Stasera era una di quelle sere in cui non riuscivo a farmi capire da nessuno. E' così frustrante quando succede... mi abbacchio sempre molto ma poi mi ripiglio e penso "dipenderà anche da me", perché i rapporti si fanno in due (it takes two to dance, dicono gli inglesi). Mi riabbacchio per un istante, poi mi riripiglio e mi dico "ma allora forse posso farci qualcosa". Ma cosa? e mi triabbacchio.
Stasera però ho avuto un'illuminazione e sono andata a rispescare nella mia libreria un volumetto che ho letto anni fa quando stavo col Muto (allora ovviamente non mi servì a niente, solo una stordita come me può pensare che sia utile affinare le tecniche di ascolto con uno che non parla mai...)
Ma il libricino in sé non ne aveva colpa, e forse 'sto giro mi potrà essere di qualche aiuto, quindi lo rileggerò. Hai visto mai.
Ecco di che si tratta:
Jim Dugger, Le tecniche di ascolto, Edizioni Franco Angeli, 1999.
Il titolo originale (molto americano e più significativo) era:
Listen up! Hear what's really being said.
Dette così non servono a molto, e non c'entrano con le mie discussioni di stasera, ma lascio qui come spunto e invito alla lettura le prime righe che mi sono capitate sotto riaprendolo.
Tre principi guida per ascoltare senza giudicare:
1) Rispondete al comportamento o all'idea, non all'interlocutore.
2) Rispondete al presente, non al passato.
3) Rispondete descrivendo, non valutando.
Sembra facile...
Graffi e soffi: Sergio Dolce, Gatto rosso, da http://www.segnalidivita.com/murales
23 maggio 2007
17 maggio 2007
per grazia ricevuta
Qualcosa del genere passò in testa a mia madre il giorno in cui fui assunta, in cui tornai a casa e mi buttai sul letto. Mia madre chiamò commossa zia Vanda; anche con le orecchie nel cuscino sentivo il suo sollievo: "A tempo indeterminato, i contributi".
Uscì di pomeriggio che pioveva e le scarpe ancora non le si erano asciugate dalla spesa, andò dal gioielliere e comprò un ex-voto.
Non sapevo che mia madre avesse mai chiesto una grazia per me, di tante che avrebbe potuto, non quella. Non ho mai saputo in quale chiesa l'avesse lasciato e cosa rappresentasse: non glielo ho chiesto perché ero offesa.
Non sapevo che mia madre avesse mai chiesto una grazia per me, di tante che avrebbe potuto, non quella. Non ho mai saputo in quale chiesa l'avesse lasciato e cosa rappresentasse: non glielo ho chiesto perché ero offesa.
Ma adesso ancora ritirandomi a casa entro nelle chiese, mi affaccio alle cappelle, frugo con gli occhi tra le teche e sulle statue. Santi di legno dipinto mi mostrano le braccia come appendini, tutta la speranza e la preghiera che hanno saputo accogliere, e io mi chiedo dove sia quella di mia madre, che forma avesse quella che lei pensava per me.
Una penna, una mano, una testa, un libro con tre lettere puntate nell'argento, p.G.R.: la mia condanna e la mia rassegnazione per Grazia Ricevuta.
Accendo una candela e getto un euro per me in una cassetta a caso.
Valeria Parrella, p.G.R., da Per grazia ricevuta, Minimum fax, 2005.
Maurilio Catalano, Cuore trafitto, acquaforte, da www.pungitopo.com
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