cremino Algida lo puoi mozzicare o leccare e è buono lo stesso. Io pensavo che me ne volevo mangiare un altro appena finivo quello. Ma mio padre non me li comprava due cremini. E pure se me li comprava io pensavo che me ne mangiavo un altro ancora. E poi altri dieci, cinquanta... E io pensavo che un bambino è contento solo quando mangia centro cremini Algida. Mi guardavo il mio cremino mozzicato e mi sembrava un'offesa che ce ne avevo uno solo. Perché un cremino non è niente in confronto a cento cremini. Così dopo un mozzico mi veniva rabbia e lo buttavo nel secchio. E mio padre diceva "che schifo gli anni Sessanta. In tempo di guerra mangiavamo le cocce delle patate e invece adesso i ragazzini buttano i cremini Algida. Adesso per tutta l'estate non te ne compro più di gelati!" E io mi pensavo che mio padre mi dava solo un cremino in tutta l'estate... figuriamoci se me ne poteva comprare cento in un giorno solo. Così mi sforzavo di non pensare più che esisteva il cremino.

Intanto arrivava l'autunno e lui mi regalava un cartoccio di castagne, le callarroste. Io ne prendevo una e non mi ricordavo manco se mi piacevano. Poi l'assaggiavo e era buona. E non capivo come era possibile che di una cosa tanto buona m'ero scordato il sapore. Così sentivo che un cartoccio non mi poteva bastare. Ne volevo di più. Me ne sarei mangiati due cartocci, e poi tre, e poi dieci. E io pensavo che un bambino è contento solo quando mangia cento cartocci di callarroste, ma è sicuro che mio padre non me li comprava. Mi guardavo il cartoccio e mi sembrava un'offesa che ce ne avevo uno solo. Dopo la prima castagna buttavo tutto al secchio. E mio padre diceva "che schifo gli anni Sessanta. In tempo di guerra ci mangiavamo le castagne crude co' tutta la coccia, il riccio e pure l'albero e il contadino che zappa la terra... se ci avevamo fame! Adesso fino a Natale non te ne compro più!" E io mi pensavo che mio padre mi dava solo un cartoccio di castagne fino a Natale, figuriamoci se me ne poteva comprare cento in un giorno solo. E cercavo di scordarmi pure le callarroste. Poi arrivava il Natale... "

Ascanio Celestini, La pecora nera, Einaudi 2006.

18 dicembre 2006

BelloBellissimo Lemon Lemon

E' notte. Il mal di testa è una nuvola dura che si espande da dentro, si gonfia contro le bozze frontali, mi spinge fuori le ossa. Ho in bocca un sapore che avevo sentito solo nell'alito dei vecchi. Ho fatto una riunione di 16 ore. Quanti anni ho? Ha senso?
Questa dev'essere la famosa vita di cui sentivo parlare gli adulti: ci siamo staccati dalle alghe, ci siamo distinti dai rettili, abbiamo acquisito forma di mammifero, voluto il fuoco, lavorato i metalli, piegato la materia, usato la natura per arrivare discutere 16 ore di un detersivo. Sono sostenuto da una forza che non è mia. Sono i nomi e i prezzi di mille prodotti a tenermi insieme, milioni di scatole colorate, tonnellaggi insigni di maionese e ammorbidente, tubi, bottiglie, vasetti, ricariche cartonate, una legione di oggetti decorati da infiniti codici a barre, confezioni e confezioni con apertura facile e tappo intelligente che studiano percorsi per scavarsi una strada, un camminamento che porti diritto dagli scaffali dei magazzini di stoccaggio alle dispense delle singole case, erodendo e raschiando nel passaggio monete e valori di scambio dai consumatori che incontrano lungo il tragitto. Vendere pena l'annientamento, requie solo dopo la stipulazione del contratto. Ci dev'essere una ragione se nella nostra lingua basta spostare una erre e CartaSì diventa catarsi.

Walter Fontana, L'uomo di marketing e la variante limone, Tascabili Bompiani 1995.

17 dicembre 2006

Un altro che avvisa

Col buio Maria sale ai lavatoi, non mi tocca, non mi chiama il piscitiello fuori dalla pelle. Ha detto basta al padrone di casa, quello l'ha presa male, ha fatto minaccia dello sfratto, i genitori di Maria gli devono le mensilità arretrate. Maria gli ha sputato davanti ai piedi e se n'è andata. Butta fuori il coraggio, è femmina appuntita e già conosce lo schifo. E' finita la commedia, dice, che lui la chiama principessa, la fa vestire coi panni della moglie morta, le mette le cose preziose e poi la tocca e si fa toccare, ora lei non vuole più perché ci sto io. Ci sto io: tutt'insieme divento importante. Finora la mia presenza, c'era o non c'era, non spostava niente. Maria dice che io ci sto e così ecco qua me ne accorgo pur'io che ci sto. Mi chiedo da solo: non me ne potevo accorgere per conto mio di esserci? Pare di no. Pare che ci vuole un'altra persona che avvisa.

Erri De Luca, Montedidio, Feltrinelli 2001.

15 dicembre 2006

niente panico















ogni tanto mi sento mancare la terra sotto i piedi e la sensazione di cadere nel vuoto può essere terrificante. bisogna essere in grado di riportare le cose nelle loro giuste proporzioni. a saperle.

Nel vero bacio

Il papà di Gigi Bettella ci permetteva di giocare nel cortile. Lì facevamo le nostre gimcane con la bici, le corse a ostacoli e usavamo i canestri per le nostre gare di sputo.
Un pomeriggio ci presentammo con le biciclette davanti al cancello pronti per una gimcana, ma era chiuso. Suonammo ripetutamente il campanello, ma Gigi non apriva. Per una settimana intera non diede segno di vita. Poi, finalmente, un giorno ricomparve.
"Finalmente! Cos'è successo? Sei stato malato?"
Gigi non rispondeva, aveva sulla faccia un sorriso ebete che non esitava a mostrare.
"Gigi, sei stato male?"
Dopo aver deglutito disse soltanto: "Una roba da non credere".
"Ma cosa?"
Come un ubriaco che ha appena smaltito la sbornia, Gigi ci descrisse il suo primo bacio con la Titti Valpiana. Più andava avanti e più si leggeva nei suoi occhi un'estasi ancora presente. "Me trema ancora 'e gambe", ripeteva. Poi passò ai dettagli spiegando che in un bacio, nel vero bacio, si apre la bocca, le labbra si appoggiano e poi si chiudono gli occhi (ma lui li aveva tenuti aperti, perché non gli sembrava vero e voleva sincerarsi che fosse proprio la Titti) e infine le due lingue si sfiorano.
"Che schifo!" urlò Gianni Mussolin. E cominciò a sputare per terra e ad asciugarsi la bocca con il fazzoletto; Bedin piccolo fece una smorfia di disgusto, mentre Tega guardò Gigi come se avesse visto un disco volante.
"Ma sul serio?"
A quel punto Gigi si fece scuro in volto, si guardò attorno e scandì: "Tosi, parlo sul serio!".


Roberto Citran, Ciao Nudo!, Gallucci 2004.

14 dicembre 2006

Cultivo una rosa blanca




Tina Modotti, Roses, México 1924-25.


L'11 gennaio è il compleanno del carcere speciale di Guantanamo. Facciamoci un regalo: facciamolo chiudere.

Yo soy un hombre sincero
de donde crece la palma
y antes morir me quiero
echar mi versos del alma.
Guantanamera, guajira guantanamera

My verso es de un verde claro
y de un carmín encendido,
my verso es un cervo herido
que busca en el monte amparo.
Guantanamera, guajira guantanamera

Cultivo una rosa blanca,
en julio come en enero
para el amigo sincero
que me da su mano franca.
Guantanamera, guajira guantanamera

Y para el cruel que me arranca
el corazón con que vivo,
cardos ni ortigas cultivo:
cultivo la rosa blanca.
Guantanamera, guajira guantanamera

Yo sé de un pensar profundo
entres la pena sin nombre:
la esclavitud de los hombres
es la gran pena del mundo.
Guantanamera, guajira guantanamera

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Guantanamera
(Da Wikipedia, l'enciclopedia libera) - Guantanamera è il titolo di una famosissima canzone patriottica cubana che risale al XIX secolo. Vanta innumerevoli versioni e strofe diverse ed è spesso stata cantata da singoli e gruppi; quella probabilmente più nota, è stata cantata da personaggi come Joan Baez e Pete Seeger. Il personaggio della "guajira guantanamera" altro non è che una "contadina di Guantanamo", alla quale il poeta/cantante si rivolge. La canzone è basata sulla poesia Versos sencillos composta da José Martí nel 1891, adattata da Julián Orbón nel 1949. La musica è stata composta da José Fernández Díaz.

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Guantanamera: testo da www.ildeposito.org canti di protesta politica e sociale, storia da http://it.wikipedia.org/wiki/Guantanamera

Volver

Volver
Tango
1935


Música:

Carlos Gardel

Letra:
Alfredo Le Pera

Yo adivino el parpadeo
de las luces que a lo lejos, van marcando mi retorno.
Son las mismas que alumbraron,
con sus pálidos reflejos,
hondas horas de dolor.
Y aunque no quise el regreso,
siempre se vuelve al primer amor.

La quieta calle donde el eco dijo:
"Tuya es su vida, tuyo es su querer",
bajo el burlón mirar de las estrellas
que con indiferencia hoy me ven volver.

Volver, con la frente marchita,
las nieves del tiempo
platearon mi sien.
Sentir, que es un soplo la vida,
que veinte años no es nada,
que febril la mirada
errante en las sombras
te busca y te nombra. Vivir,
con el alma aferrada
a un dulce recuerdo,
que lloro otra vez.

Tengo miedo del encuentro
con el pasado que vuelve
a enfrentarse con mi vida.

Tengo miedo de las noches
que, pobladas de recuerdos,
encadenan mi soñar.

Pero el viajero que huye,
tarde o temprano detiene su andar.
Y aunque el olvido
que todo destruye,
haya matado mi vieja ilusión,
guarda escondida una esperanza humilde,
que es toda la fortuna de mi corazón.

Volver, con la frente marchita,
las nieves del tiempo
platearon mi sien.
Sentir, que es un soplo la vida,
que veinte años no es nada,
que febril la mirada
errante en las sombras
te busca y te nombra. Vivir,
con el alma aferrada
a un dulce recuerdo,
que lloro otra vez.


Es la canción que canta el personaje que encarna Penélope Cruz en la película de Pedro Almodóvar, Volver. No tengo palabras para definir la secuencia y mucho menos para la letra de la canción, solo decir que emocionan...

13 dicembre 2006

Marzullando (poco poco, piano piano, come piace a noi)

Buonanotte, amici della notte.

Ma la vita è sogno o i sogni aiutano a vivere?

No, decisamente la vita non è sogno. è fatica, amarezza, delusione, dolore, lacrime, sangue, sudore e cacca, ma sì, i sogni aiutano a vivere, se sai distinguere i sogni buoni dai cattivi sogni.
I sogni buoni, come angeli custodi, ci tengono stretti per mano ricordandoci chi siamo, ci appoggiano leggeri tra le scapole un paio d'ali per volare sulla fatica, l'amarezza, la delusione, il dolore, le lacrime e il sangue, il sudore e tutta quella dannata cacca, e ci nutrono per darci la forza di battere le ali ancora, ancora e ancora. quando i sogni buoni si avverano, allora cominciamo ad esistere.
ma se ci prendono i cattivi sogni, come amici invidiosi, ci incantano ricordandoci ogni momento chi vorremmo essere, e lentamente ci sottraggono alla vita, divorano i nostri occhi come parassiti rendendoci ciechi e relegandoci in un mondo irreale. i cattivi sogni si nutrono di noi, come vampiri. quando si avverano i cattivi sogni, noi non esistiamo più.


Buonanotte, amici della notte.

Oh, Dio! Io potrei viver confinato
in un guscio di noce, e tuttavia
sentirmi il re dell'universo
infinito, se non facessi cattivi sogni.


William Shakespeare, Amleto, Atto II.
















foto dubbi amletici da http://www.hamlettheclown.com/shows.html

Il cubo

"Lei ha una bella calligrafia, tenente. Ma sa che questi versi non sono suoi.", dissi restituendogli il quaderno.
Lo vidi tremare. Quel tipo aveva addosso abbastanza armi da ammazzarmi varie volte, e se non voleva sporcarsi l'uniforme poteva ordinare a qualcun altro di farlo. Tremando di rabbia si alzò in piedi, gettò per terra tutto ciò che c'era sulla scrivania e gridò:
"Nel cubo per tre settimane, ma prima passi dal pedicure, sovversivo di merda!"
Il pedicure era un civile, un latifondista a cui la riforma agraria aveva espropriato varie migliaia di ettari, che si vendicava partecipando come volontario agli interrogatori. La sua specialità era sollevare le unghie dei piedi, il che provocava terribili infezioni.

Conoscevo il cubo. I miei primi sei mesi di prigionia erano stati di isolamento totale nel cubo, un abitacolo sotterraneo che misurava un metro e cinquanta di lunghezza, e altrettanto di larghezza e di altezza. Un tempo, nel carcere di Temuco c'era una conceria e il cubo serviva a immagazzinare il grasso. Le pareti di cemento ne portavano ancora il fetore, ma nel giro di una settimana i propri escrementi si incaricavano di rendere il cubo un luogo molto intimo.
Soltanto mettendosi in diagonale era possibile allungare il corpo, ma le basse temperature del sud del Cile, l'acqua piovana e l'urina dei soldati spingevano ad abbracciarsi le gambe e a rimanere così, desiderando di essere sempre più piccolo fino a poter abitare una di quelle isole di merda che galleggiavano qua e là suggerendo vacanze da sogno. Tre settimane vi rimasi, raccontandomi film di Stanlio e Ollio, ricordando parola per parola romanzi di Salgari, Stevenson e London, giocando lunghe partite a scacchi e leccandomi le dita dei piedi per proteggerle dalle infezioni. Nel cubo giurai e spergiurai che non mi sarei mai dedicato alla critica letteraria.

Un giorno di giugno del 1976 finì il viaggio da nessuna parte. Grazie alle pratiche di Amnesty International uscii dal carcere, e, anche se rapato e con venti chili di meno mi riempii i polmoni dell'aria densa di una libertà limitata dalla paura di perderla nuovamente.
Molti dei compagni rimasti dentro furono assassinati dai militari. Per me è fonte di grande orgoglio sapere che non dimentico né perdono i loro carnefici.

Luis Sepulveda, La frontiera scomparsa, Guanda 1994.


articoli e commenti di Sepulveda sul suo blog:
http://www.lemondediplomatique.cl/-Luis-Sepulveda-.html
http://www.lemondediplomatique.cl/Los-micro-infartos-del-tirano.html

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Comunicato stampa 132-2006: 11/12/2006
Cile: commento di Amnesty International sulla morte di Augusto Pinochet

La morte di Augusto Pinochet, per una amara coincidenza avvenuta nella Giornata internazionale dei diritti umani, costituisce un potente monito sulla necessità di una giustizia rapida e incisiva nei casi che riguardano violazioni dei diritti umani. In tutta l'America Latina, decine e decine di ex militari, responsabili di decine di migliaia di casi di “sparizioni”, uccisioni e torture continuano a vivere in esilio e a godere di un'impunità totale. I governi devono comprendere che ritardare la giustizia può spesso significare negare la giustizia alle vittime.La morte di Pinochet non deve chiudere il capitolo più nero della storia cilena, contrassegnato da gravi violazioni dei diritti umani e dall'impunità.

Il governo deve assicurare che tutti i responsabili delle violazioni dei diritti umani commesse sotto il regime di Pinochet siano portati di fronte alla giustizia. Deve inoltre annullare la legge d'amnistia (Decreto legge 2191), emanata sotto il regime di Pinochet, che ha finora protetto i responsabili di violazioni dei diritti umani.

Ultimamente, Pinochet aveva riconosciuto la propria "responsabilità politica" per quello che è accaduto sotto il suo regime. Si tratta di un'ammissione vaga, che non ha peso legale e non ha particolari implicazioni per la ricerca di giustizia che è dovuta da oltre 30 anni alle vittime.


Ulteriori informazioni

Augusto Pinochet ha governato in Cile dal 1973 al 1990, dopo aver estromesso con un colpo di Stato il governo del presidente Salvador Allende.Sotto il suo regime sono stati denunciati migliaia di casi di violazioni dei diritti umani. Secondo il rapporto della Commissione Rettig (la Commissione per la verità e la riconciliazione), reso noto nel 1991, 3196 persone morirono a causa della violenza politica durante il suo regime. Di esse, 1185 rimangono tuttora "scomparse".
Lo Stadio nazionale e Villa Grimaldi, dove l'attuale presidente Michelle Bachelet e sua madre vennero detenute nel 1975, furono i centri di prigionia più usati dal regime di Pinochet. Villa Grimaldi è ora stata trasformata in un centro alla memoria. Dal 1988, Augusto Pinochet era stato accusato di numerosi casi di violazioni dei diritti umani ma i procedimenti si sono scontrati con ostacoli legali, soprattutto l'impunità di cui egli godeva come ex presidente e senatore e le sue condizioni di salute. I suoi avvocati hanno sempre sostenuto che non era in grado di prendere parte a un processo. Pinochet, era sotto accusa nel contesto di un'inchiesta di natura finanziaria (il caso Riggs) e di cinque inchieste riguardanti i diritti umani: il centro di detenzione di Villa Grimaldi, l'Operazione Colombo, l'Operazione Condor, la Carovana della morte e il caso Prats.

FINE DEL COMUNCATO Roma, 11 dicembre 2006

Sul web: http://news.amnesty.org/pages/Pinochet_timeline

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12 dicembre 2006

Come un altare di sabbia
























La costruzione di un amore
spezza le vene delle mani
mescola il sangue col sudore
se te ne rimane

La costruzione di un amore
non ripaga del dolore
è come un altare di sabbia
in riva al mare

La costruzione del mio amore
mi piace guardarla salire
come un grattacielo di cento piani
o come un girasole

ed io ci metto l'esperienza
come su un albero di Natale
come un regalo ad una sposa
un qualcosa che sta lí
e che non fa male

E ad ogni piano c'è un sorriso
per ogni inverno da passare
ad ogni piano un Paradiso
da consumare

dietro una porta un po' d'amore
per quando non ci sarà tempo di fare l'amore
per quando vorrai buttare via
la mia sola fotografia

E intanto guardo questo amore
che si fa più vicino al cielo
come se dopo tanto amore
bastasse ancora il cielo

e sono qui e mi meraviglia
tanto da mordermi le braccia
ma no, son proprio io
lo specchio ha la mia faccia

sono io che guardo questo amore
che si fa più vicino al cielo
come se dopo l'orizzonte
ci fosse ancora cielo

e tutto ciò mi meraviglia
tanto che se finisse adesso
lo so io chiederei
che mi crollasse addosso

E la fortuna di un amore
come lo so che può cambiare
dopo si dice l'ho fatto per fare
ma era per non morire

si dice che bello tornare alla vita
che mi era sembrata finita
che bello tornare a vedere
e quel che è peggio è che è tutto vero
perché
La costruzione di un amore
spezza le vene delle mani
mescola il sangue col sudore
se te ne rimane

la costruzione di un amore
non ripaga del dolore
è come un altare di sabbia
in riva al mare

E intanto guardo questo amore
che si fa più vicino al cielo
come se dopo tanto amore
bastasse ancora il cielo

e sono qui e mi meraviglia
tanto da mordermi le braccia
ma no, son proprio io
lo specchio ha la mia faccia

sono io che guardo questo amore
che si fa grande come il cielo
come se dopo l'orizzonte
ci fosse ancora cielo

e tutto ciò mi meraviglia
tanto che se finisse adesso
lo so io chiederei
che mi crollasse addosso

sì.

Ivano Fossati, La costruzione di un amore, da La Pianta Del Tè - CBS 1988

07 dicembre 2006

"Muoio ogni giorno"

Prova a ripetere questa frase ad alta voce: "Muoio ogni giorno". E' una delle formule augurali che ci piacciono di più. Tu che ne pensi?
Adesso pronunciala con un tono di voce diverso. Intonala sulla melodia di Stella stellina, o imitando la voce del cartone animato che ti piaceva di più quand'eri piccolo. Ripetila dieci volte di fila, oppure fai altri esperimenti vocali.

Poi medita su questi interrogativi.
Quale parte di te dovrai uccidere per accedere alla bellezza che ora ti è preclusa? Quali trucchetti da quattro soldi ti rendono cieco alle benedizioni che la vita vorrebbe regalarti? Quali delle teorie che in passato si sono rivelate utili, o forse addirittura brillanti, oggi ti impediscono di accorgerti della fresca creazione che ogni giorno sboccia davanti ai tuoi occhi?

"Muoio ogni giorno" significa che non basta sopprimere le tue abitudini mentali una volta sola: il prezzo del biglietto per la pronoia è una morte continua. Non dovrai mai smettere di farti domande brutali e prenderti a calci nel culo. L'idea di bellezza, verità, amore, bontà, giustizia e liberazione che abbiamo oggi, domani potrebbe essere già superata. Per stare al passo con l'ultima versione dovrai immergerti regolarmente nelle acque del caos.
La tua relazione con la pronoia dovrà tradursi in una improvvisazione senza fine.

Bob Brezsny, la pronoia è l'antidoto alla paranoia - 888 metodi per diventare selvaggiamente felici, Rizzoli 2005.