04 dicembre 2007

Binario

La roba da mangiare è arrivata presto ed era come il cibo che si trova negli aeroporti, dappertutto: nessuno è riuscito a mangiarla. Mikey ha attaccato di gran lena il piatto di patatine fritte, ma dopo un terzo ci ha rinunciato e ha cercato di darle alle fiamme; non ha funzionato, erano già bruciate.
Così abbiamo finito e siamo tornati in auto con tutti i bagagli e la macchina fotografica; abbiamo caricato tutto, siamo saliti e siamo andati in stazione, con Carl che ci ha accompagnato e noi che gli abbiamo portato via ancora un po' del suo tempo, con Waltraut tanto comprensiva e Mickey che aspettava il suo turno per mettere alla prova l'universo. Avere simili amici significa essere strappati per sempre alle fauci dello squalo e rende le piccole cose degli esseri umani ancora più miracolose delle cattedrali morte.
Così sul marciapiede dove partiva il treno avevamo marchi, franchi e dollari, abbiamo aspettato e Carl ha detto: "Telefonerò a Barbet l'ora del vostro arrivo a Parigi. E se non lo troverò cercherò di avvertire Rodin o Jardin".
"Grazie, Carl..."
Aspettando abbiamo scattato qualche foto e poi ci siamo salutati e siamo saliti, e abbiamo anche fatto i saluti dal finestrino mentre il treno partiva. Se ti importa di qualcuno, questo è uno degli avvenimenti più tristi della vita e degli esseri viventi, e il trucco migliore è fingere di essere annoiati, altrimenti può diventare imbarazzante, e poi il treno non si ferma né inverte la rotta, non là comunque, e quindi è un po' come morire lentamente, per niente bello, è meglio entrare nello scompartimento e sedersi a cercare carte geografiche e sigarette, a controllare che i bagagli non ci cadano in testa, a vedere se i braccioli si possono piegare in modo da potersi allungare, a controllare il passaporto e la stitichezza, poi pensare a come e quando riuscire a conquistarsi il primo drink.

Charles Bukowski, da Shakespeare non l'ha mai fatto, Feltrinelli 1996.

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