16 marzo 2006

>La fila

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da www.carta.org

La fila
di Daniele Barbieri
Martedì 14 marzo, davanti alla posta di via Orsini, in pieno centro a Imola; non lontano da qui è nato Andrea Costa, "apostolo dei lavoratori". Resse sì ma risse no: alle 14,30 quando aprono gli sportelli, qui tutto (o quasi) fila liscio. Dunque, secondo il buon senso di chi si preoccupa solo dell'ordine pubblico è andata bene a Imola, come in altre città. Un buon risultato anche per alcune/i dei e delle migranti in fila, per due o tre giorni, che avranno - forse - uno dei 170 mila permessi di soggiorno previsti dal "decreto flussi 2006". In via Orsini la lista autogestita, cioè un foglietto improvvisato da chi temeva i furbetti dell'ultimora, elencava 137 nomi: "Rat" il primo, poi "Rus", "Ovidiu"… Troppe persone per pochi posti. Quelli in fila da giorni sono ben contenti in quest'occasione che ci siano due poliziotti: non saranno scavalcati.
"Che succede?" chiede alle 14 in via Orsini un tipo che deve fare un conto corrente postale. "Oggi è chiuso, aperto solo per chi deve regolarizzarsi, insomma per gli stranieri". Se esistesse l'Oscar del pregiudizio ignorante forse lo vincerebbe una giovane signora che commenta così: "Ecco, a noi italiani ci discriminano sempre". Fra gli italiani che arrivano e trovano gli sportelli chiusi, fra i curiosi, fra gli spaventati sempre-e-comunque, fra quelli "l'ho letto sul Carlino", poche e pochi sanno che il decreto flussi è un bidone. L'ennesimo. Secondo "la legge" chi chiede di entrare nei flussi dovrebbe essere fuori d'Italia e venir chiamato da un datore di lavoro. Come ben si vede ("si fa ma non si dice") nelle file ci sono i cosiddetti "clandestini" - una parola che le Nazioni unite invitano a non usare per i lavoratori migranti con documenti di soggiorno non in regola. Questi uomini e queste donne che è di moda etichettare clandestini in molti casi da anni lavorano in Italia, "in nero" e ora hanno trovato (per vie traverse e complesse, spesso con padroni e padroncini che anche su questa "chiamata" lucrano) l'occasione di mettersi in regola. Di tutto ciò al Comune di Imola (un centro-sinistra allargato) importa pochissimo. Si sono accorti di queste donne e di questi uomini solo dopo aver visto alcune persone native portare un po' di tè caldo e soprattutto dopo aver letto il 13 marzo questo appello.
"Le avete viste, li avete visti? Da ierimattina anche a Imola ci sono immigrate/i in fila alle poste... Ci resteranno oggi e stanotte con il freddo ma anche con la sensazione di essere umiliate/i inutilmente (c'erano cento modi più semplici di far arrivare le "richieste"...). Noi donne native e migranti dell'associazione Trama di terre non possiamo cambiare leggi idiote e razziste (neppure è facile far capire a certi partiti, ai sindacati, all'associazionismo che in queste ore dovrebbero essere lì, in quelle file...). Quel poco che noi donne di Trama di terre possiamo fare è questo: oggi pomeriggio e poi - speriamo più numerosi - stasera possiamo e vogliamo esser lì con loro a portare un tè caldo, un dolce e fare due chiacchiere insieme. Se qualcuna/o di voi può venire stasera con noi (anche per dividersi i vari uffici postali, con l'aiuto di mediatrici madre-lingua) l'appuntamento è alle 20 precise alla nostra sede cioè in via Aldrovandi 31".
Un appello semplice, concreto. Come è accaduto in altre città, in modo più o (spesso) meno organizzato, uomini e donne con carta d'identità italiana hanno risposto: una piccola Imola solidale si è vista nei principali uffici postali della città e della vallata dove sindacati e partiti brillavano per assenza (altrove è andata diversamente; a Bologna molti si sono mossi, Cgil e "Piazza grande" in testa). Altre donne e uomini definiti nativi non sanno di questi appelli ma spontaneamente spuntano - a Faenza come a Imola - per chiedere ad altri esseri umani in fila al freddo: "volete qualcosa di caldo? Noi possiamo cucinare un po' di pasta, va bene?". In via Orsini come in via Croce coperta nessuno domandava a qualcun altro di che colore aveva il passaporto ma solo se aveva freddo oppure "mi tieni un attimo il posto, così faccio la pipì?… grazie".
Già la pipì. Pisciare per strada, si sa è brutto. Sulle cacche dei cani a Milano si è giocata una campagna elettorale: da tempo siamo una società ossessionata dallo sporco che "si vede" e del tutto disinteressata dalle sporcizie invisibili (la chimica ma anche le fabbriche di armi, lo sfruttamento o le banche che si arricchiscono con il denaro sporco). Ma siccome il Comune di Imola - vi fosse sfuggito, stiamo parlando di un centrosinistra allargato - è esageratamente ossessionato dallo sporco che "si vede", questa faccenda che in via Orsini, dunque in pieno centro, qualcuna/o potesse pisciare per strada o negli attigui giardinetti deve aver provocato un serio soprassalto. Così sono comparsi quattro gabinetti mobili, la definizione esatta è "servizi integrati per l'ambiente" (la marca è Sebach ove possa interessare). Bene. Ma anche a Imola fa freddo. Nel centrosinistra allargato di Imola si sono preoccupati di coperte, sedie pieghevoli e termos come ha fatto l'associazione Trama di terre? Solo nella nottata del 13 marzo dal Comune di Imola viene allertata la "protezione civile". Un po' tardi. E poco. Forse a Imola il freddo, la dignità, la solidarietà non hanno la stessa importanza del pisciare fuori dagli spazi consentiti.

Daniele Barbieri

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Associazione Trama di Terre
Centro interculturale delle donne
Via Aldrovandi, 31 Imola

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