25 gennaio 2009

Una parola tutta per sé

Zdena ricominciò a infilare il cioccolato nella tasca di CKZ 114.
Non la picchiava quasi più. E' molto difficile accanirsi su una persona quando sai come si chiama.
Pannonique era diventata ancora più bella da quando aveva rivelato il suo nome. Quel gesto eclatante aveva accresciuto il suo splendore. E poi, si è sempre più belli quando si viene definiti da un termine, quando si ha una parola tutta per sé. Il linguaggio ha più a che fare con l'estetica che con la pratica. Se volendo parlare di una rosa non si disponesse di alcun vocabolo, se ogni volta si dovesse dire "la cosa che sboccia a primavera e che ha un buon profumo", l'elemento in questione sarebbe molto meno bello. E quando la parola è una parola di lusso, e cioè un nome, la sua missione è rivelare la bellezza.
Nel caso di Pannonique, mentre la sua matricola si limitava a designarla, il suo nome le stava a pennello. Se si facevano risuonare quelle tre sillabe lungo il tubo di Cratilo, si otteneva una musica che corrispondeva al suo volto.
Chi dice missione talvolta dice errore. Ci sono persone con un nome che non le rappresenta affatto. Incontri una ragazza con una faccia da Aurore e scopri che, da vent'anni, i genitori e i parenti la chiamano Bernadette. Eppure, una simile sbavatura non contraddice questa verità inflessibile: è sempre più bello avere un nome. Abitare delle sillabe che formano un tutto è una delle questioni incommensurabili della vita.

Amélie Nothomb, da Acido solforico, Guanda 2008

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