23 aprile 2008

Il giapponese tipo

Non era il giapponese tipo. Per esempio aveva viaggiato moltissimo, ma da solo e senza macchina fotografica.
- Sono cose che agli altri non dico. Se i miei genitori avessero saputo che partivo da solo, si sarebbero preoccupati.
- Avrebbero pensato che era pericoloso?
- No. Si sarebbero preoccupati per la mia salute mentale. Qui, se ti piace viaggiare senza compagnia, passi per un disturbato. Nella nostra lingua il termine 'solo' contiene un'idea di disperazione.
- Eppure ci sono eremiti celebri nel tuo paese.
- E' proprio questo il punto. La convinzione comune è che, per amare la solitudine, devi essere un bonzo.
- Perché i tuoi compatrioti all'estero si muovono solo in gruppo?
- Gli piace vedere gente diversa da loro e tuttavia poter essere, nello stesso momento, rassicurati dalla presenza dei propri simili.
- E il loro bisogno di fotografare?
- Non lo so. Mi irrita, tanto più che fanno foto sempre identiche. Forse è per dimostrare a sé stessi che non hanno sognato.
- Io non ti ho mai visto con una macchina fotografica.
- Non ce l'ho.
- Possiedi tutti i gadget possibili e immaginabili, compreso un fornello per poter mangiare la fonduta svizzera su una navetta spaziale, e non hai una macchina fotografica?
- No. Non mi interessa.
- Benedetto Rinri.
Mi chiese il significato di quell'espressione. Glielo spiegai. Lo trovò talmente strano che, affascinato, cominciò a dire venti volte al giorno "Benedetta Amélie."
Un pomeriggio, si mise a piovere all'improvviso, e poi a grandinare. Guardai lo spettacolo dalla finestra dell'edificio, commentando:
- Ma guarda, anche in Giappone ci sono gli acquazzoni.
Sentii dietro di me la sua voce che ripeteva:
- Acquazzoni.
Capii che aveva appena scoperto quella parola, che il contesto gliene aveva precisato il significato e che la pronunciava per fissarsela in mente. Risi. Sembrò capire il mio divertimento perché disse:
- Benedetto me.

Amélie Nothomb, Né di Eva né di Adamo, Voland 2007.

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